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(Adnkronos) - Almeno 62 palestinesi sono rimasti uccisi dall'alba in operazioni israeliane nella Striscia di Gaza. E' questo il nuovo bilancio riportato dalla tv satellitare al-Jazeera che riferisce di denunce che arrivano dagli ospedali dell'enclave palestinese. Stando alle notizie dell'emittente, tra le persone rimaste uccise ci sono anche 19 palestinesi che erano in cerca di aiuti. In precedenza l'emittente, sulla base di informazioni avute da fonti mediche dell'Al-Awda Hospital, aveva riferito di almeno 30 palestinesi morti in raid israeliani a nord di Nuseirat, nel centro di Gaza. Nella Striscia di Gaza si sta attualmente verificando lo scenario peggiore, la "carestia", scrive l'Ipc (Integrated Food Security Phase Classification), una iniziativa che vede tra i suoi partner organizzazioni dell'Onu come l'Unicef e il Programma Alimentare Mondiale. Il conflitto e gli sfollamenti, si legge in un alert pubblicato oggi dall'Ipc sul suo sito, si sono "intensificati" e l'accesso al cibo e ad altri beni e servizi essenziali è "precipitato a livelli senza precedenti". Prove "sempre più numerose", continua l'Ipc, dimostrano che "la fame, la malnutrizione e le malattie diffuse stanno causando un aumento dei decessi per fame". Gli ultimi dati indicano che "sono state raggiunte le soglie di carestia" per il consumo di cibo nella maggior parte della Striscia di Gaza e per la "malnutrizione acuta" a Gaza City. La malnutrizione, continua l'Ipc, "è aumentata rapidamente nella prima metà di luglio". Oltre "20mila bambini" sono stati ricoverati per malnutrizione acuta tra aprile e metà luglio, di cui "oltre 3mila gravemente malnutriti". Gli ospedali hanno segnalato "un rapido aumento dei decessi per fame tra i bambini di età inferiore ai cinque anni, con almeno 16 decessi segnalati dal 17 luglio". Per l'Ipc "è necessario intervenire immediatamente per porre fine alle ostilità e consentire una risposta umanitaria senza ostacoli, su larga scala e salvavita. Questa è l'unica strada per fermare ulteriori morti e catastrofiche sofferenze umane". Intanto l'Olanda, riferiscono i media locali come rilanciano anche quelli israeliani, ha vietato loro l'ingresso nel Paese - nel contesto di una serie di misure per fare pressioni su Israele di fronte alla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza - al ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich e al ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir. Il giornale Algemeen Dagblad, rilancia il Times of Israel, dà notizia di una missiva del ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, che afferma che la decisione è stata presa perché i due ministri israeliani "hanno incitato ripetutamente alla violenza da parte dei coloni contro la popolazione palestinese" e "invocato la pulizia etnica nella Striscia di Gaza". Il governo olandese ha "deciso di dichiarare i ministri israeliani Smotrich e Ben Gvir persona non grata ed è impegnato a registrarli come stranieri indesiderati nel Sistema di informazione Schengen (Sis)", ha detto Veldkamp, come riporta anche il Jerusalem Post, annunciando la convocazione dell'ambasciatore israeliano con la sollecitazione al governo di Benjamin Netanyahu a "cambiare passo" perché "la situazione attuale è intollerabile e indifendibile". E l'impegno a "continuare" al contempo "ad aumentare le pressioni su Hamas per arrivare a un cessate il fuoco". "Anche se mi vietassero di entrare nell'Europa intera, continuerei a lavorare per il bene del nostro Paese e a chiedere che distruggiamo a Hamas e sosteniamo i nostri combattenti", ha replicato - con un post su X - Ben-Gvir. "I nostri nemici sono violenti, stupratori, sanguinari. Ma in Europa - continua - chi passa all'offensiva è colpevole. In un luogo in cui il terrorismo è tollerato e i terroristi sono i benvenuti, un ministro ebreo di Israele non è gradito. I terroristi sono liberi e gli ebrei vengono boicottati". "Ipocrisia europea". Così Smotrich che scrive su X: "Per me garantire che i miei figli, i miei nipoti e pronipoti, con tutti gli ebrei nel mondo, possano vivere in sicurezza nello Stato di Israele per i prossimi decenni e secoli è molto più importante che entrare nei Paesi Bassi". L'accusa ai "leader" europei è di "cedere alle bugie del radicalismo islamico". Nel post denuncia un "antisemitismo in crescita" e afferma che "gli ebrei non saranno in grado di viverci in sicurezza nemmeno in futuro". Il ministro degli Esteri israeliano ha respinto dal canto suo quella che ha definito una "campagna distorta" di pressione internazionale per un cessate il fuoco nella guerra nella Striscia di Gaza e il riconoscimento di uno Stato palestinese. Gideon Saar ha dichiarato ai giornalisti che la fine del conflitto da parte di Israele, mentre Hamas è ancora al potere a Gaza e tiene in ostaggio gli abitanti, sarebbe una "tragedia sia per gli israeliani che per i palestinesi".
(Adnkronos) - “È una banalità dire che se non ci fossero saremmo tutti più contenti. Ma se verrà confermato, mi auguro nel più breve tempo possibile, quel 15 % che leggiamo oggi sui giornali, almeno avremmo una percentuale definita e le aziende comincerebbero a prendere le dovute contromisure su un dato certo. Togliere quel dazio occulto che è l’incertezza è pur sempre un inizio: basti pensare che proprio il clima di incertezza ha fatto registrare, solo a maggio, un calo delle nostre esportazioni del 6,6% verso il mercato Usa, che ricordiamolo, è il secondo mercato in assoluto e il primo extra Ue per un valore pari a 1,7 miliardi di euro per il macrosistema arredamento. E nel frattempo le importazioni dalla Cina sono aumentate in maniera preoccupante di un +28,3% nel periodo gennaio-aprile 2025”. Lo dichiara Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo. “Quello americano è un mercato strategico per il nostro settore in cui perderemmo competitività, considerando che la ricaduta più diretta sarebbe sul consumatore finale americano che, seppur con una stima approssimativa, si troverebbe a pagare lo stesso prodotto il 6% in più", continua. "L’ottimale? Sicuramente no, ma pur sempre gestibile. Purtroppo, quello che potrebbe peggiorare davvero questa situazione già complessa, è la perdita di potere d'acquisto del dollaro verso l'euro, con una svalutazione che da inizio anno è arrivata al 13% e che potrebbe toccare il 20-25% nella primavera del 2026. Questo scenario sarebbe ben più grave dell’introduzione del dazio", conclude.
(Adnkronos) - Il 24 luglio 2025 è l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l’umanità esaurisce il budget ecologico annuale del Pianeta. A calcolarla ogni anno è il Global Footprint Network sulla base dei National Footprint and Biocapacity Accounts gestiti dalla York University. Il Wwf, con la sua campagna Our Future, chiede a tutti di "imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta, oggi più che mai". Secondo i calcoli del Global Footprint Network, infatti, attualmente, la popolazione globale consuma l’equivalente di 1,8 pianeti Terra ogni anno, un ritmo che supera dell’80% la capacità rigenerativa degli ecosistemi terrestri. Questo squilibrio è alla base delle crisi ambientali della nostra epoca: la perdita di biodiversità, la deforestazione, il degrado del suolo, l’esaurimento delle risorse (crisi idrica, collasso di stock ittici) fino all’accumulo di gas serra. Uno sfruttamento di risorse che è aumentato nel tempo, tanto che la data dell’Overshoot si è spostata da fine dicembre, nel 1970, a luglio, nel 2025. Il risultato? Un debito cumulativo nei confronti del Pianeta di 22 anni. In pratica, se il sovrasfruttamento ecologico fosse completamente reversibile, ci vorrebbero 22 anni di piena capacità rigenerativa del Pianeta per ripristinare l'equilibrio perduto. "Un calcolo, però - ricorda il Wwf - solo teorico perché ad oggi non tutta la capacità rigenerativa è più intatta (abbiamo perso intere foreste, eroso i suoli, impoverito i mari…) e alcuni danni che abbiamo provocato sono ormai irreversibili (come le specie che si sono estinte o i ghiacciai sciolti). Inoltre, la crisi climatica in corso aggrava ulteriormente la capacità del Pianeta di rigenerarsi". “Non solo stiamo vivendo 'a credito' ogni anno, ma abbiamo anche accumulato un enorme debito nei confronti del sistema Terra. Ripagare questo debito, in termini ecologici, è quasi impossibile se continuiamo a ignorarne le conseguenze - afferma Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia - Si tratta di una chiamata urgente all’azione per cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo, prima che il danno diventi definitivamente irreparabile”. La rotta - avverte l'associazione - può essere invertita: "Per riportare l’umanità in equilibrio con le risorse terrestri (ovvero far coincidere l’Overshoot Day con il 31 dicembre), dobbiamo ridurre l’impronta ecologica globale di circa il 60% rispetto ai livelli attuali". Per il Wwf, è possibile spostare la data dell’Overshoot agendo in cinque settori strategici: "Transizione energetica (passare a fonti rinnovabili ed eliminare i combustibili fossili); economia circolare (riciclare, riutilizzare, azzerare gli sprechi); alimentazione sostenibile (diminuire il consumo di carne e preferire cibi biologici, locali e stagionali); mobilità green (favorire trasporti pubblici, biciclette e veicoli elettrici); politiche globali (accordi internazionali più stringenti per la tutela ambientale)". Così, "se riuscissimo a spostare l’Overshoot Day di 5 giorni all’anno, entro il 2050 torneremmo in equilibrio con le risorse del Pianeta. Si tratta di una media realistica che combina: tecnologia (efficienza energetica, rinnovabili), comportamenti individuali (dieta, trasporti, stile di vita) e politiche globali (accordi climatici, economia circolare)". “Un nodo cruciale è il nostro modello economico, fondato sulla crescita illimitata dei consumi materiali - di energia, risorse, materie prime - che è semplicemente incompatibile con un Pianeta dalle risorse finite. Non dobbiamo puntare all’aumento quantitativo, ma a un progresso qualitativo, fatto di conoscenza, relazioni umane, diritti e tutela della Natura da cui dipendiamo. È fondamentale sostituire il Pil come unico indicatore di sviluppo con indicatori più complessi, che considerino la salute degli ecosistemi, il benessere psicologico e la coesione sociale”.