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(Adnkronos) - C'erano una volta i grandi presentatori. E poi c'era lui: Pippo Baudo. Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo per l'anagrafe, "Superpippo" per gli amici, il pubblico e la leggenda. È morto a Roma all'età di 89 anni, dopo una carriera ineguagliabile lunga oltre sessant'anni e una vita vissuta con la passione inestinguibile dell'uomo di spettacolo totale. Baudo non è stato solo un conduttore: è stato una istituzione popolare, una colonna portante della cultura televisiva italiana del secondo Novecento e del nuovo millennio. Più che un protagonista, è stato un demiurgo, uno di quelli che la televisione l'ha modellata, plasmata, inventata, e - non di rado - salvata. Tra i quattro "moschettieri" della Tv – Mike Bongiorno, Corrado, Enzo Tortora e lui – è stato l'ultimo a lasciare la scena, il più longevo non solo anagraficamente ma anche artisticamente, colui che ha saputo reinventarsi più volte, attraversando le epoche, resistendo al tempo e al costume, conservando sempre il suo stile inconfondibile fatto di autorevolezza e ironia, di garbo e determinazione, di controllo assoluto del palco e della diretta, anche quando l’imprevisto bussava alla porta. Pippo Baudo non era mai fuori posto. Sembrava nato per la diretta. Nato il 7 giugno 1936 a Militello in Val di Catania, terra aspra e teatrale, lo stesso anno in cui moriva Luigi Pirandello, Baudo sembrava da subito predestinato all'arte della scena. Figlio di un avvocato, si laurea in giurisprudenza a Catania (una tesi discussa all’alba, dopo aver presentato un concorso di bellezza la sera prima), ma è evidente sin dagli anni del liceo che il diritto è una maschera, non un destino. Il teatro è il suo primo amore, il pianoforte il suo primo strumento, la parola il suo mestiere. Nella Sicilia del dopoguerra, Baudo cresce tra studi classici, commedie scolastiche e CineTeatri di provincia, e comincia ad affacciarsi sul mondo dello spettacolo come pianista e presentatore improvvisato. L'incontro con Tuccio Musumeci, suo primo compagno d’arte, lo avvia a una carriera che avrebbe potuto portarlo ovunque: poteva essere un ottimo avvocato, un raffinato musicista o un brillante attore, ma ha scelto di essere il narratore della domenica italiana, il cerimoniere dei sabato sera in famiglia. Il primo miracolo arriva nel 1966. Il telefilm "Rin Tin Tin" non arriva in tempo negli studi Rai. Per tappare il buco mandano in onda una trasmissione giudicata "intrasmissibile", il pilot di un certo "Settevoci". È un trionfo. Pippo Baudo entra nell’immaginario collettivo. Da lì in poi è un crescendo rossiniano: “Eccetera eccetera”, “Canzonissima”, “Fantastico”, “Domenica In”, “Serata d’onore” – il palinsesto della Rai è una costellazione di titoli baudiani, e viceversa. Conduce 13 Festival di Sanremo – record assoluto – portando sul palco dell’Ariston cantanti, attori, comici, polemiche, lacrime e cachet d’oro. Dirige, scopre, inventa, rilancia. Dove mette mano, Baudo fa scuola. È anche un eccezionale talent scout: a lui devono le prime luci della ribalta personaggi come Lorella Cuccarini, Heather Parisi, Laura Pausini, Giorgia, Michelle Hunziker, Barbara D’Urso, ma anche Beppe Grillo, Nino Frassica, Manlio Dovì, Fioretta Mari, Sabrina Ferilli. Perfino le sue gaffes, come lo storico scarto di un giovane Fiorello a un provino, sono diventate parte del folclore nazionale. Non c’è genere televisivo che Baudo non abbia affrontato: varietà, talent, quiz, talk, retrospettive, documentari, show commemorativi, perfino trasmissioni educative o di divulgazione storica come “Novecento” o “Centocinquanta”. Ogni volta con il suo inconfondibile timbro: professionismo rigoroso, ironia sottile, eleganza empatica, capacità di ascolto, talento per il ritmo narrativo. Anche nei momenti più difficili – dal flop del passaggio a Mediaset negli anni '80 al caso giudiziario delle telepromozioni negli anni '90 – Baudo ha sempre saputo risorgere. Con tenacia e con una qualità rara nel mondo dello spettacolo: la credibilità. Mai sfiorato da gossip velenosi, sempre presente nei momenti-chiave della televisione italiana, Baudo ha incarnato per decenni l’idea stessa di una Tv che sa intrattenere senza umiliare, che diverte ma non svilisce. Dietro il volto istituzionale e imperscrutabile, Pippo Baudo è stato anche un uomo appassionato, generoso, ironico, pieno di vita. Non ha mai nascosto il suo carattere forte, a volte spigoloso, capace di litigi clamorosi (celebre quello con Bruno Vespa durante "Centocinquanta") ma anche di grandi riconciliazioni e gesti di affetto sinceri. Sentimentalmente generoso, ha avuto cinque relazioni importanti (Mirella Adinolfi, Angela Lippi, Alida Chelli, Adriana Russo e Katia Ricciarelli), due figli, tre nipoti e un pronipote. Amava la sua Sicilia in modo viscerale e ne è sempre stato ambasciatore instancabile, mai caricaturale, ma fiero e nobile, come quella parte dell’isola barocca e colta che fu sua culla e che lo ha sempre accompagnato nel cuore, ovunque fosse. Celebre la sua imitazione firmata da Gigi Sabani: "L’ho inventata io!" diceva. E in fondo non era una battuta. Pippo Baudo ha davvero inventato un pezzo di televisione italiana, e con essa ha contribuito a raccontare e costruire il carattere di un Paese, i suoi sogni, i suoi riti, le sue consuetudini domestiche. Le sue trasmissioni hanno accompagnato generazioni intere, tra una tombola di Natale, una serata d’estate, un fine settimana in famiglia. Ma se oggi la tv sembra un mezzo stanco, incapace di rinnovarsi, privo di certezze, è anche perché un personaggio come Pippo Baudo non c’è più. E forse non ci sarà mai più. Perché Baudo non era solo un volto: era un metodo, uno stile, una visione, un uomo capace di attraversare la storia con un microfono in mano e il rispetto per il pubblico come regola aurea. Negli ultimi anni, Pippo Baudo si era fatto vedere sempre meno. Qualche collegamento video, un’apparizione a sorpresa, un messaggio di auguri. Aveva smesso di tingersi i capelli, ma non aveva perso lo sguardo vivo né la battuta pronta. Se n’è andato in silenzio, a 89 anni, con la stessa eleganza con cui ha vissuto. Il pubblico, oggi, è orfano di un padre televisivo. Di un maestro. Di un pezzo di casa. Il suo sipario si è chiuso. Ma il suo spettacolo, quello, resta. E resterà per sempre. (di Paolo Martini)
(Adnkronos) - "L'export del mercato americano ammonta a circa 170 milioni di euro e ovviamente l'incidenza del dazio è conseguente a questo volume. Quindi se consideriamo di un 15% di questi 170 milioni di euro si tratta di circa 24 milioni di euro, una cifra considerevole, impattante. Abbiamo preso un bello schiaffo, perchè il pecorino romano negli Usa si vende da 140 anni e non ha mai pagato dazio. Quindi siamo passati da uno zero a un più 15% e per noi è un danno non da poco". E' l'allarme che, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop, lancia sui possibili effetti dei dazi al 15% per i prodotti europei stabilito dall'intesa Usa-Ue su uno dei prodotti icona del made in Italy. "Il pecorino romano negli Usa -continua Maoddi- non ha mai pagato il dazio e si vende negli Usa da 140 anni, neanche in precedenza nel 2019 quando vennero introdotti i dazi a prodotti europei nella precedente amministrazione Trump. Il pecorino romano ne uscì indenne perché si riuscì a far capire all'amministrazione di quel tempo che ovviamente si trattava di una produzione particolare, con delle peculiarità assolutamente uniche, che di fatto poi non entrava in competizione con la produzione americana", aggiunge. E Maoddi ricorda quelli che sono i numeri del Pecorino romano Dop. "Siamo un consorzio che racchiude circa 40 produttori, che completano una filiera formata da circa 8.500 allevatori distribuiti tra Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto con una produzione che si attesterà nel 2025 intorno alle 39.000 tonnellate di pecorino, delle quali circa il 70% esportato nel mondo. E di questo circa il 40% negli Stati Uniti, che rappresentano il nostro primo mercato in assoluto di vendita oltre al mercato nazionale", spiega Maoddi. Maoddi sottolinea come "il 33-35% della produzione è destinato al mercato nazionale, il 35-37% al mercato americano, e la restante quota al resto del mondo, e quindi Unione Europea, a seguire il Canada, il Giappone, l'Australia". Ma il presidente del Consorzio resta ottimista su una possibile esenzione del Pecorino romano dai dazi. "Io sono convinto che ci sarà un momento successivo a questo che stiamo vivendo -spiega- nel quale ci sarà spazio per entrare come nel dettaglio dei singoli prodotti e per definire insomma delle esenzioni. A mio parere, infatti, ci sono dei prodotti come il nostro che non possono essere replicati su quel mercato e che di fatto non entrano in competizione con quelli Usa. Se però non si riuscisse a farlo e ci fosse questo dazio al 15% questo avrebbe un impatto importante su tutta la filiera perché i numeri che rappresentano il mercato americano sono importanti e quindi è ovvio che ci sarebbero dei riflessi su tutta la filiera in termini di valori e in termini di quantità vendute", sottolinea. Maoddi ricorda anche che il comportamento del Consorzio negli Usa è lineare. "Non creiamo questioni legate né tanto all'utilizzo del marchio o del nome, e di fatto è già presente anche nella produzione americana una produzione di formaggio che si chiama Romano, formaggio industriale fatto di latte vaccino che viene utilizzato per il condimento per la preparazione di cibi pronti e di salsa. Questa è una situazione con la quale noi conviviamo e che testimonia che la nostra non è una produzione che ostacola quelle americane". "Quindi io mi auguro veramente che ci sia un momento nel quale si possa entrare nel dettaglio delle singole produzioni e a quel punto non credo ci siano problemi da parte dell'amministrazione americana nel riconoscere le peculiarità del nostro prodotto", sottolinea. Ma come viene distribuito il Pecorino romano dop negli Usa? "Il pecorino romano viene venduto in America su due canali: uno -spiega Maoddi- è quello dell'industria alimentare nel quale viene utilizzato come ingrediente per le sue qualità uniche di condimento di insaporimento. L'altro è invece il canale retail che è quello più vicino al consumatore. Di questi due canali sicuramente il primo è quello più sensibile al dazio al 15% e che farà più fatica ad assorbirlo. C'è il concreto rischio che il nostro prodotto venga sostituito in parte o del tutto da altri prodotti, con costi minori, come ingrediente nell'industria alimentare statunitense", aggiunge ancora. Per quanto riguarda il canale retail, secondo Maoddi, negli Usa "se già oggi un consumatore americano paga circa 35 dollari un chilo di formaggio pecorino non cambierà molto se lo pagherà diciamo 39, perchè stiamo parlando di un di un consumatore che ha delle possibilità importanti di vendita e quindi il dazio sicuramente non inciderà in maniera importante sul suo bilancio". "Le cose potrebbero cambiare invece nell'utilizzo nell'industria, dove il pecorino di solito fa parte di una miscela di altri prodotti, di altri ingredienti, che di fatto sono sempre molto 'attenzionati' nella formazione di quello che poi è il costo di un prodotto finale. Con i dazi si rischia che cambi la quantità di pecorino inserito in queste miscele, sostituito in parte da altri prodotti con minor costo, o che addirittura in alcuni casi venga sostituito completamente", lancia l'allarme Maoddi. Di certo il management del Consorzio sta concentrando le forze per trovare una soluzione. "Io non nascondo che il Consorzio non assiste da spettatore in questo momento e, attraverso una serie di attività, stiamo cercando di coinvolgere la politica americana. Abbiamo avuto audizioni a livello europeo presso i gabinetti del commissario dell'Agricoltura Hansen e del commissario Sefcovic per quanto riguarda il commercio. Abbiamo dato ovviamente le nostre indicazioni, abbiamo fatto valere quelle che sono le nostre peculiarità di questo prodotto. Stiamo cercando di coinvolgere il più possibile la politica affinché spinga su questa richiesta di esenzione del dazio per il nostro prodotto che secondo me è conveniente non solo per noi, ma anche per l'amministrazione Trump che di fatto ha un elemento che potrebbe poi utilizzare per far vedere che c'è apertura da parte loro. Su un prodotto che non va a intaccare, non va a disturbare nessuna produzione americana sul mercato", sottolinea ancora Maoddi. E dalla politca italiana c'è attenzione sul settore. "Devo dire -spiega- che la politica ci sta ascoltando. Il ministro dell'Agricoltura si è da subito reso disponibile con il suo staff ad ascoltarci, a metterci nelle condizioni di poter dialogare con queste strutture sia a livello europeo, quindi attraverso la Commissione europea, che a livello americano tramite l'ambasciata con la quale abbiamo veramente un filo diretto. Ma abbiamo un filo diretto anche col Ministero, ripeto, che si è da subito all'operato. Quindi io sono convinto che loro faranno tutto il possibile. Io ho sentito il ministro anche l'altro ieri e nelle sue parole ho sentito veramente l'attenzione, la vicinanza per questo comparto e questo mi fa molto piacere", conclude.
(Adnkronos) - Luglio 2025 è stato il terzo luglio più caldo a livello globale, con una temperatura media di 16,68 °C, 0,45 °C in più rispetto alla media di luglio del periodo 1991-2020. Inoltre, è stato più freddo di 0,27 °C rispetto al record di luglio 2023 e di 0,23 °C nel confronto con luglio 2024, il secondo più caldo. Lo rende noto il Copernicus Climate Change Service (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con finanziamenti dell'Ue. Guardando, poi, alla media stimata del periodo 1850-1900, luglio 2025 è stato di 1,25 °C più caldo, diventando quindi il quarto mese degli ultimi 25 con una temperatura globale inferiore a 1,5 °C rispetto al livello preindustriale. Il periodo di 12 mesi da agosto 2024 a luglio 2025 è stato di 0,65 °C superiore alla media del periodo 1991-2020 e di 1,53 °C superiore al livello preindustriale. Secondo Carlo Buontempo, direttore del C3S, "due anni dopo il luglio più caldo mai registrato, la recente serie di record di temperatura globale è terminata, almeno per ora. Ma questo non significa che il cambiamento climatico si sia arrestato. Abbiamo continuato ad assistere agli effetti del riscaldamento globale in eventi quali il caldo estremo e le inondazioni catastrofiche di luglio. Se non stabilizziamo rapidamente le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera, dovremo aspettarci non solo nuovi record di temperatura, ma anche un aggravamento di questi impatti, e dobbiamo prepararci a questo". La temperatura media sul territorio europeo a luglio 2025 è stata di 21,12 °C, 1,30 °C in più rispetto alla media di luglio del periodo 1991-2020, rendendo il mese scorso il quarto luglio più caldo mai registrato nel Continente.