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(Adnkronos) - Il costo dell'abbonamento in palestra rappresenta oggi il principale ostacolo per milioni di italiani che vorrebbero mantenersi in forma. Con il 53% degli utenti che indica il prezzo come fattore decisivo nella scelta del centro fitness e un mercato da 3,1 miliardi di euro che conta oltre 5 milioni di iscritti, il settore sta vivendo una trasformazione radicale. La risposta a questa sfida economica arriva dal franchising, che oggi serve il 22% degli sportivi italiani offrendo tariffe percepite come migliori dal 67% degli utenti rispetto ai centri indipendenti. A evidenziarlo una ricerca di Nomisma spa per Reting, che rivela un profilo molto specifico dell'utente tipo del franchising: giovani tra i 18 e i 35 anni (35%), residenti nel Nord-Ovest (44%), single (37%) e prevalentemente uomini (33%). Questo target cerca convenienza economica ma anche flessibilità oraria, con il 54% degli utenti che valuta superiori gli orari di apertura delle catene rispetto ai centri tradizionali. La crescita del franchising nel fitness non è un fenomeno isolato. Nel 2024, il settore ha registrato un aumento del giro d'affari del 9,9%, raggiungendo i 34 miliardi di euro complessivi in Italia. Nel solo 2023, il numero di punti vendita in franchising è aumentato del 7,6%, contribuendo all'1,8% del Pil nazionale. Questi numeri riflettono un cambiamento strutturale nel modo in cui gli italiani approcciano l'attività fisica. 'Il franchising nel fitness - spiega Enrico Tosco, esperto del settore e Ceo di Reting - sta rispondendo a un'esigenza reale del mercato. Non si tratta solo di prezzi più bassi, ma di un modello di business completamente diverso che punta su efficienza, standardizzazione e tecnologia per abbattere i costi operativi". Il paradosso del settore emerge quando si analizzano i fattori di fidelizzazione. Mentre il prezzo attira i clienti, è l'ambiente motivante e positivo a trattenerli, come dichiarato dal 46% degli iscritti. "La sfida per il franchising è mantenere un equilibrio tra efficienza economica e qualità dell'esperienza. I dati mostrano che il 37% degli utenti resta fedele grazie a programmi personalizzati, un aspetto su cui i centri indipendenti hanno tradizionalmente un vantaggio", osserva Tosco. Il contesto europeo conferma la vitalità del settore. I ricavi totali del mercato del fitness in Europa sono aumentati del 14% nel 2023, raggiungendo 31,8 miliardi di euro e superando i livelli pre-pandemia del 2019. In questo scenario, le quote associative rappresentano il 52,53% della quota di mercato dei centri fitness, evidenziando un modello basato sugli abbonamenti ricorrenti che favorisce le economie di scala tipiche del franchising. La tecnologia sta giocando un ruolo cruciale in questa trasformazione. Il settore del fitness digitale ha raggiunto un fatturato globale di 59 miliardi di dollari nel 2024, con una previsione di crescita del 7% fino al 2029. In Italia, quasi 10 milioni di persone hanno utilizzato almeno un'app per salute e benessere, con il 38% che si concentra su fitness e yoga. "L'integrazione tra fisico e digitale è il futuro del settore. Le catene in franchising hanno maggiori risorse per investire in tecnologia e questo rappresenta un vantaggio competitivo significativo", afferma Tosco. Il processo decisionale degli italiani nella scelta della palestra sta evolvendo. Mentre il passaparola rimane fondamentale per il 43% degli utenti, il 25% usa internet per confrontare le opzioni e uno su quattro è influenzato dalle recensioni online. Questo shift digitale favorisce le catene organizzate che possono investire in marketing e presenza online. La percezione del valore offerto dal franchising è particolarmente forte su aspetti specifici. Oltre ai prezzi, il 48% degli utenti valuta superiore la qualità e varietà dell'attrezzatura nelle catene. Tuttavia, su aspetti come la pulizia e la qualità dei corsi, molti utenti non vedono differenze significative o preferiscono ancora i centri indipendenti. "Il mercato si sta polarizzando. Da un lato abbiamo le grandi catene che puntano su volumi, prezzi competitivi e tecnologia. Dall'altro, i centri indipendenti che devono differenziarsi attraverso la personalizzazione e l'esperienza boutique. Entrambi i modelli hanno spazio per crescere in un mercato che vede 8 italiani su 10 praticare qualche forma di attività fisica", conclude Tosco. Le prospettive future indicano una continua espansione del franchising, trainata da diversi fattori. La crescente attenzione al benessere, con l'84% degli utenti che si allena per 'sentirsi in forma', garantisce una domanda sostenuta. L'evoluzione demografica, con giovani sempre più attenti al rapporto qualità-prezzo, favorisce modelli efficienti. Infine, l'integrazione con il digitale apre nuove opportunità di servizio e fidelizzazione. Il settore del fitness italiano si trova, quindi, a un punto di svolta. Con 7.500 centri attivi e un mercato in crescita, la competizione tra modelli di business diversi sta ridefinendo l'offerta. Per i consumatori, questo si traduce in maggiori opzioni e prezzi più competitivi. Per gli operatori, la sfida è bilanciare efficienza economica e qualità del servizio in un mercato sempre più esigente e informato.
(Adnkronos) - Dopo due anni di lavoro, la filiera dello Champagne presenta 'Migliori Insieme', il suo Rapporto d’impatto sulla responsabilità sociale. Questo documento strategico definisce una visione condivisa di sviluppo sostenibile, globale e strutturato, capace di integrare in modo coerente le dimensioni economica, ambientale e sociale. Frutto di uno studio che riguarda una filiera che coinvolge 16.200 Vigneron, 390 Maison de Champagne e 125 cooperative, il Rapporto individua quattro grandi assi di impegno e dodici sfide strategiche che guideranno le azioni future del settore. La Champagne è stata la prima regione viticola al mondo a redigere un bilancio delle emissioni di gas serra, già nel 2003, aggiornandolo regolarmente ogni cinque anni per monitorarne l’evoluzione. Nel 2022 è stato definito l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, in coerenza con gli impegni dell’Accordo di Parigi. Per conseguire questo traguardo, la filiera si è posta l’obiettivo di ridurre del 75% le proprie emissioni, mentre per il restante si farà il ricorso a misure di compensazione. Nel 2025 è stato raggiunto l’obiettivo della riduzione del 25% delle emissioni. La Champagne è impegnata da oltre trent’anni nella riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari, con l’obiettivo di migliorare la qualità del suolo e dell’acqua e preservare la biodiversità. Questo percorso ha già portato a una diminuzione del 95% nell’utilizzo di insetticidi, resa possibile grazie a pratiche alternative come la confusione sessuale e il ripristino degli equilibri naturali. L’uso di erbicidi è stato ridotto del 15% grazie a lavorazioni meccaniche e all’inerbimento dei suoli, mentre i fertilizzanti chimici sono stati dimezzati a favore della fertilizzazione ragionata e allo sviluppo di materie fertilizzanti organiche. Oggi il 68% delle superfici vitate è certificato, con l’obiettivo del 100% entro il 2030. Per affrontare le sfide del cambiamento climatico, la Champagne sperimenta nuove soluzioni, con sperimentazioni su nuovi vitigni come il Voltis e la partecipazione a progetti di ricerca interregionali, tra cui Qanopée, dedicato alla sicurezza del materiale vegetale. In trent’anni la temperatura media in Champagne è aumentata di circa 1,8 °C, ma la filiera continua a intervenire su tutte le componenti della produzione per garantire l’eccellenza e la tipicità dei suoi vini. La gestione responsabile delle risorse si traduce anche in un’attenta politica di recupero e valorizzazione dei rifiuti prodotti. Ogni anno la filiera tratta circa 10.000 tonnellate di materiali, raggiungendo livelli di recupero pari al 92% attraverso le attività di ricerca e sviluppo. Dal 2014 il 100% degli effluenti vinicoli sono completamente trattati, mentre ogni anno sono valorizzati 110.000 tonnellate di sottoprodotti della vinificazione e 80.000 tonnellate di residui legnosi provenienti dalla potatura della vite. Parallelamente, la Champagne rafforza il proprio ruolo di motore territoriale, anche attraverso l’enoturismo e il coordinamento delle iniziative locali, con l’obiettivo di valorizzare saperi, mestieri e identità della regione. La filiera riafferma il valore del proprio modello collettivo, unico al mondo, fondato su una governance paritaria, sulla condivisione equa del valore e sulla tutela della denominazione Champagne. Questo impegno si traduce anche in una difesa attiva del nome Champagne, che ha portato al riconoscimento della protezione giuridica in oltre 130 Paesi, con circa 500 nuove azioni legali ogni anno contro imitazioni e usi impropri. Il riconoscimento Unesco dei Coteaux, Maisons et Caves de Champagne rafforza ulteriormente la responsabilità della filiera nella tutela di un patrimonio culturale e paesaggistico unico. “Responsabilità collettiva ed eccellenza sono legami indissolubili che uniscono gli Champenois generazione dopo generazione”, ha commentato David Chatillon, presidente dell’Union des Maisons de Champagne e co-presidente del Comité Champagne. Maxime Toubart, presidente del Syndicat Général des Vignerons e co-presidente del Comité Champagne ha aggiunto: “Da sempre gli Champenois sono animati da uno stesso spirito, rispettosi della tradizione e pionieri al tempo stesso. È quindi naturale che la responsabilità sociale d’impresa sia al centro della nostra strategia collettiva”.
(Adnkronos) - Aumentare il numero di alberi in città, ma soprattutto distribuirli in modo diffuso, evitando grandi concentrazioni isolate, produce benefici concreti e misurabili. Lo sottolinea Renato Bruni, direttore scientifico dell’Orto Botanico dell’Università di Parma, intervenendo in occasione della piantumazione del 100.000° albero di KilometroVerdeParma. «Avere tanti piccoli boschi o molti interventi sparsi sul territorio aiuta a diversi livelli», spiega, «a partire dalla riduzione delle temperature locali». Dal punto di vista scientifico, evidenzia Bruni, «l’ombra di un albero è più fresca di quella di una tettoia», grazie ai processi di traspirazione delle piante, che contribuiscono anche a migliorare la permeabilità del suolo e la gestione delle piogge. Ma i benefici non sono solo numerici: «C’è un aspetto fondamentale di vicinanza tra esseri umani e alberi. Le città sono cresciute, la natura si è allontanata dalla vita quotidiana, e riportarla dentro gli spazi urbani significa migliorare il nostro rapporto con le piante, imparando a conoscerle semplicemente osservandole». «La città non può essere stravolta dal punto di vista urbanistico, ma può essere ripensata con intelligenza». È questo l’approccio indicato da Bruni. La chiave è individuare e valorizzare «gli spazi che consentono la convivenza tra le esigenze umane e quelle della città». Rotatorie, parchi, aree dismesse, ritagli lasciati dagli interventi urbanistici diventano così opportunità preziose. «Intervenire su questi spazi residuali piantando alberi è la strategia giusta», afferma. In questo percorso, l’arboreto che sorgerà in viale Du Tillot rappresenta uno degli sviluppi più significativi: «È un progetto importante, vicino alla città e inserito in un contesto infrastrutturale complesso, che dimostra come sia possibile portare la natura anche in luoghi inaspettati». L’obiettivo, conclude Bruni, è proseguire su questa strada «lavorando con le istituzioni e con i privati», per continuare a intervenire ovunque esistano spazi disponibili, trasformandoli in presìdi verdi capaci di migliorare ambiente, clima e qualità della vita urbana.