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(Adnkronos) - Si chiama 'Oplan deu' ed è il piano segreto della Germania per la guerra contro la Russia. Alcuni alti ufficiali tedeschi - una decina circa - si sono riuniti due anni e mezzo fa in un complesso militare a Berlino per lavorarci. L'invasione dell'Ucraina nel 2022 ha posto fine a decenni di stabilità in Europa spingendo in direzione di un tempestivo processo di rafforzamento militare. Per dirla con il cancelliere Friedrich Merz, "le minacce sono reali" e se "non siamo in guerra, non viviamo però più in tempo di pace". L'esito di un eventuale futuro conflitto non è però legato solo al numero di truppe e armi, ma si baserà anche sul successo della monumentale operazione logistica al centro dell'Operazione Piano Germania (Oplan Deu), un documento classificato di 1.200 pagine redatto dietro le mura anonime della Caserma Julius Leber. Il progetto - scrive il Wall Street Journal - descrive nel dettaglio il modo in cui 800mila soldati tedeschi, statunitensi e di altri paesi Nato verrebbero trasportati verso est, in direzione della linea del fronte. Mappa i porti, i fiumi, le ferrovie e le strade che percorrerebbero, e descrive come verrebbero riforniti e protetti lungo il percorso. "Indipendentemente dal suo potenziale punto di inizio", spiega Tim Stuchtey, direttore del Brandenburg Institute for Society and Security, considerando che le Alpi costituiscono una barriera naturale, in caso di scontro con la Russia, le truppe dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord dovrebbero attraversare la Germania. L'approccio seguito dagli autori del piano prevede dunque un coinvolgimento allargato all'intera società: una "sfumatura della linea tra il civile e il militare che segna - osserva il Wsj - un ritorno a una mentalità da Guerra Fredda", aggiornata alle nuove minacce e consapevole degli ostacoli, inesistenti all'epoca, presenti oggi: dalle infrastrutture fatiscenti a una legislazione inadeguata e a un esercito più piccolo. Sui tempi non ci sono certezze: funzionari tedeschi hanno detto di recente che considerano la Russia pronta e disposta ad attaccare la Nato nel 2029. Ma una serie di incidenti di spionaggio, atti di sabotaggio e intrusioni nello spazio aereo in Europa, molti dei quali attribuiti a Mosca dai servizi segreti occidentali, suggeriscono che potrebbe prepararsi prima. Gli analisti ritengono inoltre che un possibile armistizio in Ucraina, che gli Stati Uniti stanno promuovendo, potrebbe liberare tempo e risorse per la Russia per prepararsi a muovere contro i membri della Nato in Europa. "L'obiettivo è prevenire la guerra chiarendo ai nostri nemici che se ci attaccano, non avranno successo", spiega un alto ufficiale militare e uno dei primi autori del piano, citato dal giornale. L'entità del cambiamento previsto si è vista in autunno, quando nelle campagne della Germania orientale la Rheinmetall ha allestito un campo notturno per 500 soldati, con dormitori, 48 cabine docce, cinque stazioni di servizio, una cucina da campo, sorveglianza con droni e guardie armate. Costruito in 14 giorni, è stato smantellato in sette. L'operazione ha fatto anche emergere i problemi: il terreno non poteva ospitare tutti i veicoli e consisteva in appezzamenti non contigui, costringendo la Rheinmetall a trasportare i soldati avanti e indietro. Una precedente prova generale aveva evidenziato la necessità di un nuovo semaforo in una posizione specifica per alleviare gli ingorghi quando i convogli militari si spostano attraverso il paese. Lezioni che sono continuamente incorporate nell'OPLAN e nei suoi annessi. Tra gli ostacoli che i pianificatori militari affrontano ci sono determinate norme sugli appalti, particolari leggi sulla protezione dei dati e altre regolamentazioni create in un'epoca più pacifica. Eseguire il piano richiede di riprogrammare mentalità, cancellando quasi una generazione di abitudini. Altro ostacolo in vista riguarda le infrastrutture: le cosiddette infrastrutture a doppio uso erano la norma in Germania durante la Guerra Fredda: autostrade, ponti, stazioni ferroviarie e porti erano progettati per servire come risorse militari se necessario. Con la fine della Guerra Fredda è venuta meno la necessità di questo tipo di infrastrutture e tunnel e ponti costruiti successivamente erano spesso troppo stretti o fragili per ospitare i convogli. Nel 2009, Berlino ha eliminato l'obbligo di segnalazione delle strade in grado di supportare il transito dei mezzi militari. Anche le infrastrutture dell'era della Guerra Fredda non sono sempre utilizzabili. Berlino stima che il 20% delle autostrade e oltre un quarto dei ponti stradali necessitino di riparazioni a causa di un cronico sottoinvestimento. Ai porti tedeschi del Mar del Nord e del Mar Baltico servono lavori per un valore di 15 miliardi di euro. Irregolarità e ostacoli che limiterebbero la libertà di movimento dell'esercito in caso di guerra. Non a caso i punti di strozzatura sulla mappa della mobilità militare sono tra i segreti più custoditi del progetto. Lo sforzo per rendere la Germania nuovamente pronta alla guerra - scrive il Wsj - è iniziato pochi giorni dopo l'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022, quando il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha presentato un fondo per il riarmo da 100 miliardi di euro, parlando di 'Zeitenwende', ovvero di "svolta epocale". Più tardi nello stesso anno, la Bundeswehr ha creato un Comando Territoriale per guidare tutte le operazioni nazionali e incaricato il suo comandante, il tenente generale André Bodemann, veterano del Kosovo e dell'Afghanistan, di redigere l'OPLAN. A marzo dello scorso anno, grazie ai feedback di un circolo sempre più ampio di ministeri, agenzie governative e autorità locali, il team di Bodemann aveva completato la prima stesura del piano. Era giunto il momento di metterla in azione. Mentre il nuovo governo Merz promuoveva un piano di spesa nel settore della difesa da 500 miliardi di euro e annunciava un ritorno alla coscrizione quest'anno, la Bundeswehr operava sottotraccia, informando ospedali, polizia e agenzie di soccorso in caso di disastri, stipulando accordi con gli stati e il gestore autostrade e tracciando rotte di transito per i convogli militari.
(Adnkronos) - "L'intelligenza artificiale è molto pervasiva e può essere vista sotto diverse angolature. Da un certo punto di vista, il 90% dei lavoratori dell'Unione Europea utilizza dei dispositivi digitali e il 30% ne utilizza anche di avanzati, tipo i chatbox eccetera. Molti segnalano effetti positivi, per esempio nell'aiuto nella redazione di un testo, nella traduzione o compiti relativi ai testi, ai calcoli, con risparmio di tempo e aumento di produttività. Altri lavoratori segnalano il timore che possa essere utilizzato per monitorare l'orario di lavoro o che il loro calendario di lavoro possa essere fissato in maniera più o meno autonoma o automatica da parte degli algoritmi. In generale, un tratto abbastanza comune è che l'opinione pubblica sembra essere convinta che l'intelligenza artificiale debba essere gestita, al fine di garantire la trasparenza, e tutelare la privacy sul luogo di lavoro". E' lo scenario sul ruolo crescente dell'intelligenza artificiale nel mondo del lavoro europeo, che, intervistato da Adnkronos/Labitalia, traccia Mario Nava, direttore generale della Dg occupazione, affari sociali e inclusione (Dg Empl) della Commissione Europea. I rischi percepiti dai cittadini Tra i cittadini dell'Unione Europea "c'è chiaramente la preoccupazione che un eccesso di uso di intelligenza artificiale, o meglio dei compiti che vengono fissati autonomamente da una gestione algoritmica, porti a un sovraccarico di lavoro, porti a decisioni non perfettamente leggibili, e a una perdita di autonomia. Ed è per questo che un altro punto su cui c'è abbastanza consenso è che le parti sociali sono degli attori fondamentali per promuovere l'uso degli strumenti di intelligenza artificiale. Non per nulla, il nuovo Patto per il dialogo sociale europeo, rinnovato a marzo del 2025, a marzo, sottolinea che il dialogo sociale e una contrattazione collettiva aiutano le politiche sul luogo del lavoro ad adattarsi ai cambiamenti. Quindi il legame tra intelligenza artificiale, contrattazione collettiva, ruolo delle parti sociali è abbastanza messo in evidenza", sottolinea Nava. L'arrivo della Quality Jobs Roadmap' "C'è un principio fondamentale -spiega Nava- che io sottolineo sempre, ed è il principio fondamentale dell'Unione Europea: la tecnologia deve essere messa a servizio delle persone e non viceversa. Non sono le persone a servizio della tecnologia e quindi in questo senso la 'Quality Jobs Roadmap' che pubblichiamo fra qualche settimana ha appunto l'obiettivo di assicurare che vengano garantite buone condizioni di lavoro, e una forte protezione dei lavoratori in presenza di nuove tecnologie". Il ruolo delle skills digitali "C'è uno studio abbastanza recente del Fondo monetario -ricorda Nava- che dice che il 60% dei posti di lavoro nelle economie avanzate può essere influenzato dall'intelligenza artificiale. Quindi diciamo che l'intelligenza artificiale 'entra' nei lavori più o meno di tutti, non solo dei più fragili o di coloro che beneficiano del salario minimo, ma anche per esempio nel lavoro di voi giornalisti, nel lavoro di noi policy makers, nel lavoro dei traduttori, quindi entra nel lavoro di tutti. Quindi la questione non è se l'intelligenza artificiale entra o non entra nel nostro lavoro, ma piuttosto come ci si adatta. E la questione dell'adattamento all'intelligenza artificiale è legato a filo doppio con la questione delle skills. E cioè se un lavoratore ha, o ha potuto nel passato acquisire, buone skills digitali, avrà più facilità ad adattarsi e tenderà a vedere l'intelligenza artificiale come un aiuto, uno strumento. Se invece un lavoratore più anziano, o semplicemente meno che ha beneficiato di minore formazione, allora farà più fatica", sottolinea il direttore generale della DG Emply. "Detto tutto ciò, l'intelligenza artificiale ovviamente crea anche delle nuove opportunità", sottolinea Nava. E sulle competenze Nava aggiunge: "Chi paga per lo skilling e reskilling? Nella nostra comunicazione di Union of Skills abbiamo dato atti del fatto che l'Unione Europea ha investito oltre 150 miliardi nell'ultimo periodo finanziario nello sviluppo delle competenze, nell'unione delle competenze mettiamo in chiaro come appunto upskilling e reskilling sono fondamentali per l'adattamento al mercato del lavoro e in particolar modo per coloro che hanno davanti a se stessi tanti anni di attività, quindi i giovani". "Anche nel rapporto Draghi, dove si dice che la competitività dell'Europa non deriva da un'eventuale riduzione dei salari, e quindi competitività attraverso i salari, ma al contrario deriva da un miglioramento delle skills e quindi la capacità di guardare a prodotti e servizi che 'comandano' più valore aggiunto, perché necessitano di più skills, e in questo ovviamente l'intelligenza artificiale può aiutare", aggiunge Nava. Il ruolo della direttiva Ue sul salario minimo Secondo Nava "un attore cruciale dell'introduzione dell'intelligenza artificiale nel mercato del lavoro sono le parti sociali. E l'articolo 4 della direttiva Ue sul salario minimo -spiega- rafforza la contrattazione collettiva, facendo in modo che tutti i Paesi abbiano un piano per avere una contrattazione collettiva di buon livello. E quindi sostanzialmente c'è un legame molto forte tra la direttiva sul salario minimo che rinforza la contrattazione collettiva e il dialogo tra le parti sociali e appunto il fatto che l'intelligenza artificiale ha bisogno delle parti sociali per un'introduzione equa, giusta e corretta nel mercato del lavoro". Gli algoritmi e gli strumenti legislativi a disposizione Rischi dagli algoritmi? Si, ma gli strumenti legislativi per fronteggiarli ci sono. "Sul fatto che i lavoratori possano percepire di essere comandati da un algoritmo abbiamo già tre strumenti legislativi -spiega Nava- abbastanza forti. Uno: il regolamento sull'intelligenza artificiale che istituisce un quadro giuridico abbastanza globale per un'intelligenza artificiale trasparente con i rischi attenuati eccetera. Due: la 'platform work directive', la direttiva sul lavoro tramite piattaforme digitali che contiene norme chiare sulla gestione algoritmica e sul tipo di lavoro, tipo di rapporto di lavoro che una persona che è comandata da un algoritmo ha. E poi ovviamente c'è il famoso Gdpr, il regolamento generale sulla protezione dei dati e su come i dati che vengono recuperati possono essere utilizzati. Quindi diciamo che c'è una base giuridica abbastanza forte sulla quale si innesca quello la consultazione, il lavoro delle parti sociali. C'è quindi -ribadisce Nava- una base normativa su cui si può innescare il lavoro delle parti sociali al fine di verificare se c'è bisogno di avere un'altra base, o di aggiungere una base. Che poi è più o meno quello che stiamo facendo, perché entreremo nella prima fase della consultazione delle parti sociali in vista della preparazione del 'Quality Jobs Act' nel 2026 e quindi quello proprio sarà il punto dove si troverà l'equilibrio. Quello che voglio dire è che non si parte da zero, si parte da almeno tre strumenti legislativi, il Gdpr ha dieci anni e gli altri due hanno uno quattro e l'altro due anni", sottolinea il dirigente della Commissione Europea. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - Uno strumento avanzato per misurare e ridurre l’impatto ambientale delle imprese italiane con 250 dataset relativi ai settori come allevamento, frutta, legumi e olio d’oliva ma anche fonderie d’alluminio, carta tissue e cartongesso. È uno dei risultati degli studi del Gruppo di ricerca Grins dedicato alla sostenibilità delle imprese e coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dall’Università Bocconi. (VIDEO) I team di lavoro, che hanno visto oltre 100 ricercatori del partenariato Grins impegnati in tre anni di progetto Pnrr, iniziano a presentare i risultati per identificare, misurare e valutare le strategie aziendali e le azioni necessarie per affrontare le sfide della sostenibilità, con particolare attenzione agli aspetti ambientali e ai percorsi verso l’economia circolare. “Abbiamo adottato un approccio olistico e multidisciplinare, combinando la prospettiva della finanza sostenibile con quella dei processi produttivi e gestionali a livello d’impresa e integrando al tempo stesso le dimensioni del consumo, dei prodotti e delle catene globali del valore, fino alla gestione del fine vita dei beni - spiega Marco Frey, professore ordinario della Scuola Superiore Sant’Anna e coordinatore del gruppo di ricerca Grins - L’attività ha portato alla creazione di due strumenti principali: database e configuratori. I database sviluppati riguardano dati di survey sulle abitudini e le scelte ‘green’ dei consumatori, come essi reagiscano a messaggi social e digitali di imprese che comunicano il loro impegno verso la sostenibilità e dataset di inventario dei principali settori produttivi italiani”. In particolare, i dataset di inventario (Life Cycle Inventory - Lci) nazionali e regionali riguardano i principali sistemi produttivi italiani, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza nella gestione circolare delle risorse lungo l’intera catena del valore. Si sono analizzati gli impatti ambientali di filiere strategiche come quella agroalimentare (allevamento, frutta, legumi, olio d’oliva) e industriale (fonderie di alluminio e carta tissue), promuovendo modelli di simbiosi industriale e soluzioni innovative e sostenibili. L’inventario, sviluppato secondo la metodologia Life Cycle Assessment (Lca) e integrato con sistemi Gis, raccoglie dati da fonti statistiche, monitoraggi territoriali e indagini dirette, fornendo così solide fondamenta su cui prendere delle direzioni più mirate e con minor rischi. Conforme agli standard dell’International Reference Life Cycle Data System (Ilcd) del Jrc, il database sarà ospitato sulla piattaforma Amelia di Grins e includerà oltre 250 dataset relativi ai settori analizzati, offrendo uno strumento avanzato per misurare e ridurre l’impatto ambientale delle imprese italiane. Un secondo filone strategico di ricerca e analisi riguarda l’impatto ambientale delle filiere e la valutazione della sostenibilità e resilienza delle Pmi italiane rispetto ai cambiamenti climatici. Su questo tema si è concentrato un team di lavoro composto da 30 ricercatori di cinque università italiane partners - Torino, Bologna, Ca’ Foscari Venezia, Roma Tor Vergata e Sant’Anna Pisa - insieme al Centro di ricerca Unioncamere Guglielmo Tagliacarne, coordinato da Vera Palea, Università di Torino. L’ampia indagine esamina il livello di percezione del rischio climatico, il grado di preparazione organizzativa e l’accesso ai finanziamenti verdi delle Pmi italiane, fornendo un quadro dettagliato delle dinamiche in atto. Ha coinvolto 9.630 imprese non quotate in 5 regioni (Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto, Lazio e Toscana), con attenzione al periodo 2021–2026, considerando anche gli investimenti previsti. I risultati delineano quattro profili di impresa: dalle ‘attendiste’, che non hanno ancora avviato investimenti di mitigazione, alle ‘proattive’, già impegnate nel percorso verso la sostenibilità. Colpisce il dato sulla percezione del rischio che evidenzia la scarsa consapevolezza: circa il 53% delle imprese ritiene che il cambiamento climatico non incida significativamente sulle proprie attività e il 45% rientra tra le aziende attendiste. Solo il 13% ha investito per ridurre il rischio fisico acuto, anche in aree colpite da eventi estremi come l’Emilia-Romagna. Gli interventi più diffusi sono di tipo protettivo - come le polizze assicurative - più che trasformativo. Circa il 25% delle imprese ha invece avviato investimenti di mitigazione, orientati alla riduzione delle emissioni. I risultati mostrano inoltre che le imprese più proattive sono anche quelle dotate di assetti organizzativi orientati alla sostenibilità: la presenza di un Csr manager, la redazione di un bilancio di sostenibilità, la formazione sui temi climatici e sulla normativa rilevante sono fattori determinanti. I risultati dell’indagine saranno disponibili in una dashboard interattiva all’interno della piattaforma Amelia di Grins, attualmente in fase di finalizzazione. La dashboard sarà accompagnata da uno strumento di benchmarking che consentirà alle imprese di confrontarsi con i propri pari per territorio o settore, valutando così il proprio posizionamento all’interno del sistema produttivo di riferimento. L’output di questo lavoro, assieme ai risultati dei gruppi di ricerca sui temi della finanza sostenibile e dell’innovazione circolare, è una delle attività strategiche di Grins. L’obiettivo è offrire una serie di servizi web-based per le Pmi italiane (Portale Imprese) per monitorare e accrescere la consapevolezza alla sostenibilità e fornire al contempo supporto al ministero dell'Economia e delle Finanze, al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica attraverso toolkit progettati per monitorare la sostenibilità territoriale nel tempo, con attenzione sia agli aspetti finanziari sia all'impatto materiale. “Oggi - sottolinea Vera Palea ordinaria di Economia Aziendale all’Università di Torino - siamo in grado di offrire un ulteriore configuratore che aiuta le imprese a valutare la propria capacità di adattarsi ai cambiamenti economici, ambientali e organizzativi. Il contesto sempre più competitivo crea infatti sfide complesse che solo con strumenti adeguati e una visione condivisa possiamo affrontare con successo”.