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(Adnkronos) - Lo sciopero nel settore dei trasporti, indetto per venerdì 28 novembre, interesserà anche il comparto aereo, creando inevitabili disagi ai viaggiatori, a causa della cancellazione di numerosi voli in tutta Italia. Ma i diritti dei passeggeri, riconosciuti dalla normativa comunitaria, sono validi anche in caso di proteste sindacali. Durante lo sciopero di venerdì dovranno essere rispettate le fasce di garanzia (dalle 7 alle 10 e dalle 18 alle 21), nelle quali i voli devono essere comunque effettuati. Il Regolamento Ce 261/2004, elenca RimborsoAlVolo, stabilisce che in tutti i casi in cui un volo viene cancellato senza un preavviso di almeno 14 giorni o subisce un ritardo prolungato, la compagnia aerea ha l'obbligo di garantire assistenza ai passeggeri (pasti, bevande, sistemazione in albergo, trasferimenti dall'aeroporto all'hotel, ecc.). Se l'assistenza non viene garantita e il passeggero ha dovuto pagare i pasti, le bevande, i taxi o gli hotel, la compagnia aerea deve rimborsare le spese sostenute, purché ragionevoli e appropriate: a tal fine è bene conservare tutte le ricevute attestanti tali spese. Nel caso in cui un volo venga cancellato la compagnia aerea deve offrire la scelta tra il rimborso del biglietto e, in caso di coincidenza, un volo di ritorno all'aeroporto di partenza non appena possibile; l'imbarco su un altro volo verso la destinazione finale non appena possibile, oppure l'imbarco su un altro volo in una data successiva.
(Adnkronos) - Le nuove misure per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro sono state analizzate oggi in occasione della 13sima Giornata nazionale dell’ingegneria della sicurezza, organizzata dal Consiglio nazionale degli ingegneri. Il Cni rileva che “occorre riconoscere che il Paese si è dotato negli ultimi anni di una normativa sempre più efficace in termini di prevenzione dal rischio sui luoghi di lavoro e sulla gestione di contesti di pericolo, sebbene il quadro complessivo resti critico. Vale la pena di chiedersi a che punto siamo, a cominciare dal tema della sicurezza sui luoghi di lavoro”. “Occorre affinare - suggerisce - gli strumenti di prevenzione, controllo, monitoraggio e formazione, perché sappiamo, come mostrano i dati, che incrementare i livelli di attenzione porta buoni frutti. In questo senso si muove certamente il Decreto legge 31 ottobre 2025 n. 159 che affina i sistemi di controllo già esistenti ed introduce strumenti innovativi che consento di tracciare i flussi di lavoro consentendo di migliorare le tecniche di prevenzione da infortuni, facendo conoscere meglio non solo pericoli realmente accaduti ma situazioni potenzialmente pericolose ovvero i cosiddetti ‘near-miss’. Di una molteplicità di nuovi strumenti, inclusa la cosiddetta patente a punti dei lavoratori, introdotta un anno fa si parlerà nel primo tavolo di discussione in programma il cui obiettivo è quello di definire come strumenti sempre più sofisticati ed efficaci possano realmente configurarsi come una infrastruttura a rete in cui imprese e lavoratori operino in condizioni di crescente sicurezza”. Il Cni ricorda come “le statistiche Inail mostrino come sempre elementi in chiaro-scuro, ma i miglioramenti sono oggi più evidenti rispetto al passato. Tra il 2020 ed il 2024 le denunce di infortunio sul lavoro sono passate da 572.406 a 592.882 con un incremento del 3,5%. Tuttavia occorre osservare i dati più in filigrana. Nel medesimo periodo infatti gli incidenti su luogo di lavoro (al netto di quelli in itinere) vero e proprio si sono ridotti del 3,2% (passando da 506.514 nel 2020 a 489.472), mentre quelli in itinere, legati sostanzialmente al transito dall’abitazione al lavoro (su cui incidono altri elementi di rischio legati sostanzialmente alle condizioni di trasporto) sono aumentati del 56% (passando da 65.892 nel 2020, a 103.010 nel 2024). Anche escludendo dall’analisi l’anno 2020, ovvero l’anno del Covid-19, questo trend si è ripetuto più di recente. Tra il 2022 ed il 2024, per esempio gli incidenti sul lavoro sono diminuiti del 19%, mentre quelli in itinere sono aumentati dell’8%”. “Le denunce di infortunio mortale sul luogo di lavoro (sono esclusi quindi quelli in itinere) - sottolinea - sono passate da 1.502 nel 2020 a 894 nel 2024 con una flessione del 40% e per il 2025 l’Inail prevede, fortunatamente, un ulteriore flessione. Viceversa, le denunce di incidente con esito mortale in itinere sono aumentate quasi del 30%. Nel complesso in Italia le denunce di incidente con esito mortale tra il 2020 ed il 2024 si sono ridotte del 30%. Occorre ricorda comunque che in linea generale gli incidenti sul luogo di lavoro (mortali e non) sono sempre la larga maggioranza degli incidenti totali”. “Il quadro legato all’incidentalità sui luoghi di lavoro - commenta il Cni - resta certamente complesso, perché anche un solo infortunio rappresenta una criticità, ma il trend in calo incoraggia ad intensificare non solo i controlli, ma a sviluppare strategie e strumenti che possano rendere sempre più noti e controllabili i fattori di rischio. L’impressione è che la normativa italiana in materia di prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro possa contribuire notevolmente ad innalzare i livelli di prevenzione da incidenti. Peraltro non a caso una comparazione a livello europeo mostra come l’Italia registri un tasso di incidentalità mortale sui luoghi di lavoro più contenuto rispetto ai principali Paesi industrializzati. Eurostat riporta per il nostro Paese 0,87 incidenti mortali per 100.000 occupati, a fronte dei 3,3 incidenti (per 100.000 occupati) registrati in Francia e dell’1,5 incidenti in Spagna. L’Italia registra comunque meno incidenti mortali rispetto alla media UE che si caratterizza per 1,26 incidenti mortali per 100.000 occupati”. “Il Codice di prevenzione incendi - ricorda il Cni - varato nel 2015, ha rappresentato un punto di svolta nella gestione delle crisi relative al rischio di incendio offrendo ai professionisti la via per nuove metodiche legate alla prevenzione. Le nuove norme hanno introdotto, infatti, un approccio più prettamente prestazionale alla sicurezza antincendio, consentendo al professionista, a determinate condizioni, di derogare alle norme prescrittive raggiungendo egualmente l’obiettivo della messa in sicurezza di un impianto o di una struttura. Si tratta di un passaggio culturale e tecnico particolarmente rilevante, fortemente sostenuto dal Consiglio nazionale degli ingegneri. L’approccio prestazionale consentirebbe di sanare, garantendo elevati standard di sicurezza, molte situazioni complesse, legate soprattutto alla vetustà delle strutture, situazioni che una rigida applicazione delle norme prescrittive consolidate non consentirebbe di affrontare fino in fondo”. Nel corso dell’evento è stato ricordato che i casi legati ad incendi in Italia si mantengono su livelli elevati. Gli interventi dei vigili del fuoco per gli eventi in assoluto più diffusi, ovvero quelli dell’incendio o esplosione, sono stati nel 2024 pari a 226.630 in flessione rispetto agli anni precedenti, ma comunque sempre su livelli molto elevati. Nel 2023 gli incendi o esplosioni legate a strutture produttive o strutture residenziali sono stati 239.127 e nel 2022 sono stati 270.068. Negli ultimi 10 anni gli incendi e le esplosioni, secondo quanto emerge dalle statistiche elaborate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, non sono mai state inferiori ai 200.000 casi l’anno. Si tratta dunque di un problema diffuso che può oggi essere affrontato solo attraverso una efficace opera di prevenzione. Per i professionisti antincendio oggi si tratta di una sfida importante che implica l’affinamento o il rafforzamento delle competenze acquisite ed un più preciso impegno in termini di aggiornamento professionale; ma è una sfida che vale la pena di cogliere per arrivare ad un sistema di prevenzione incendi probabilmente più efficace rispetto a quello attuale. Alcuni dati prodotti dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco mostrano come le istanze complessive presentate con il cosiddetti ‘Approccio codice’, nel 2014, siano state 14.238, per le quali però l’approccio conforme rappresenta ancora la netta maggioranza, mentre l’approccio alternativo è stato applicato solo nel 15% dei casi. Un’indagine condotta dal Centro studi Cni su un campione di oltre 1.000 professionisti anti incendio conferma alcuni aspetti: la grande maggioranza degli intervistati ha dichiarato di utilizzare il Codice abitualmente (alcuni con qualche difficoltà), mentre l’8% non ne fa ricorso ed una ulteriore quota del 15,7% lo usa ma si appoggia alla consulenza di altri colleghi. Inoltre se la grande maggioranza (quasi il 90% degli intervistati che usa il Codice) utilizza abitualmente l’approccio con soluzioni conformi, solo il 31,7% sperimenta le soluzioni alternative, sebbene questa quota si sia allargata leggermente negli ultimi anni, in quanto nel 2022 essa era praticata dal 28,2% dei professionisti. E’ evidente che l’approccio ‘alternativo’ richiede probabilmente una sorta di salto culturale che necessita di tempo per essere meglio conosciuto dalla platea dei professionisti antincendio, ma la strada sembra essere segnata visto che la percentuale di chi la utilizza sta comunque aumentando. “Conoscere meglio - sottolinea il Cni - l’approccio dei professionisti al Codice, ed eventuali criticità, appare oggi determinante per poter calibrare meglio soprattutto una azione di accompagnamento alla formazione ed all’aggiornamento professionale. Le analisi condotte sia dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco che dal Centro studi Cni si rivelano in questo caso preziose. Sappiamo infatti quali sono gli aspetti legati alle pratiche di prevenzione incendi verso le quali i professionisti incontrano maggiori difficoltà e sono per esempio quelle legate alla gestione delle vie d’esodo, quelle concernenti la resistenza al fuoco, il controllo di fumi e calore, la compartimentazione. Questo consente di capire su quali aspetti tecnici la formazione continua deve maggiormente operare”. “Il tema della formazione per i professionisti anti incendio - ha spiegato - assume oggi un ruolo strategico e critico. Il Centro studi Cni rileva come la grande maggioranza dei professionisti ambirebbe ad una parziale riformulazione dei percorsi di aggiornamento puntando maggiormente sulla focalizzazione di analisi di casi pratici (lo chiede il 69% degli intervistati) oltre alla possibilità di un incremento sostanziale del numero dei corsi formativi (43% degli intervistati). Il futuro della prevenzione incendi è però anche legato a forme più evolute di analisi e predisposizione di strategie attraverso l’approccio del ‘Fire safety engineering’ che punta totalmente ad un approccio prestazionale. Anche su tale metodica emergono aspetti interessanti. I dati più recenti rilevati dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco rilevano come nel 2024 le istanze presentate con Fse siano state 466, una minoranza del totale almeno in termini numerici. I dati vanno però letti considerando gli elementi circostanti. L’approccio Fse può risultare molto più articolato rispetto alle pratiche conformi, con non poche complicazioni e costi mediamente superiori alle pratiche con approccio Codice”. In effetti dalle analisi condotte dal Centro studi Cni risulta che appena il 5,4% ha dichiarato di usare abitualmente il Fire safety engineering, mentre il 51,1% per il momento non ne fa ricorso. Occorre chiedersi perché, e qui risultano utili le risposte di chi lo ha sperimentato. Tra questi, il 56,6% considera l’Fse complesso (soprattutto nella modellistica e nelle simulazioni) ed il 41,2% ritiene che esso implichi costi elevati tali da far desistere, probabilmente, sia il professionista che il committente. Tecniche di prevenzione più performati implicano la presenza di professionisti sempre più preparati, in un campo, in cui peraltro la tecnologia sta evolvendo molto rapidamente. L’Università può offrire un contributo importante sviluppando casi studio, attività integrate e percorsi applicativi che coinvolgano direttamente i professionisti. La modellazione della dinamica dell’incendio e gli approcci quantitativi richiedono una formazione più strutturata, capace di connettere in modo continuo teoria e pratica, soprattutto alla luce delle nuove tecnologie che spingono verso un approccio prestazionale. L’Università può inoltre supportare mettendo a disposizione banche dati utili a impostare l’approccio ingegneristico. L’evento ha fatto luce anche sulla certificazione delle competenze professionali che, secondo il Cni “sta evolvendo da strumento volontario a elemento strategico per garantire sicurezza. Nel 2023-2024 le certificazioni professionali accreditate per le persone hanno segnato un incremento dell’11%, secondo Accredia. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha scelto di dotarsi di un sistema di certificazione delle competenze attraverso l’agenzia Certing perché l’iscrizione all’Ordine, pur essendo una condizione necessaria per l'esercizio della professione, non è più del tutto sufficiente in un mondo che cambia con velocità straordinaria”. Per il Cni “un esempio emblematico è il Bim, Building information modeling, che fino al 2019 era confinato alle università e oggi è obbligatorio per legge in tutti i bandi pubblici. In questo contesto, la certificazione rappresenta il ‘gradino in più’ che attesta le competenze specialistiche acquisite e mantenute nel tempo”. Un focus particolare è stato dedicato alla certificazione in ambito di sicurezza delle infrastrutture viarie, attraverso l’esperienza di Ansfisa, Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali. L’Agenzia ha collaborato con Certing per sviluppare la figura del safety service manager nel settore stradale, un professionista certificato che prende decisioni strategiche sulla sicurezza dell'infrastruttura. Questo modello, che richiama quello europeo per i piloti e i controllori di volo, garantisce che le competenze siano verificate da un soggetto terzo e non autoreferenziale, assicurando che chi opera sulla sicurezza stradale possieda competenze certificate e aggiornate costantemente. Dal versante privato, Unicmi ha presentato la prospettiva delle associazioni di categoria e delle imprese che producono dispositivi di sicurezza, come le barriere stradali. L’associazione ha fortemente sostenuto la creazione della certificazione dell’ingegnere esperto in barriere stradali, riconoscendo che in un settore popolato spesso da improvvisati, la certificazione rappresenta un presidio di qualità e competenza. Le grandi aziende del settore si sono assunte la responsabilità di firmare certificati di corretta posa, richiedendo che questi siano sottoscritti da ingegneri certificati, elevando così gli standard di qualità e sicurezza del mercato. Si è anche parlato delle prospettive future, con Unicmi che ha anticipato l’intenzione di sviluppare nuove certificazioni, come quella per l’ingegnere esperto in facciate continue, dimostrando come il modello possa essere replicato in diversi ambiti specialistici dove la sicurezza e la complessità tecnica richiedono competenze certificate e riconoscibili. Costruire una cultura della sicurezza realmente diffusa e condivisa tra parti datoriali, lavoratori e professionisti della sicurezza. Questo l’auspicio della 13sima Giornata nazionale dell’ingegneria della sicurezza dove è stata presentata un’indagine condotta congiuntamente da Cni, Ance e Formedil, con il supporto del Centro studi Cni che ha coinvolto oltre 1.850 lavoratori del settore edile. Questo studio ha indagato la percezione del rischio e il livello di cultura della sicurezza nei cantieri, offrendo una fotografia inedita del settore. I risultati dell'indagine rivelano un quadro complessivamente positivo in cui emerge un atteggiamento informato e proattivo dei lavoratori. Oltre l’80% degli intervistati dimostra una buona conoscenza delle norme di sicurezza, si dichiara adeguatamente informata e formata, e partecipa attivamente ai processi di miglioramento delle condizioni lavorative. Questo dato testimonia l’efficacia del lavoro svolto negli anni dagli enti di formazione, dalle imprese e dai professionisti. L’approccio della tavola sarà quello di non soffermarsi solo sugli aspetti positivi, ma di individuare costruttivamente le aree di miglioramento. Emergono infatti alcuni aspetti che si configurano come altrettante aree in cui è possibile intervenire in termini di formazione e di sensibilizzazione: circa il 14% degli intervistati ritiene che le persone esperte possano fare a meno dei dispositivi di protezione individuale, una percentuale che in termini assoluti rappresenta circa 250 lavoratori su 1.850. Altre criticità riguardano il coinvolgimento nelle decisioni operative (38% si sente poco coinvolto) e la difficoltà nel modificare collaborativamente le modalità di esecuzione delle fasi lavorative (21%). Emergono poi ulteriori elementi, come il fatto che siano i lavoratori più esperti e con più anzianità lavorativa, rispetto ai più giovani a ritenere di poter fare a meno di dispositivi individuali di protezione, il che sottolinea ancora una volta la necessità di un'opera costante di sensibilizzazione e controllo nei cantieri a non abbassare mai il livello di attenzione per ciò che riguarda la sicurezza personale. Sono stati evidenziati i progressi compiuti dal sistema formativo italiano nel settore edile, sottolineando come strumenti quali le scuole edili territoriali del Formedil e l’impegno delle imprese associate ad Ance abbiano contribuito a innalzare significativamente il livello di attenzione alla sicurezza. Tra le proposte emerse, particolare rilevanza ha assunto l’importanza della formazione continua e sul campo, attraverso le cosiddette ‘pillole formative’ e l’addestramento pratico, aspetti che peraltro trovano riscontro nel nuovo accordo Stato-Regioni sulla formazione in materia di sicurezza. E’ stata, inoltre, sottolineata l’esigenza di una formazione che non sia solo teorica, ma calata nella realtà operativa del cantiere, capace di sviluppare una vera percezione del rischio. “Oggi siamo in condizione di valorizzare al meglio il ruolo dell’ingegneria della sicurezza”. A dirlo Francesco Paolo Sisto, vice ministro della Giustizia, intervenendo alla 13sima Giornata nazionale dell’ingegneria della sicurezza. “Dobbiamo creare - auspica - un sistema normativo che induca le imprese ad essere adempienti in termini di sicurezza. Le imprese si devono sentire sulla stessa barca dei lavoratori. Dobbiamo fare in modo che se l’impresa è adempiente la responsabilità si deve riduce ‘a colpa grave’. In questo quadro l’ingegnere della sicurezza ha un ruolo fondamentale perché è colui che porta in azienda quelle competenze che possono consentire una corretta valutazione del rischio”. Paolo Zangrillo, ministro della Pa, intervenendo con un videomessaggio sostiene che “la sicurezza sul lavoro non può essere considerato un semplice adempimento. In questo senso auspico lo sviluppo delle sinergie tra il Consiglio nazionale degli ingegneri e la Pa che ci consentano di prenderci cura delle nostre persone. Assistiamo a tanti drammatici momenti sui luoghi di lavoro. Il Governo è impegnato nella promozione di una maggiore cultura della sicurezza. Le innovazioni tecniche sono importanti ma poi servono le capacità e le competenze delle persone. Per questo siamo impegnati a migliorare i processi di formazione”. “I professionisti e gli ordini rappresentano una garanzia per i cittadini e le imprese, soprattutto per chi tra loro è più debole. Gli ingegneri che si occupano di sicurezza sono un punto di riferimento per la Pa e per questo diventa fondamentale un rapporto sinergico, anche per la funzione di stimolo che i professionisti possono rappresentare per la Pa”. A dirlo Emanuele Prisco, sottosegretario all’Interno. “La sicurezza è l’essenza degli ingegneri. Siamo qui per garantire la sicurezza dei cittadini. Sono tanti i professionisti e gli operatori che lavorano ogni giorno sulla prevenzione, sono l’anima di quella che in questa giornata abbiamo definito ‘l’infrastruttura invisibile del vivere civile’. Ma nelle emergenze sono sempre al fianco dei cittadini”, spiega Elio Masciovecchio, vicepresidente del Cni. “Per questa edizione della Giornata nazionale dell’ingegneria della sicurezza - sottolinea Tiziana Petrillo, consigliera Cni con delega alla Sicurezza e alla Prevenzione incendi - abbiamo scelto un sottotitolo particolarmente significativo ‘infrastruttura invisibile del vivere civile’, perché la sicurezza è esattamente questo: un’infrastruttura, proprio come le strade, i ponti, le reti di comunicazione. E’ invisibile quando funziona bene, diventa drammaticamente visibile quando manca. E’ quell’insieme di regole, competenze, formazione, tecnologie, cultura condivisa che consente a una società di progredire in modo equilibrato, garantendo a ogni persona di tornare a casa sana e salva alla fine della propria giornata lavorativa”. “Oggi - ricorda - siamo riuniti qui a Roma, una città che ci ricorda una lezione fondamentale: il progresso non si costruisce per sostituzione, ma per stratificazione. Questa è la logica che deve guidare anche la nostra azione professionale: ogni intervento normativo, ogni innovazione tecnologica, ogni percorso formativo non deve azzerare ciò che funziona, ma aggiungervi valore. Stratificare significa costruire memoria condivisa, continuità di sapere, solidità di sistema. Significa che le competenze acquisite ieri sono il terreno fertile su cui innestare le innovazioni di domani, ogni livello di tutela raggiunto diventa base inamovibile per il livello successivo”. “Sono tre - continua - i concetti fondamentali che ricordiamo in ogni edizione della nostra Giornata. Il primo è la centralità della persona. Ogni scelta, ogni norma, ogni innovazione deve partire da lì: è la persona che dobbiamo proteggere, valorizzare, mettere al centro di ogni processo. Il secondo è la sicurezza come concetto dinamico. Non possiamo affrontarla con schemi fissi. La sicurezza deve stare al passo, evolversi, anticipare i rischi e adattarsi con flessibilità. Il terzo è la percezione del rischio. E’ lì che si gioca la vera partita. Se non c’è consapevolezza, se non si sviluppa la capacità di leggere i segnali, le norme restano sulla carta. La percezione del rischio è ciò che trasforma una regola in un comportamento concreto. Su questi tre pilastri – persona, evoluzione, consapevolezza – possiamo costruire un sistema della sicurezza davvero integrato, condiviso, vivo. La sicurezza non è un compito da delegare, ma una responsabilità condivisa. Oggi rinnoviamo l’impegno a far funzionare ogni giorno quell'infrastruttura invisibile che protegge vite, valorizza il lavoro e sostiene la crescita del Paese. Come Consiglio nazionale degli ingegneri continueremo a lavorare per norme chiare, formazione di qualità, competenze riconosciute e filiere responsabili”.
(Adnkronos) - Nel 2024 il sistema Conai ha prodotto 3,8 miliardi di euro di valore economico, contribuendo per 2 miliardi di euro al Pil nazionale e sostenendo oltre 24mila posti di lavoro lungo l’intera filiera del riciclo. Il Consorzio Nazionale Imballaggi ha presentato oggi a Milano in Borsa Italiana l’edizione 2025 del suo Rapporto integrato di sostenibilità, che, come ogni anno, quantifica i benefici economici ed ambientali del riciclo in Italia. “Il Rapporto integrato 2025 conferma la capacità del modello Conai di convertire la sostenibilità in valore tangibile e misurabile, e di operare in coerenza con i principali indicatori Esg e con le aspettative del sistema economico nazionale. Lo vediamo nei numeri ma anche nel ruolo più ampio che il sistema svolge: non gestiamo semplicemente i materiali di imballaggio post consumo, ma attiviamo filiere, abilitiamo settori strategici, generiamo lavoro e riduciamo la dipendenza dalle risorse naturali - commenta Ignazio Capuano, presidente Conai - Ogni euro di Contributo Ambientale genera valore che si moltiplica nel Paese, dimostrando che la sostenibilità può essere non solo doverosa, ma anche straordinariamente produttiva. Ambiente e competitività non sono in contrasto: il riciclo è una vera infrastruttura industriale nazionale, capace di produrre benefici economici, occupazionali e ambientali. I numeri ci raccontano la strada fatta; il nostro impegno quotidiano indica quella da seguire: trasformare il riciclo in un’opportunità reale, misurabile e condivisa per un’Italia più efficiente e sostenibile”. Grazie al riciclo degli imballaggi l’Italia ha risparmiato nel 2024 12,2 milioni di tonnellate di materie prime vergini, ossia il peso di oltre 830 Torri di Pisa; ha evitato l’utilizzo di 55 TWh di energia primaria, pari ai consumi domestici della metà delle famiglie italiane; e ha ridotto le emissioni di gas serra fino a 11,4 milioni di tonnellate di CO2eq, che corrispondono a quelle di circa 9mila voli intorno al mondo. Dal Report emerge così "la crescente interdipendenza tra sostenibilità, innovazione e competitività. Le analisi relative alle imprese soggette a schemi Epr (Extended Producer Responsibility) mostrano infatti come alti tassi di riciclo e modelli collaborativi producano nel tempo maggiore efficienza, fiducia degli investitori e valore finanziario". “Sostenibilità significa capacità di trasformare una visione ambientale in valore industriale. Ogni cifra del Rapporto non è solo un dato, ma il racconto di un impegno che coinvolge imprese, comunità e territori, e che rende visibile ciò che spesso rimane nascosto: le storie dei materiali, delle persone e delle filiere che lavorano insieme come in un film a più livelli - sottolinea Simona Fontana, direttore generale Conai - La qualità delle filiere, l’innovazione tecnologica e la collaborazione con i territori sono i pilastri che ci consentono di ottenere risultati concreti e di rafforzare la competitività del Sistema Paese, consolidando il ruolo dell’Italia nella transizione circolare europea. La sostenibilità è esperienza e partecipazione. Ogni parola, ogni scelta può diventare azione, innovazione e esempio: Conai ha anche una missione formativa e culturale, e attraverso progetti come Green Jobs e Fenice Conai per il giornalismo ambientale giovane, coinvolge scuole, università, giornalisti e territori nella diffusione di una cultura della sostenibilità più consapevole”. In un contesto storico-economico segnato da dinamiche tecnologiche, geopolitiche e di mercato sempre più complesse, Conai ha promosso un dialogo tra istituzioni, imprese e operatori finanziari che ha portato all’individuazione di un insieme di priorità strategiche fondamentali per rafforzare la resilienza e la competitività del sistema. È emersa, innanzitutto, la necessità di regole chiare, orientate ai risultati e capaci di consolidare fiducia e pianificazione industriale. Una maggiore stabilità normativa rappresenta infatti un presupposto imprescindibile per creare condizioni favorevoli agli investimenti. “Questo rapporto è uno strumento prezioso anche per orientare le politiche pubbliche, perché offre indicazioni concrete su ciò che serve alle filiere e ai territori - afferma Vannia Gava, viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica - I numeri presentati oggi confermano che il riciclo non è solo una scelta ambientale, ma una vera politica industriale. Risultati importanti che devono essere consolidati con iniziative mirate a sostenere e sviluppare la competitività di un settore energivoro e sottoposto a forte concorrenza internazionale, rendendo il materiale riciclato competitivo anche nei costi. In questa direzione va l’Energy Release, appena operativo, che garantirà energia rinnovabile a prezzo stabile alle imprese più energivore. Continuiamo inoltre a contribuire al Circular Economy Act, per costruire un mercato unico delle materie prime seconde, semplificare norme e autorizzazioni e incentivare l’utilizzo di materiali riciclati. A livello nazionale prosegue il confronto con gli operatori, dal tavolo sulla plastica alla sperimentazione dei certificati bianchi per l’economia circolare. Il sistema italiano del riciclo è un modello riconosciuto in Europa e il governo è impegnato a sostenerlo, rimuovendo ostacoli e creando condizioni di crescita. Ringrazio Conai per il contributo alla strategia nazionale”. Un pilastro altrettanto rilevante riguarda la promozione dell’innovazione e delle partnership, insieme all’integrazione sempre più stretta tra transizione verde e trasformazione digitale, considerate una leva unica per sostenere una crescita competitiva e duratura. A ciò si affianca la necessità di prestare particolare attenzione alle piccole e medie imprese, garantendo loro un accesso più semplice agli strumenti finanziari necessari per affrontare la transizione ecologica. Parallelamente, la valorizzazione della formazione e della conoscenza si conferma un motore decisivo di competitività per le filiere, mentre il rafforzamento del ruolo delle amministrazioni locali è ritenuto essenziale per assicurare l’implementazione efficace delle politiche di sostenibilità sui territori. “L’Italia si conferma tra i leader europei nella gestione dei rifiuti con risultati superiori alla media dell’Unione. I numeri dell’economia circolare testimoniano un sistema produttivo solido e competitivo. Negli ultimi cinque anni il valore aggiunto è in crescita e il settore coinvolge oltre 600mila lavoratori. Tuttavia, per mantenere questa rotta dobbiamo rafforzare la capacità di innovazione: il numero di brevetti legati al riciclo e ai processi circolari è ancora inferiore rispetto ai nostri competitor come Germania, Francia e Spagna. Per questo servono politiche mirate, più investimenti e una collaborazione sempre più stretta tra pubblico e privato, così da sostenere un modello di sviluppo davvero sostenibile e orientato al futuro", ha concluso Lara Ponti, vicepresidente di Confindustria per la transizione ambientale e obiettivi Esg.