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(Adnkronos) - Prende quota Ginevra come possibile sede dello ‘storico’ bilaterale tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Nel mezzo di una frenetica attività diplomatica, tra il vertice a Washington e la riunione del Consiglio europeo in video-call, si respira ottimismo - come mai dall’inizio dell’invasione - per una soluzione diplomatica della crisi. Donald Trump continua ad avere il pallino in mano, ma l’Europa sembra non accettare il ruolo di attrice non protagonista cui l’ha relegata l’attivismo del capo della Casa Bianca. E l’ipotesi di un summit nella città svizzera sembra trovare ampio consenso, mente lo zar lancia la ‘provocazione’ di ospitarlo a Mosca. La proposta del presidente francese, Emmanuel Macron, di tenere a Ginevra ‘l’incontro del secolo’ punta proprio a rilanciare il ruolo dell’Europa, come soggetto politico che va oltre i confini dell’Ue. L’Italia sostiene questa scelta, come ha sottolineato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ieri a Berna per una visita lampo durante la quale ha partecipato ai lavori della conferenza annuale degli ambasciatori svizzeri. “Roma anche sarebbe stata una sede ideale, voluta da americani, ucraini e anche dagli altri, ma c'è il problema della Corte Penale internazionale, quindi sarebbe stato più complicato. Credo che la sede di Ginevra possa essere la sede migliore, l'Italia è favorevole”, ha detto il titolare della Farnesina, trovando subito un riscontro entusiasta da parte del suo omologo, Ignazio Cassis. “La Svizzera è prontissima, non pronta, anche a breve termine” ad ospitare un vertice tra i due rivali, ha scandito il capo della diplomazia elvetica durante un punto stampa congiunto. “È la nostra specialità, anche dal punto tecnico e legale, noi siamo a disposizione”, ha affermato Cassis, sottolineando di averne parlato anche con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Cassis ha quindi chiarito che la Svizzera è disposta ad offrire “l'immunità" a Putin, colpito da un mandato di arresto internazionale, a condizione che venga nel Paese "per una conferenza di pace". Lo scorso anno il governo federale ha definito "le regole per concedere l'immunità a una persona soggetta a mandato di arresto internazionale. Se questa persona viene per una conferenza di pace, non se viene per motivi privati", ha spiegato il ministro, mentre da Mosca lo stesso Lavrov ha tenuto a precisare che qualsiasi accordo sull'Ucraina deve rispettare la sicurezza russa. Ma, tornando al punto centrale della questione, la notizia è che Lavrov non ha chiuso la porta a un vertice Putin-Zelensky, anche allargato a Trump. “Il nostro obiettivo è quello che ci sia un bilaterale e poi un trilaterale. Il nostro obiettivo è la pace, quindi tutto ciò che porta la pace, purché sia una pace giusta, va nella direzione positiva. Quindi se la Russia accetta l'incontro, accetta la proposta, ben venga", ha commentato Tajani a stretto giro. Il ministro e vice premier non ha nascosto una certa soddisfazione per l’esito del vertice di Washington, pur riconoscendo che un accordo tra Mosca e Kiev non sarà facile da raggiungere, a partire dal nodo delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Se il titolare della Farnesina ha rimarcato che è stata accolta la proposta dell’Italia su una sorta di ‘modello’ articolo 5 della Nato da applicare a Kiev, Trump ha assicurato che gli Usa non metteranno i 'boots on the ground' (scarponi sul terreno) in Ucraina al contrario di Germania, Francia e Gran Bretagna. Tajani, in ogni caso, ha elogiato l'unità politica dimostrata dall'Occidente a Washington, definendola "un messaggio forte lanciato a Putin e credo che questo aiuterà Zelensky a raggiungere un accordo. Poi spetterà a lui decidere cosa fare, noi siamo amici dell'Ucraina, ma non siamo noi che dobbiamo decidere cosa debba fare nel suo Paese". A partire dalla data delle prossime elezioni, tema sul quale sono emerse frizioni nello Studio Ovale tra Trump e Zelensky. “Non spetta a noi decidere quando e come si devono fare le elezioni in Ucraina. Noi difendiamo sempre la democrazia - ha chiosato Tajani - Il primo obiettivo perché ci possano essere le elezioni deve essere il raggiungimento della pace. Intanto lavoriamo per quello con grande impegno". (dall'inviato Piero Spinucci)
(Adnkronos) - "Nello scenario commerciale di oggi, per le aziende italiane diventa imperativo adottare una visione strategica e di lungo periodo, andando oltre le scelte tattiche volte a contrastare la volatilità e frammentazione del mercato globale. In questo modo, le imprese potranno continuare a contribuire agli scambi commerciali e alle esportazioni, che nel 2024 - secondo Istat e Ice - hanno registrato una modesta flessione dello 0,4% rispetto al 2023, con un valore complessivo di 623,5 miliardi di euro per le merci. L’export è uno dei principali driver strategici per la crescita delle aziende e di tutta l’economia italiana: grazie all’eccellenza del Made in Italy, le esportazioni generano quasi un terzo del Pil nazionale". Così Ernesto Lanzillo, Partner e Deloitte Private Leader, parla delle sfide per il Made in Italy nel nuovo scenario commerciale su Voices, la nuova piattaforma che ospita commenti sui temi di attualità firmati dagli esperti di Deloitte Italia. "A ulteriore conferma della centralità della internazionalizzazione e dell’export - spiega - ci sono i dati emersi dall’ultima edizione del Best managed companies (Bmc), l’award di Deloitte Private che premia le eccellenze imprenditoriali italiane. Tra le aziende Bmc, circa la metà guarda sempre all’estero per ampliare il proprio bacino di vendite e clienti (48%), mentre una su quattro lo fa per avviare collaborazioni con nuovi fornitori. Analizzando le modalità di ingresso nei mercati esteri, poi, emerge che il 74% delle Bmc affida la propria strategia di internazionalizzazione all’esportazione diretta; altre soluzioni sono l’investimento diretto (44%), l’esportazione indiretta tramite consorzi, trading company, buyer e importatori (36%), nonché accordi strategici come joint ventures, licensing, franchising (29%)". "Nel nuovo quadro internazionale, la qualità del 'bello e ben fatto' del Made in Italy, deve rappresentare un primo punto di consapevolezza dei nostri esportatori: la qualità viene pagata e le nostre aziende devono puntare su questo con azioni di branding, ma soprattutto con efficientamento ed innovazione di processi e prodotti che, oltre a ridurre i costi di produzione, le rendano ancora più essenziali nelle catene di valore e ambite dai consumatori globali, al di là dell’effetto tariffario", scrive il Private Leader di Deloitte. "Inoltre - spiega - il nostro export ha un ampio margine di diversificazione verso nuovi mercati ad alto potenziale: oltre ai territori strategici per l'export italiano, le imprese possono espandersi verso nuove aree che, grazie alla loro dinamicità, possono offrire opportunità di crescita e contenere gli effetti di politiche tariffarie avverse. In questo senso, il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha fissato l’obiettivo di portare il valore dell’export italiano a 700 miliardi di euro nel 2027, varando un Piano d’azione strategico per l’export nei mercati extra-Ue ad alto potenziale, basato sulla sinergia tra tutti gli attori del Sistema-Italia: è importante che le aziende conoscano e facciano leva su questo piano, non solo per quanto riguarda lo scouting di nuovi paesi di sbocco, ma anche per l’esistenza di vantaggi fiscali e tariffari che, in questa fase, possono rivelarsi particolarmente utili". E se, secondo Sace, le imprese esportatrici registrino un aumento del fatturato dell'1,5% in più rispetto a quelle che non esportano, l’export è soltanto un tassello del processo di internazionalizzazione. Dal punto di vista delle imprese, internazionalizzare può significare quindi andare oltre l’export. "Guardando alle possibili opzioni strategiche per internazionalizzare, le aziende possono, infatti, avviare rapporti commerciali come l’esportazione indiretta, attuare investimenti diretti esteri oppure stringere alleanze strategiche. Inoltre, per promuovere lo sviluppo del business all’estero, le imprese possono fare leva su una serie di abilitatori, quali il commercio elettronico tramite e-commerce, i market place o il presidio a fiere, eventi e consorzi", continua Lanzillo. "Pur avendo un potenziale di crescita - precisa - spesso tante pmi italiane fanno fatica a internazionalizzare le attività, e reggere la concorrenza di realtà più grandi e strutturate, a causa dell’assenza di competenze dedicate, di un approccio sistematico e strategico all’internazionalizzazione e della capacità di comunicare la forza del proprio prodotto. Pertanto, il contatto strategico con enti pubblici e privati e operatori specializzati operanti sia in Italia che all’estero è cruciale per le imprese. In generale, la capacità di fare rete è un aspetto fondamentale per le imprese: l’appartenenza ad una filiera, assicura una serie di benefici. Secondo Sace, le aziende che innovano e puntano al rafforzamento della propria filiera registrano una crescita del fatturato superiore di 2 punti percentuali rispetto a quelle che non investono in questi ambiti". "Infine - conclude il Private Leader - nell’ampliare il proprio business, l’innovazione rimane cruciale ed è uno dei motori che può rendere le imprese più agili e competitive. Oggi, solo una impresa su tre in Italia investe in innovazione (Sace). Tuttavia, vanno tenute in conto sfide importanti come la disponibilità di risorse finanziarie e l’accesso a strumenti per la digitalizzazione. Investire in innovazione e nel digitale significa per le imprese non solo rafforzare la propria competitività e agilità operativa nel servire mercati internazionali, ma anche puntare sullo sviluppo e adattamento dei propri prodotti alle varie aree geografiche, diversificando i rischi e ampliando il proprio business. In un momento storico come quello attuale, orientarsi verso l’innovazione e il digitale può aiutare nell’approccio all’internazionalizzazione, dove diventa cruciale scegliere la giusta strategia, nonché comunicare con efficacia il valore distintivo del Made in Italy".
(Adnkronos) - Benessere delle famiglie con animali d’affezione, l’Italia non tiene il passo: i servizi offerti nel settore pet care mostrano ritardi strutturali e forte disomogeneità tra Comuni costieri e interni. E' la fotografia del XIV rapporto nazionale 'Animali in Città' di Legambiente sulle performance dei Comuni e delle Asl nella gestione degli animali nei centri urbani (con il patrocinio di Anci, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Enci, Fnovi, Amvi e Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva), presentato questa mattina in occasione ella 37esima edizione di Festambiente, il festival nazionale del Cigno Verde dal 6 al 10 agosto a Rispescia (GR). Nel 2024, su un campione di 734 amministrazioni comunali (appena il 9,3% dei comuni italiani) che hanno risposto in modo completo al questionario di Legambiente, solo il 39,5% (meno di 4 comuni su 10) ha ottenuto una performance almeno sufficiente nella gestione degli animali d’affezione. Di questi - spiega l'associazione - 82 Comuni costieri (il 12,7% del totale in Italia) e 652 interni (il 9% del totale) che, pur condividendo ritardi strutturali, dimostrano andamenti divergenti, con differenze marcate nella qualità e disponibilità dei servizi offerti ai cittadini e ai loro animali. La disomogeneità più evidente riguarda l’accesso ad aree libere per cani: presenti nel 36,2% dei Comuni costieri e nel 10,4% appena dei Comuni interni - rileva Legambiente - Altra differenza si registra per i servizi di pensione per animali, disponibili nel 57,3% dei Comuni costieri e in appena il 21,9% di quelli dell’entroterra. Nella gestione del fine vita degli animali d’affezione, invece, solo il 28% dei Comuni costieri e il 10% degli interni ha predisposto regolamenti per cremazione, tumulazione o inumazione. Altro tema sensibile sono botti e fuochi d’artificio, spesso fonte di stress per gli amici a quattro zampe - si legge nel report - ad adottare regolamenti specifici per limitarne l’uso il 21,9% dei Comuni costieri e l’8,3% di quelli interni. Ancora limitata, poi, la presenza di Sportelli Animali o di un Garante per i diritti degli animali (l’8,5% dei Comuni costieri e il 4,4% per quelli interni) e di un sostegno economico ai cittadini nella sterilizzazione degli animali (14,6% e 4,7%). Un grave ritardo dei Comuni costieri - avverte l'associazione - è costituito dall’adozione di un regolamento per la corretta fruizione delle spiagge da parte delle famiglie con animali d’affezione, presente solo nel 23,2% dei casi. Il Cigno Verde è tornato a denunciare, poi, l'assenza di una sanità veterinaria pubblica di prossimità. Non solo la fotografia dei ritardi da colmare. Anche quest’anno Legambiente assegna il Premio 'Animali in città' a quelle realtà virtuose che si sono distinte per l’offerta di servizi e azioni dedicate alla prevenzione del benessere animale, sulla base di 36 indicatori per i Comuni e di 25 per le Aziende Sanitarie. Tra le amministrazioni comunali premiate, Napoli che si distingue per la copertura sanitaria e l’integrazione tra servizi veterinari e socioassistenziali; San Giovanni in Persiceto (BO) che eccelle grazie a servizi integrati, un forte attivismo civico e ordinanze comunali efficaci; Modena per l’investimento economico significativo e una regolamentazione urbana completa a tutela del benessere animale. Tra i Comuni sotto i 5mila abitanti, premiati Zocca (MO) e Campodolcino (SO) per i loro investimenti in educazione civica e in progetti sociali adattati al contesto rurale e montano. Tra le Asl più virtuose, invece, si distinguono Napoli 1, Bergamo e Vercelli, che oltre a fornire dati puntuali, integrano meglio i servizi sanitari con quelli offerti dai Comuni, operando con proattività. "Il XIV Rapporto di Animali in città - dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale Legambiente - conferma che solo grazie a solide alleanze tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati è possibile garantire il benessere delle famiglie con animali d’affezione. Per questo chiediamo di promuovere ed agevolare la firma di 1.000 accordi o patti di comunità in tutto il Paese. È urgente rilanciare la sanità veterinaria pubblica di prossimità, obiettivo per cui chiediamo al governo di realizzare un piano nazionale a supporto delle Regioni che consenta l’assunzione stabile di 6mila veterinari e alle Regioni il raggiungimento complessivo di 1.000 strutture veterinarie pubbliche (850 tra canili sanitari e gattili sanitari e circa 150 ospedali veterinari pubblici), distribuite equamente sul territorio in rapporto alla popolazione servita. Inoltre, alle Amministrazioni comunali l'appello è di potenziare le aree verdi con libero accesso dedicate alle famiglie con cani, di valorizzare l’applicazione di regolamenti e ordinanze e rafforzare il senso civico grazie al supporto di 10mila guardie ambientali e zoofile delle associazioni di volontariato, per migliorare concretamente la qualità della vita di cittadini e animali”.