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(Adnkronos) - "La Milano di questi giorni potrebbe essere raccontata come una torta a tre strati. O meglio, come un palazzo a tre piani. C’è la giustizia, c’è la società, c’è la politica. Argomenti che si intrecciano tra loro, ovviamente. Ma che andrebbero analizzati distintamente, per quanto possibile. Dal punto di vista giudiziario l’unica cosa costruttiva che si può fare è attendere. Magari evitando il vizio più diffuso di questi anni. E cioè il derby infinito tra chi considera la magistratura come la depositaria di un’etica pubblica che la politica sarebbe incapace di custodire e chi all’opposto la considera come la causa principale del degrado di tutta la nostra sfera istituzionale. Viste le cose da una certa distanza, la prima impressione è che non sia emersa alcuna “prova regina” nei confronti degli amministratori milanesi. Ma per l’appunto occorre sfrondare il contesto, per quanto possibile, da quegli eccessi di reciproca certezza che inducono più alla tifoseria che non all’accertamento delle cose. Dal punto di vista sociale ci sarebbe invece da discutere, e molto, sul modello di città che questa vicenda porta alla luce. La 'verticalizzazione', per dirla con le parole del sindaco Sala. La Milano di questi anni si è sviluppata per l’appunto in altezza, sia fisica che simbolica. Ha curato i grandi progetti, i punti di eccellenza, lo skyline, insomma tutto quello che implica e descrive una grande metropoli, attrattiva verso il mondo che conta e che avverte il fascino e il valore di queste cose. C’è una Milano “alta” che vive di esposizioni, fiere, grattacieli, progetti di grande qualità e richiamo. E c’è una Milano più bassa che fatica a cogliere i vantaggi di tutto questo e vede crescere la sua marginalità e la sua insicurezza. La distanza tra queste due Milano è andata crescendo ed ha più di qualcosa a che vedere con tutte le difficoltà politiche (e giudiziarie?) di cui si parla. In ogni caso esiste un problema sociale che in un balzo diventa problema di consenso. Con tutte le conseguenze che vediamo. Infine dal punto di vista politico c’è da fare i conti con il vuoto di una classe dirigente che sia introdotta nei circuiti istituzionali che contano. Questione antica, si dirà. Antichissima. Fin dagli albori della Repubblica il nostro più rilevante ceto politico è salito verso Roma partendo dal Mezzogiorno. Con tutte le eccezioni del caso, ovviamente. E con una sola eccezione, però, che riguarda la città di Milano: Bettino Craxi. Nella Repubblica dei partiti è sembrato quasi che si fosse stabilita una consuetudine. Al sud i campioni del consenso, al nord i campioni degli affari (in senso buono, s’intende). Alla capitale morale del paese, come veniva battezzata all’epoca, restavano tante altre soddisfazioni. Ma non quella di definire i fondamentali equilibri politici italiani. Non che siano mancate figure rispettabili e di valore, s’intende. Alcune delle quali anche in questi giorni hanno dispensato parole piene di saggezza e di amor politico non appena i media hanno offerto loro la possibilità di tornare a parlare. Ma il baricentro della nostra vita pubblica è rimasto quasi sempre un pochino più a sud. A Roma, ovviamente. E ancora più a sud, laddove i partiti dell’epoca esprimevano caterve di preferenze e numeri iperbolici di iscritti. Non era tutto oro colato, certo. Ma in quei numeri si poteva leggere anche il segno e la conferma di una vocazione per la cosa pubblica assai più diffusa di quella che si poteva rintracciare dalle parti del Duomo e nei suoi dintorni. E così si torna sempre al punto cruciale. Cioè alla dimensione politica delle cose. Milano si è posta a lungo come una sorta di capitale morale (ed economica) del paese. Ignara del fatto che una certa disdegnosa lontananza dalla sfera politica non porta quasi mai nulla di buono. E invece sarà proprio su questo terreno che si giocherà la partita decisiva per Sala e per la sua città". (di Marco Follini)
(Adnkronos) - Il 90% delle startup fallisce entro cinque anni, come spiega Startup Genome. Quindi, in Italia, solo il 10% sopravvive. E no, non è per mancanza di creatività. E’ per assenza di metodo, di competenze reali e di una cultura d’impresa all’altezza delle sfide attuali. A mancare, in molti casi, non è l’innovazione, ma la capacità di trasformarla in un’impresa economicamente sostenibile. i “Una startup non è una scommessa: è una macchina complessa da far funzionare, ogni giorno, con lucidità e pragmatismo”, spiega all’Adnkronos/Labitalia Nicola Zanetti, fondatore di B-PlanNow, autore del libro Startup Fundamentals e protagonista dell’ecosistema europeo tra InnovUp, Italian Tech Alliance, Bulgarian Venture Capital Association e Besco. “Oggi - afferma - fare impresa significa saper governare l’incertezza. Chi guida una startup deve essere un manager della complessità, capace di leggere i mercati in movimento, anticipare i cambiamenti e formarsi costantemente - in verticale (sul proprio settore) e in orizzontale (su strategia, execution, marketing, finanza). La differenza tra chi scala e chi si arena si gioca qui: nella capacità di prendere decisioni rapide, informate e adattive. E serve una preparazione che non si improvvisa”. Negli ultimi quindici anni Zanetti ha lavorato con centinaia di team in fase pre-seed e seed tra Italia ed Europa dell’Est, divulgando i temi legati all’imprenditorialità anche nel suo blog, seguito da oltre 10.000 lettori ogni mese. “Fare impresa - avverte - non è un atto creativo fine a sé stesso, ma un processo decisionale continuo che deve poggiare su basi solide: dati, metriche, insight quantitativi e qualitativi. E’ finita l’era delle scelte ‘di pancia’. Oggi, chi non sa leggere il contesto, analizzare il comportamento del cliente, comprendere i pattern di acquisto e monitorare in tempo reale le performance delle proprie azioni è semplicemente tagliato fuori. L’imprenditoria moderna vive di analisi predittiva”. Secondo la sua analisi, il motivo principale per cui molte startup non superano nemmeno il primo anno è, infatti, la mancanza di competenze manageriali trasversali: pianificazione strategica, gestione finanziaria, organizzazione del lavoro e visione operativa. “L’errore più comune - continua - tra chi si affaccia al mondo dell’imprenditoria e in particolare delle startup è credere che un’intuizione brillante sia sufficiente per costruire un business di successo. Ma la realtà è molto diversa. Un’idea, per quanto affascinante, senza numeri resta un’opinione. E oggi, nel mercato attuale, le opinioni non bastano più. Ai primi posti tra le cause di fallimento ci sono l’esaurimento dei fondi, l’assenza di un mercato effettivo, business model fragili, problemi di pricing e difficoltà interne al team. Tutti elementi che derivano da una preparazione insufficiente su come guidare un’impresa, più che da una carenza di idee”. “L’Italia - sottolinea - è piena di energie imprenditoriali, ma manca una rete solida e continua che accompagni le startup nei primi mille giorni, quando la sopravvivenza si gioca su pochi margini”. Dall’esperienza sul campo, Zanetti ha anche individuato cinque errori ricorrenti che accomunano molte startup che non riescono a crescere: 1) non validare il bisogno di mercato prima di costruire il prodotto; 2) non avere un business model chiaro e innovativo fin dall’inizio; 3) comunicare in modo vago, senza un posizionamento nitido; 4) cercare fondi troppo presto, senza numeri né strategia; 5) affrontare tutto da soli, senza mentor né visione esterna. “Una buona idea - fa notare - non è automaticamente un buon business. Senza validazione, il rischio è costruire un castello nel deserto. E la raccolta fondi non è un punto di partenza, è un punto d’arrivo”. Per rispondere a queste criticità, Zanetti ha sviluppato il metodo ScaleUp, un approccio operativo articolato in sei fasi: modello di business, validazione, posizionamento, go-to-market, modello economico e kpi, fundraising. Un percorso non standardizzato, ma modellato su contesto reale, risorse e mercato. “Ogni progetto - sottolinea - ha bisogno di strumenti concreti ad hoc per decidere meglio. E farlo subito E in un contesto in cui le risorse economiche scarseggiano proprio nei momenti più delicati e in cui la narrazione sulle startup è spesso più ottimistica che realistica, la vera sfida per l’Italia è aiutare chi ha idee a renderle resistenti nel tempo. La priorità oggi non è moltiplicare le startup, ma fare in modo che quelle che esistono diventino aziende vere. Fare impresa oggi è - o dovrebbe essere - una scienza applicata. Ogni mossa può (e deve) essere validata. Ogni strategia può essere testata. Ogni investimento può essere ottimizzato. Questo non significa togliere spazio alla creatività, ma incanalarla dentro un processo strutturato, misurabile e replicabile. Il mio obiettivo è sempre stato creare scaleup profittevoli e non unicorni da vetrina, capaci di stare sul mercato per anni, e far crescere il capitale dei soci e degli investitori”.
(Adnkronos) - Oltre il 90% degli ingredienti principali mappati sino all'origine con punte del 94% per le nocciole e del 97% per cacao e olio di palma, il 92,1% degli imballaggi progettati per essere riciclabili, emissioni di Scope 1 e 2 ridotte del 21,7% con l'obiettivo prefissato di dimezzare le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2030, il 90% dell'elettricità per la produzione e lo stoccaggio proveniente da fonti rinnovabili. Sono i principali progressi raggiunti da Ferrero nel perseguimento dei principali obiettivi di sostenibilità coerente all’impegno del gruppo volto a generare un impatto positivo sull’intera catena del valore e contenuti nel 16esimo rapporto di sostenibilità pubblicato oggi. “La sostenibilità è profondamente radicata nella strategia a lungo termine di Ferrero - sottolinea Giovanni Ferrero, Executive Chairman del Gruppo - e’ un motore fondamentale della resilienza aziendale e guida le nostre decisioni, mentre cresciamo responsabilmente. Di fronte alle sfide globali, in particolare al cambiamento climatico, il nostro impegno rimane chiaro: approvvigionarsi responsabilmente, innovare con coraggio e salvaguardare l’ambiente per le generazioni future. Questo progresso è reso possibile grazie all’adozione di azioni collettive, alla valorizzazione dell'innovazione, ricerca e sviluppo, continuando ad imparare dalle nostre esperienze, per ottenere un impatto misurabile e significativo”. “A livello di sostenibilità, abbiamo compiuto progressi costanti nella nostra agenda durante l'anno fiscale 2023/2024 - aggiunge Lapo Civiletti, Chief Executive Officer del Gruppo Ferrero - sono particolarmente orgoglioso dei progressi che stiamo mettendo in atto per raggiungere i nostri obiettivi a lungo termine. Abbiamo portato avanti con successo il nostro percorso in ambito sostenibilità, mantenendo al contempo una solida gestione finanziaria in tutta l'azienda. Stiamo compiendo grandi sforzi nella tracciabilità dei nostri ingredienti chiave e per migliorare la visibilità della catena di approvvigionamento, portando avanti al contempo i nostri impegni per garantire i diritti umani, proseguendo il nostro percorso di decarbonizzazione”. Tra gli gli altri punti significativi del rapporto, in tema di sicurezza e qualità alimentare emerge che il 100% degli stabilimenti Ferrero è certificato secondo lo standard Global Food Safety Initiative (Gfsi), un’attenzione costante alle porzioni accuratamente definite con l’85% dei volumi commercializzati che presenta una porzione pari o inferiore a 130 kcal, il 63% pari o inferiore a 100 kcal e il 91% inferiore a 150 kcal a porzione. Il rappoto segnala, poi, un impatto continuo sulle comunità nei Paesi di origine attraverso partnership di lunga data con organizzazioni internazionali e locali, come l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) e Save the Children: in particolate, Kinder Joy of moving ha raggiunto oltre 3,7 milioni di bambini in 35 Paesi, con investimenti superiori a 13 milioni di euro. Nel 2024, Ferrero ha collaborato con Organizzazione degli Stati Americani (Oas ) per promuovere l'inclusione, l'equità e l'accesso ai diritti attraverso lo sport e l'attività fisica, in particolare per bambini, adolescenti e donne delle Americhe. Infine, sul fronte degli imballaggi il rapporto evidenzia notevoli progressi nella riduzione della plastica vergine, tra i quali è rilevante la diminuzione del 13% del rapporto plastica/prodotto. Questo include la conversione delle scatole di Ferrero Rocher da polistirene a polipropilene in Nord America e Cina, con un risparmio stimato di circa 11.000 tonnellate di plastica e il lancio di Nutella Plant-Based in vasetti realizzati con il 60% di vetro riciclato e il nuovo cucchiaino di carta di Kinder Joy.