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(Adnkronos) - Un 60enne originario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) è stato arrestato dalla Polizia perché accusato dell'omicidio di una badante russa 75enne, trovata senza vita lo scorso 12 luglio sul greto del torrente Longano in avanzato stato di decomposizione. Le indagini avviate dagli investigatori della squadra mobile di Messina e del commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto, con il coordinamento dei magistrati della procura di Barcellona, sono state incentrate sin dall’inizio sulle frequentazioni della donna. In particolare, è emersa la posizione di un uomo che potrebbe aver avuto un ruolo attivo nel decesso della donna, dovuto alle ferite mortali riportate cadendo dal muro di cinta dell’argine del torrente. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, il 60enne, il 7 luglio precedente avrebbe invitato la donna a casa sua. A fronte di un rifiuto della vittima, in quel momento seduta sul muretto di cinta posto sull’argine del torrente, l’uomo avrebbe avuto un contatto con lei che, a causa del precario equilibrio, sarebbe caduta nell’alveo del torrente. L’uomo, pur avendo appurato che la donna in seguito alla caduta era in una situazione di oggettivo pericolo di vita, avrebbe deciso di allontanarsi non prestandole i soccorsi e così determinandone la morte. L’uomo è stato portato nella casa circondariale di Messina Gazzi.
(Adnkronos) - Il passaggio generazionale rappresenta oggi una vera e propria urgenza industriale, ma quali sono gli ostacoli – culturali, organizzativi o personali – che ancora ne rallentano una pianificazione consapevole nelle imprese italiane? Adnkronos/Labitalia ne ha parlato con Marco Oliveri, co-founder & partner di KeyPartners. “Il passaggio generazionale – afferma – è una bomba a orologeria che riguarda l’intera struttura produttiva italiana. Entro il 2030, più di 400.000 imprese familiari, pari a circa ¼ del tessuto imprenditoriale privato nazionale, dovranno affrontare un ricambio ai vertici. Eppure, secondo le stime, solo il 17% ha già avviato un processo di successione strutturato. I motivi? Spesso non sono tecnici ma profondamente culturali. Il fondatore tende a rimanere accentratore, faticando a ‘mollare il timone’; la governance è spesso informale e poco adatta a gestire una transizione; e il ricambio viene vissuto come una perdita di potere, anziché come un atto di visione. Il paradosso è che si pianifica l’espansione, l’M&a, persino la digitalizzazione, ma non si pianifica la continuità. E’ come costruire un grattacielo senza prevedere le scale antincendio”. “In Italia – spiega – esiste una nuova classe imprenditoriale pronta a raccogliere il testimone, ma va coltivata e messa nelle condizioni di agire. Parliamo di una generazione più internazionale, fluente in modelli di business agili, digitale-native e con una maggiore attenzione a esg, de&i e impatto sociale. Una generazione che conosce e sperimenta attivamente l’utilizzo delle nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale ai big data, fino agli strumenti di automazione dei processi decisionali e alla digitalizzazione della customer experience. Ma la preparazione tecnica non basta. La nuova leadership deve saper tenere insieme il rispetto per il passato e il coraggio del cambiamento, saper dialogare con generazioni diverse, portare innovazione anche dove la tradizione è radicata. Il vero punto non è solo ‘cambiare’ ma convincere e guidare il cambiamento, dentro e fuori l’organizzazione. Le aziende che ce la fanno sono quelle che non lasciano soli i futuri leader, ma li affiancano con governance moderne, modelli collaborativi e alleanze strategiche”, aggiunge. Per Oliveri “oggi la leva per affrontare questa transizione generazionale è la professionalizzazione del processo. Non basta identificare ‘chi viene dopo’: serve un piano, una governance chiara, un assessment delle competenze e una roadmap per lo sviluppo. In KeyPartners accompagniamo le aziende in questo percorso con un approccio multidisciplinare: executive search per inserire risorse strategiche anche esterne alla famiglia; assessment e leadership advisory per valutare e far crescere i profili interni; coaching per le generazioni entranti e uscenti; e strumenti per il disegno della governance”. “Costruiamo – racconta – piani di successione su misura con metriche e kpi (key performance indicator), aiutiamo le imprese a gestire la transizione come un’opportunità strategica e non come una fase di incertezza. Abbiamo visto casi in cui la nuova generazione ha raddoppiato il business in pochi anni – ma solo quando inserita con metodo, visione e un ruolo ben definito. Inoltre, siamo attivamente coinvolti in progetti di diversity, equity & inclusion, un ambito che riteniamo fondamentale anche nei processi di passaggio generazionale. Una leadership inclusiva, consapevole delle dinamiche di genere, culturali e valoriali, è oggi un requisito essenziale per guidare imprese che vogliono essere competitive nel lungo periodo. Inserire la de&i come parte della cultura manageriale delle nuove generazioni è uno dei principali investimenti per il futuro”. Cosa dovrebbero fare le istituzioni per accompagnare e incentivare il passaggio generazionale nelle pmi italiane? “Serve – sottolinea – un cambio di paradigma: il passaggio generazionale non è un tema familiare, è una priorità industriale. E va trattata come tale. Da un lato, strumenti fiscali e normativi che premino le imprese che pianificano il ricambio: incentivi per chi investe nella formazione dei successori, agevolazioni per i passaggi di proprietà, supporti per la consulenza e la governance". "Dall’altro, servono tavoli tecnici permanenti tra istituzioni ed esperti – come noi di KeyPartners – per costruire soluzioni concrete, rapide e replicabili. Perché non prevedere, ad esempio, un credito d’imposta per le imprese che avviano un percorso certificato di successione? Oppure un sistema premiante per i distretti che si rigenerano con governance intergenerazionali? In un Paese che basa l’80% del Pil sulle pmi, perdere imprese per mancanza di continuità è un danno economico e sociale. Il futuro non si eredita: si costruisce, con metodo e visione. E’ tempo di affrontare questa sfida con l’urgenza che merita”, conclude.
(Adnkronos) - “Oggi presentiamo un esempio di ricerca universitaria molto avanzata e già molto vicina a una sperimentazione su strada reale. È qualcosa di potenzialmente pronto per un servizio, ma bisogna fare un grande salto. Lo deve fare l'Italia, lo deve fare l'Europa: trasformare questi bei progetti molto avanzati di ricerca e sviluppo, in progetti industriali imprenditoriali”. Così Sergio Matteo Savaresi, professore e direttore del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, alla presentazione del progetto ‘Sharing for Caring’, a Darfo Boario Terme (Bs). Si tratta di ‘Robo-caring’, il primo prototipo italiano di mobilità autonoma - una Fiat 500 elettrica sviluppata all’interno del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile, dal Politecnico di Milano - pensato per persone anziane e con fragilità. Il progetto gode del sostegno di Fondazione Ico Falck e Fondazione Politecnico di Milano, e della collaborazione di Cisco Italia come partner tecnologico. Un'innovazione che si basa su “una tecnologia estremamente complessa che richiede tante risorse economiche - sottolinea il professore - Stiamo provando a trasformare questo bellissimo progetto di ricerca in un grosso progetto imprenditoriale per dare all'Italia e all'Europa la chance di avere questa tecnologia che oggi, di fatto ha solo la Cina e gli Stati Uniti”. Ma per cogliere questa opportunità Italia ed Europa “devono fare un salto”, si diceva. Per farlo servono grosse risorse economiche da impiegare nella trasformazione di una tecnologia estremamente complessa in un servizio disponibile ai cittadini. Ma non solo. “Serve uno sblocco normativo che rimuova la necessità di avere il safety-driver a bordo, oggi obbligatorio per fare questa sperimentazione (Decreto Ministeriale 70 del 2018 ‘Smart Road’ ndr.) - evidenzia Savaresi - Le due cose dovrebbero avvenire idealmente insieme: quando la tecnologia è stata messa completamente a punto da un'entità industriale imprenditoriale, serve lo sblocco normativo”, suggerisce. Il prototipo presentato a Darfo Boario è l'espressione di un futuro imminente. Ma viene da chiedersi: quando vedremo davvero sulle strade italiane un veicolo a guida autonoma senza safety-driver? “Perché la messa a punto industriale e lo sbocco normativo arrivino a compimento prevediamo dai 2 ai 4 anni”, stima Savaresi.