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(Adnkronos) - “Please yourself like you mean it”, ovvero “Goditi il piacere come vuoi tu”. È questo il messaggio al centro del nuovo lancio firmato Harry Styles, che espande il suo marchio di lifestyle e bellezza con una linea dedicata al benessere intimo. L’ex membro dei One Direction ha annunciato l’arrivo di “Pleasing Yourself”, un’evoluzione del brand “Pleasing”, fondato nel 2021, che ora abbraccia il tema del piacere personale e del prendersi cura del proprio corpo. Il prodotto, protagonista del lancio, è un vibratore da 68 dollari, design elegante, con sette velocità diverse e due motori, progettato per essere potente ma al tempo stesso compatto. Il sex toy è stato realizzato in collaborazione con Zoë Ligon, educatrice sessuale e fondatrice di Spectrum Boutique. “I motori sono profondi e potenti, ma il dispositivo è abbastanza piccolo da essere usato da soli o con un partner”, ha spiegato. È stato realizzato in silicone, è facile da pulire e pensato per adattarsi a diverse esperienze. La linea comprende anche un lubrificante a base di silicone, approvato dalla FDA, ideato per accompagnare una vasta gamma di momenti intimi e… non solo. È un nuovo capitolo per il cantante e attore statunitense. Con "Pleasing Yourself" Harry Styles continua a seguire la sua missione: abbattere i tabù.
(Adnkronos) - Risparmiare sui dazi? Una 'mission possible' per ExportUsa - società specializzata nello sviluppo commerciale sul mercato americano, attiva da oltre 20 anni con sedi a New York, Dayton (Ohio), Miami (Florida), Rimini (Italia) e Bruxelles (Belgio) - che ha appena lanciato uno Sportello dazi, dedicato proprio alle aziende italiane che esportano negli Stati Uniti e vogliono orientarsi tra categorie doganali, tariffe e regolamenti complessi. Lo sportello (dazi@exportusa.us) fornisce consulenza su classificazioni doganali corrette, simulazioni di costo e strategie per evitare errori che portano a dazi cumulativi. Per affrontare questa 'spada di Damocle' che pende sulle imprese italiane esportatrici, infatti, è fondamentale gestire l’export in modo consapevole e strategico, e in qualche caso si può trovare il modo per risparmiare in modo consistente. Come dire: trasformare un ostacolo in opportunità. A spiegarlo, in un'intervista a Adnkronos/Labitalia, è il presidente di ExportUsa, Lucio Miranda. Si parla spesso di dazi quando si discute di esportazioni verso gli Stati Uniti. Perché questo tema è così centrale oggi? "I dazi sono senza dubbio uno dei temi più caldi nel commercio con gli Usa, e lo sono ancora di più da quando Donald Trump ha iniziato a sfidare i partner europei. Ne parlano i media di tutto il mondo, ma nonostante questo molte aziende italiane che vogliono esportare negli Stati Uniti si trovano ancora in difficoltà su un aspetto fondamentale che sta a monte: il calcolo corretto del dazio. Molte volte manca una strategia chiara. Le imprese si affidano a procedure frettolose o a soggetti esterni che, comprensibilmente, non hanno a cuore il risparmio per l’azienda. Il risultato è che spesso si pagano più dazi del necessario". E' da qui che nasce l’idea dello Sportello dazi Usa di ExportUsa (dazi@exportusa.us). Come funziona? "Abbiamo creato uno sportello dedicato, già attivo e contattabile alla mail dazi@exportusa.us, proprio per supportare le aziende italiane nel districarsi tra categorie doganali e le tariffe. È un servizio di consulenza che nasce dall’esperienza quotidiana sul campo. Niente teoria astratta, andiamo dritti al punto: aiutare le imprese a risparmiare, anche cifre molto consistenti, grazie a un protocollo d’importazione sviluppato insieme a uno studio legale americano esperto di diritto doganale". Quali sono gli errori più comuni che riscontrate tra le aziende italiane? "Il primo è delegare in bianco il calcolo del dazio allo spedizioniere. Lo capisco: le imprese vogliono semplificare il processo. Ma lo spedizioniere tende a scegliere l’opzione più prudente per evitare contestazioni, e questo ha un costo. Il nostro consiglio è chiaro: non delegare alla cieca, ma seguire da vicino la classificazione delle merci e verificare sempre i codici utilizzati". E i Codici doganali sono gli stessi in Europa e negli Usa? "Molti pensano di sì, ma non è vero. Le prime quattro cifre del sistema armonizzato sono uguali, ma le successive sei cambiano. Ed è proprio lì che si gioca la partita del risparmio. Una classificazione più accurata può abbassare di molto l’aliquota applicata. Ignorare questa differenza significa esporsi a un’imposizione più elevata, del tutto evitabile". Quindi tutto parte da una corretta classificazione delle merci? "Direi di sì: è il primo passo per un calcolo doganale corretto. Ma non è banale: non si tratta solo di descrivere il prodotto, ma di capire come viene classificato secondo la logica americana, che non sempre coincide con quella europea. Gli Usa seguono criteri rigorosi, e spesso un errore porta a pagare dazi più alti. Noi aiutiamo le aziende a utilizzare strumenti ufficiali come i pareri vincolanti della dogana americana, che offrono chiarezza e sono fondamentali in caso di dubbi". E, concretamente, quanto si può risparmiare seguendo questi consigli? "Dipende da diversi fattori: volume della merce, dazio medio applicato e costo industriale del prodotto. Ma parliamo di cifre davvero significative. Un’azienda che esporta imbarcazioni, cosmetici o integratori per un valore annuo di 12 milioni di dollari, con un costo di produzione del 40% e un dazio medio del 10%, può risparmiare 500.000 dollari in un anno, 1,7 milioni in tre, fino a 2,9 milioni in cinque anni. Anche nel settore dei macchinar i margini ci sono. Se un’azienda esporta 15 milioni di dollari l’anno, con un costo industriale del 60% e un dazio medio del 14%, il risparmio può arrivare a 400.000 dollari in un solo anno e 2,5 milioni in cinque anni". Come si svolge il lavoro dello sportello? "Facciamo simulazioni caso per caso, valutando tutti i parametri rilevanti. Molti imprenditori stanno aspettando il primo agosto nella speranza che i dazi vengano cancellati. Ma il dazio del 30% annunciato da Trump è ancora solo un’ipotesi. Quello che è molto più probabile è che il 10% diventi la nuova base di partenza. Aspettare senza muoversi non è una strategia". Quindi il suo consiglio finale per le imprese italiane? "Essere proattivi. Non aspettare che la situazione cambi da sola, ma gestire l’export in modo consapevole e strategico. I dazi sono un costo, ma non sono inevitabili. Con le giuste competenze e strumenti, si possono ridurre in modo importante. Lo Sportello Dazi nasce proprio per questo".
(Adnkronos) - Il 24 luglio 2025 è l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l’umanità esaurisce il budget ecologico annuale del Pianeta. A calcolarla ogni anno è il Global Footprint Network sulla base dei National Footprint and Biocapacity Accounts gestiti dalla York University. Il Wwf, con la sua campagna Our Future, chiede a tutti di "imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta, oggi più che mai". Secondo i calcoli del Global Footprint Network, infatti, attualmente, la popolazione globale consuma l’equivalente di 1,8 pianeti Terra ogni anno, un ritmo che supera dell’80% la capacità rigenerativa degli ecosistemi terrestri. Questo squilibrio è alla base delle crisi ambientali della nostra epoca: la perdita di biodiversità, la deforestazione, il degrado del suolo, l’esaurimento delle risorse (crisi idrica, collasso di stock ittici) fino all’accumulo di gas serra. Uno sfruttamento di risorse che è aumentato nel tempo, tanto che la data dell’Overshoot si è spostata da fine dicembre, nel 1970, a luglio, nel 2025. Il risultato? Un debito cumulativo nei confronti del Pianeta di 22 anni. In pratica, se il sovrasfruttamento ecologico fosse completamente reversibile, ci vorrebbero 22 anni di piena capacità rigenerativa del Pianeta per ripristinare l'equilibrio perduto. "Un calcolo, però - ricorda il Wwf - solo teorico perché ad oggi non tutta la capacità rigenerativa è più intatta (abbiamo perso intere foreste, eroso i suoli, impoverito i mari…) e alcuni danni che abbiamo provocato sono ormai irreversibili (come le specie che si sono estinte o i ghiacciai sciolti). Inoltre, la crisi climatica in corso aggrava ulteriormente la capacità del Pianeta di rigenerarsi". “Non solo stiamo vivendo 'a credito' ogni anno, ma abbiamo anche accumulato un enorme debito nei confronti del sistema Terra. Ripagare questo debito, in termini ecologici, è quasi impossibile se continuiamo a ignorarne le conseguenze - afferma Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia - Si tratta di una chiamata urgente all’azione per cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo, prima che il danno diventi definitivamente irreparabile”. La rotta - avverte l'associazione - può essere invertita: "Per riportare l’umanità in equilibrio con le risorse terrestri (ovvero far coincidere l’Overshoot Day con il 31 dicembre), dobbiamo ridurre l’impronta ecologica globale di circa il 60% rispetto ai livelli attuali". Per il Wwf, è possibile spostare la data dell’Overshoot agendo in cinque settori strategici: "Transizione energetica (passare a fonti rinnovabili ed eliminare i combustibili fossili); economia circolare (riciclare, riutilizzare, azzerare gli sprechi); alimentazione sostenibile (diminuire il consumo di carne e preferire cibi biologici, locali e stagionali); mobilità green (favorire trasporti pubblici, biciclette e veicoli elettrici); politiche globali (accordi internazionali più stringenti per la tutela ambientale)". Così, "se riuscissimo a spostare l’Overshoot Day di 5 giorni all’anno, entro il 2050 torneremmo in equilibrio con le risorse del Pianeta. Si tratta di una media realistica che combina: tecnologia (efficienza energetica, rinnovabili), comportamenti individuali (dieta, trasporti, stile di vita) e politiche globali (accordi climatici, economia circolare)". “Un nodo cruciale è il nostro modello economico, fondato sulla crescita illimitata dei consumi materiali - di energia, risorse, materie prime - che è semplicemente incompatibile con un Pianeta dalle risorse finite. Non dobbiamo puntare all’aumento quantitativo, ma a un progresso qualitativo, fatto di conoscenza, relazioni umane, diritti e tutela della Natura da cui dipendiamo. È fondamentale sostituire il Pil come unico indicatore di sviluppo con indicatori più complessi, che considerino la salute degli ecosistemi, il benessere psicologico e la coesione sociale”.