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(Adnkronos) - “So, dalle persone che devono autorizzare questi raid, che questa era l’ultima cosa che avrebbero voluto accadesse”. Lo afferma Michael Oren, già ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e membro della Knesset, parlando con l’Adnkronos del raid delle Forze di difesa israeliane (Idf) che ha colpito la chiesa della Sacra Famiglia nella Striscia di Gaza e provocato tre morti. “Più Gaza passa sotto controllo israeliano, più aumenta il rischio che ordigni esplodano dove non dovrebbero”, puntualizza Oren, aggiungendo che la popolazione israeliana è “confusa e turbata” a riguardo. L’episodio è solo l’ultima fonte di preoccupazione per il premier Benjamin Netanyahu, alle prese con molteplici fronti esteri e una crisi interna che rischia di far crollare il suo governo in seguito all’uscita di due partiti ultraortodossi. Tutte questioni interconnesse. È possibile che la sua strategia attuale sia quella di arrivare alla pausa estiva della Knesset, che inizierà il 27 luglio e finirà il 19 ottobre, spiega l’ex ambasciatore. Nei tre mesi di sospensione dell’attività parlamentare il primo ministro “può fare molto. Magari un accordo su Gaza che il suo governo finora non avrebbe accettato. Potrebbe anche avviare un processo di pace con l’Arabia Saudita, forse con Libano e Siria, e poi arrivare alle elezioni del 2026 rafforzato”. L’ostacolo sono i forti attriti all’interno della coalizione che sostiene Netanyahu, un riflesso delle più ampie divisioni nella società israeliana. I due partiti dimissionari minacciano di far crollare l’esecutivo per non aver dato seguito alla promessa di esentare la popolazione ultraortodossa dalla leva militare obbligatoria. Di contro, sia la popolazione che l’esercito sono “esausti” dopo ventuno mesi di guerra, alle forze Idf servono nuovi effettivi, e l’esecutivo è “malvisto” per non aver ancora agito sull’arruolamento degli studenti della Torah, spiega il diplomatico. Su tutto grava ancora il “terribile dilemma” di Gaza, dove la scelta è tra sconfiggere Hamas e liberare gli ostaggi, “due obiettivi che si escludono a vicenda”. “Il governo sostiene, non del tutto a torto, che se si accetta di finirla e ritirarsi da Gaza, Hamas uscirebbe dai tunnel, dichiarerebbe la vittoria, riprenderebbe il controllo, si riorganizzerebbe, e magari tra cinque o dieci anni attaccherebbe di nuovo. Forse si salverebbero 20 ostaggi oggi, ma di certo non tutti. E si rischia di perdere 200, 2000 israeliani in futuro”. I miliziani non restituiranno tutti gli ostaggi per scoraggiare ulteriori attacchi israeliani dopo l’avvenuta liberazione, obiettivo a suo tempo caldeggiato dal governo israeliano, sottolinea Oren. Al contempo, "il premier pensa che se il jihadismo vince, se Hamas viene percepita come trionfante, allora anche la Cisgiordania potrebbe esplodere". Il rischio è anche che crolli la possibilità dell'estensione degli Accordi di Abramo per la stabilità regionale, perché "nessun Paese arabo farà pace con uno Stato percepito come debole", aggiunge l’ex ambasciatore. "Ci sarebbero problemi in Europa, anche in Italia”, prosegue, ricordando il rapporto pubblicato di recente dal governo francese secondo cui i Fratelli Musulmani, collegati a Hamas, hanno creato uno Stato nello Stato in Francia: “bisogna riflettere su cosa significherebbe, per il Paese, se Hamas vincesse”. Inoltre Israele dovrebbe scambiare gli ostaggi rimanenti con i prigionieri nella consapevolezza che l’80% di questi torna al terrorismo. “Quindi ci sarebbero conseguenze mortali. Questo dice il governo". Nel mentre, ci sono divisioni anche sulla gestione di Gaza stessa, con potenziali impatti sistemici sulla forza militare israeliana, spiega Oren. “Parte del governo vorrebbe costringere la popolazione palestinese a spostarsi nel 25% sud della Striscia, la cosiddetta ‘zona umanitaria’, lasciando il restante 75% a nord, dove poi l’esercito entrerebbe a ‘ripulire’ la zona da Hamas. E magari chi sostiene questo progetto vuole anche ricostruire insediamenti israeliani a nord. Ma l’esercito dice che non si può fare”. Si tratta della “prima volta nella storia del Paese in cui l’esercito dice chiaramente ‘no’ al governo”, avverte, spiegando che un amico nell’Idf gli ha riferito che non può escludere il rifiuto dei soldati di continuare a combattere. “Non so se sono d'accordo con questa affermazione, ma se ne parla. Mai successo". In tutto questo, i media israeliani “non coprono in modo significativo le critiche che Israele riceve dal resto del mondo e il crescente isolamento. Su un’ora di telegiornale, quaranta minuti sono dedicati ai caduti. Non vediamo ciò che vede il mondo. Non vediamo molta della sofferenza palestinese. C’è un grande punto cieco qui. E questo vale per i media di sinistra, non solo per quelli di destra”. In tutto questo, gli attacchi in Siria “sollevano interrogativi sul motivo per cui Israele, mentre sta combattendo su più fronti, abbia deciso di aprirne uno nuovo, e proprio con un Paese dove i vertici hanno espresso interesse nel mantenere contatti diplomatici aperti”, evidenzia l’ex ambasciatore israeliano. “Detto questo, ci sono motivazioni convincenti per l’azione militare”, a partire dal “patto di sangue” esistente tra la minoranza drusa, al centro di un’ondata di violenza settaria, e israeliani. Anche perché quel legame strettissimo ha a che fare con l’esistenza stessa dello Stato di Israele. “Nel 1956 i drusi si offrirono volontari per il servizio militare obbligatorio nelle Idf, una delle sole due comunità non ebree ad averlo fatto, e hanno avuto un ruolo fondamentale nella nostra difesa”, racconta Oren. Poi il legame “si è complicato nel 2018, quando la Knesset ha approvato una legge ha designato Israele come Stato-Nazione del popolo ebraico, ma senza menzionare i drusi. E molti di essi si sono offesi. Quindi il nostro rapporto con loro è radicato, ma anche delicato”. La “famiglia drusa” è rimasta unita al netto dei confini tracciati nel Novecento, e i suoi membri vorrebbero che Israele li proteggesse allo stesso modo in cui protegge gli ebrei minacciati nel mondo. La componente ebraica d’Israele è d’accordo, Netanyahu lo sa, e “qualunque governo israeliano avrebbe agito allo stesso modo”, conclude l’ex ambasciatore. Ci sono altri motivi per i bombardamenti Idf in Siria, come lo scetticismo degli israeliani rispetto al fatto che il presidente ad interim Ahmed Al Sharaa possieda l’autorità di stipulare un accordo con Israele, e se sarà ancora al potere fra un anno. La Siria è frammentata, ospita una moltitudine di minoranze etniche e religiose, e fin dall’indipendenza “è stato tenuto insieme da una forma di potere centrale e brutale”. L’esempio per eccellenza è la dinastia dell’ultimo dittatore siriano, Bashar al-Assad, rovesciato da al-Sharaa lo scorso dicembre e responsabile della morte di migliaia dei propri cittadini. E “non è chiaro” se il presidente ad interim, che ha sempre combattuto la minoranza alawita e ora si trova in conflitto con quella drusa, abbia una presa solida sul Paese. Da questi segnali di instabilità, uniti alle prove riguardo la presenza di armi non contabilizzate, incluse armi chimiche, nel Paese, deriva il timore israeliano che il governo siriano possa crollare e che la zona cuscinetto nel sud della Siria torni ad essere una minaccia. Quella zona smilitarizzata e sotto controllo Onu, rioccupata temporaneamente da Israele dopo la destituzione di Assad, fu creata come parte di un accordo di cessate il fuoco dopo la guerra del Yom Kippur, promosso da Henry Kissinger e firmato da Hafez al Assad, padre e predecessore di Bashar. La paura di Israele, dunque, è che il governo attuale non lo rispetti e non lo onori, spiega Oren. Su questo scenario intricato si staglia la presenza dell’Iran, finanziatore di ultima istanza di Hamas, Hezbollah, gli Houthi e altre formazioni che minacciano l’esistenza stessa di Israele, nonché oggetto di una campagna di bombardamenti israeliani lo scorso giugno, a cui gli Stati Uniti hanno dato manforte. “Dal punto di vista militare si può parlare di vittoria. Ma strategicamente siamo lontani da ciò, perché gli iraniani non pensano di essere stati sconfitti”, puntualizza l’ex ambasciatore. Stando al regime l’Iran non si è arreso a Israele e agli Usa, “anzi, sono stati gli americani a voler cedere e fare pressioni sugli israeliani affinché si arrendessero”. Il leader supremo Ali Khamenei ha scritto in un post che l’Iran ha vinto la guerra affrontando la più grande superpotenza del mondo, “ed è proprio ciò che non volevo si verificasse. Quindi, la domanda è: lo credono davvero o è solo retorica? C’è la possibilità che ci credano davvero”. Nel mentre, prosegue Oren, “nessuno conosce davvero i termini del cessate il fuoco in vigore. Se dovessero ricominciare a ricostruire Fordow”, centro fondamentale per il programma nucleare iraniano, “è previsto qualcosa a riguardo? Se no, cosa dovrebbe fare Israele? E cosa sono disposti a fare gli Stati Uniti? Ci sono moltissime domande. E credo che l’Iran sia in una posizione tale da potersi riprendere”. L’obiettivo è riavviare i negoziati per un accordo che imbrigli il programma nucleare iraniano, ambito in cui l’Ue ha un ruolo “estremamente importante”. A ottobre decorre il decennale JCPoA, l’accordo nucleare partito nel 2015 e da cui gli Usa si sono sfilati durante il primo mandato di Donald Trump, mossa che Oren condanna. Ora gli europei, che ne fanno ancora parte, devono accordarsi sul sanzionare l’Iran in merito al mancato rispetto del Trattato di non proliferazione (certificato a giugno dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica), per poi mettere pressione al regime allo scopo di convincerlo ad accettare ispezioni nei centri di sviluppo nucleare e rivelare la posizione delle scorte di uranio altamente arricchito. Anche se, stando al diplomatico, “l’unica cosa che potrebbe indurre il governo iraniano a riprendere i negoziati sarebbe il timore di una rivolta interna”. Si tratta di una possibilità su cui le valutazioni del mondo esterno, Israele incluso, sono “sempre state troppo ottimistiche”. Lo stesso Netanyahu prevedeva che il regime iraniano sarebbe collassato al termine della campagna militare, spiega Oren, citando fonti con conoscenza diretta del pensiero del premier. Questo è un riflesso di una debolezza più strutturale del Paese e dei suoi apparati di intelligence: “Israele è molto bravo a sapere dove un obiettivo pranzerà il martedì e dove cenerà il mercoledì, dove vengono tenute le armi. Siamo bravi a piazzare microspie e cercapersone. Ma siamo meno bravi nell’anticipare le tendenze a lungo termine… molto bravi nel pensiero tattico, ma non quello strategico”. “L’Iran è un caso classico in cui sapevamo tantissimo su dove dormisse ognuno degli obiettivi. Abbiamo eliminato 30 leader”, evidenzia l’ex ambasciatore. Per quanto riguarda la prospettiva di lungo periodo, tra gli esperti c’era la “sensazione generale” che dopo le bombe la popolazione sarebbe insorta. “In realtà è successo il contrario: la popolazione si è stretta attorno al regime”. (di Otto Lanzavecchia).
(Adnkronos) - Promuovere la regolarità contributiva, normativa ed economica nei rapporti di lavoro gestiti dalle imprese impegnate nella filiera degli appalti e subappalti edili attraverso l’individuazione di metodi innovativi e strumenti sussidiari ai controlli ispettivi, che possano garantire la tutela dei diritti dei lavoratori e la crescita del tessuto imprenditoriale. E' questo l’obiettivo del protocollo d’intesa siglato oggi, a Roma, in occasione del summit sulla sicurezza 'Lavoro sicuro: sfide, innovazioni e prospettive per la prevenzione' in corso presso la sede dell'Inail, tra la Fondazione studi consulenti del lavoro e l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance). Un’intesa che mira a rafforzare la cultura della legalità e a diffondere l’utilizzo dell’asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro dedicata al comparto dell’edilizia (Asse.Co. Edilizia) quale strumento volontario di verifica e premiante delle imprese virtuose. L’Asse.Co. Edilizia costituisce un’opportunità per rafforzare gli imprescindibili strumenti di controllo previsti dalla normativa vigente, come il Durc e la verifica di congruità, ed è pensata per favorire un sistema imprenditoriale sano, valorizzando le aziende che scelgono di certificare la regolarità dei propri rapporti di lavoro. “L’Asse.Co. - dichiara il presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca - continua ad avere un riconoscimento sempre più ampio come strumento di presidio della legalità. Accogliamo con grande favore che anche l’Ance si unisca al nostro impegno con cui, da oltre dieci anni, contribuiamo a rafforzare la responsabilità sociale d’impresa e lo sviluppo di un mercato del lavoro trasparente. La diffusione dell’Asse.Co. Edilizia rappresenta una scelta strategica per accompagnare le imprese del comparto edile in un percorso di crescita sostenibile, tutelando al tempo stesso i lavoratori e il corretto funzionamento della filiera produttiva”. “Questo protocollo - sottolinea la presidente Ance, Federica Brancaccio - rappresenta un ulteriore passo avanti per la trasparenza delle nostre imprese e la diffusione della cultura della legalità, principi che guidano l’azione associativa, forte di un sistema bilaterale unico nel panorama delle relazioni industriali italiane, che sta facendo grandi progressi su questi temi. Con l’Asse.Co. vogliamo fornire inoltre a tutti gli operatori uno strumento in più che li possa aiutare a gestire con semplicità e chiarezza gli adempimenti che riguardano la regolarità e la tutela dei lavoratori. Da molti anni l'Ance ha intrapreso un percorso di diffondere il più possibile la cultura della sicurezza e della regolarità e della responsabilità sociale. Per noi il rapporto con i consulenti del lavoro è centrale perché di fatto ogni impresa ha un consulente del lavoro. Questo protocollo è un ulteriore passo in avanti per diffondere al cultura della qualificazione della sicurezza e della legalità. Ovviamente è un modello volontario di asseverazione che dà alcune indicazioni più specifiche molto importanti magari per un'impresa che deve sceglierne un'altra e quindi valutarne la capacità di essere regolare, sana e virtuosa". Nel corso dell'evento è stato presentato il rapporto della Fondazione studi consulenti del lavoro 'La dimensione territoriale della sicurezza sul lavoro: i numeri del 2024', che analizza le disomogeneità territoriali degli infortuni sul lavoro, con un focus sui casi avvenuti esternamente all’ambiente lavorativo. Dal rapporto emerge che le grandi città italiane diventano terreno critico per la sicurezza dei lavoratori. Roma e Milano sono infatti maglia nera per gli infortuni in itinere. Nel 2024, a Roma quasi un incidente sul lavoro su tre (28,6%) è avvenuto durante il tragitto casa-lavoro, il tasso più alto a livello nazionale. Milano segue con un’incidenza del 24,6%, mentre Firenze e Genova si attestano al 23,4%, e Torino al 23,1%. All’estremo opposto, Bolzano, Crotone e Benevento registrano le incidenze più basse, rispettivamente 7,3%, 8,7% e 9,7%. A livello regionale, il Lazio rappresenta un caso emblematico per la crescita degli incidenti in itinere: nel 2024 il 25,9% degli infortuni totali e il 33,3% delle morti sul lavoro sono legati agli spostamenti casa-lavoro. Elevate anche le incidenze in Liguria (20,8%), Piemonte (19%) e Lombardia (19%), mentre Trentino-Alto Adige (8,6%) e Molise (11,4%) mostrano i livelli più contenuti. Fuori dalle aziende, dunque, il quadro è preoccupante. Gli incidenti in itinere sono tornati a crescere, con un +3,1% nelle denunce dei casi occorsi ai lavoratori e un +10,2% nei casi mortali (303 decessi, pari al 25,5% del totale) tra 2023 e 2024. Una tendenza che prosegue anche nel primo trimestre 2025: mentre gli infortuni complessivi calano del 2,3% e i decessi in occasione di lavoro del 2,7%, i morti in itinere registrano un’impennata del +51,3%. Secondo il rapporto, le cause sono da ricercare in fattori esterni al controllo diretto delle aziende: l’ampliamento dei bacini di pendolarità, la crescente distanza tra casa e lavoro e la fragilità dei sistemi di trasporto pubblico, che spingono milioni di lavoratori a utilizzare il mezzo privato, con conseguente maggiore esposizione al rischio. Di contro, gli infortuni nei luoghi o in occasione di lavoro sono diminuiti del 9,9% tra il 2019 e il 2024 e la loro incidenza ogni 10.000 occupati è passata da 199 a 173. Anche la componente mortale evidenzia una flessione, con un calo dei decessi dei lavoratori nello svolgimento dell’attività lavorativa da 902 a 886 (-1,8%). "Oggi - spiega Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro - siamo qui per la sigla del protocollo d’intesa con l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) per rafforzare la cultura della legalità e a diffondere l’utilizzo dell’asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro dedicata al comparto dell’edilizia (Asse.Co. Edilizia) quale strumento volontario di verifica e premiante delle imprese virtuose. Ribadisco quindi la piena adesione a un movimento virtuoso che porti a contrastare il fenomeno degli infortuni sul lavoro". "Dopo tanti anni - prosegue - abbiamo una proattività normativa che produce effetti e questo dà più stimolo, per chi opera all'interno delle aziende, per fronteggiare un fenomeno da debellare e che non può lasciare indifferenti nessuno". "La materia della sicurezza dovrebbe essere sottratta alla polemica politica; noi siamo tecnici e ne siamo molto lontani, ma è normale che quando si utilizza un tema per fare polemica politica ognuno la utilizza a modo a volte stropicciando i numeri", avverte. "Riteniamo - sottolinea Fabrizio D'Ascenzo, presidente dell'Inail - che il contributo dei consulenti del lavoro è fondamentale per portare avanti le nostre iniziative. Sono essenziali per poter raggiungere quelli che devono essere i nostri destinatari privilegiati, in particolare per quanto concerne i bandi Isi. Nel tempo abbiamo fatto sforzi consistenti per aumentare il budget dei bandi reso disponibile per le aziende proprio per effettuare investimenti in sicurezza. Però è importante anche curare il rapporto e la comunicazione e soprattutto far sì che le pmi possano essere messe in condizione di poter entrare in contatto con queste iniziative e usufruire di queste possibilità che mettiamo a disposizione. In questo senso i consulenti del lavoro hanno un rapporto diretto con le aziende e sono essenziali nel fare da messaggeri delle nostre iniziative affinché vengano sfruttate. Per il futuro ci aspettiamo un supporto da parte dei consulenti, l'accordo è triennale, e dal lato nostro cercheremo di essere più precisi nella possibilità di semplificare i meccanismi e di migliorare la qualità delle procedure per l'accesso". "Per i bandi Isi - ricorda Marcello Fiori, direttore dell'Inail - siamo passati da 60 milioni di euro, a disposizione del 2010, a oltre 1 miliardo e 200 milioni. L'obiettivo dell'Inail è quello di far crescere il sistema produttivo italiano in modo tale che le imprese possano produrre e creare ricchezza in sicurezza. Mi pare positivamente che i tavoli aperti a Palazzo Chigi vadano in questa direzione". "Oltre ai bandi Isi - precisa - noi mettiamo a disposizione uno strumento diretto al sistema dell'azienda, +23, con la possibilità di applicare l'oscillazione della tariffa applicata in base all'andamento infortunistico degli ultimi due anni dell'azienda, una sorta di bonus malus che premia le aziende virtuose, e l'applicazione di una riduzione della tariffa nel caso si usino tecnologie per la sicurezza. E' importante far conoscere alle imprese l'accesso agli strumenti messi in campo dall'Inail, attraverso incontri sul territorio con le associazioni di categoria e gli ordini professionali". "Il ruolo dell'Ispettorato non è solo quello di fare ispezioni, ma è anche quello di contribuire alla cultura della salute e sicurezza". A dirlo Danilo Papa, direttore dell'Ispettorato nazionale del lavoro, intervenendo al summit sulla sicurezza 'Lavoro sicuro: sfide, innovazioni e prospettive per la prevenzione'. "Le violazioni riscontrate - spiega - sono sempre le stesse: la sorveglianza sanitaria, la formazione, l'informazione, la caduta dall'alto e la valutazione dei rischi. Rispetto a questo quadro si innesta la 'patente a crediti' che è uno strumento importantissimo ed è una vera rivoluzione e non solo perché dalla sua introduzione si è fatta una selezione degli operatori sul mercato. Una settimana fa è stato fatto un passo importante perché abbiamo dato attuazione ad altre norme del decreto 132 dell'articolo 27 che riguardano da un lato la visualizzazione della patente e dall'altro l'implementazione dei crediti".
(Adnkronos) - Sono oltre 72 milioni di euro le risorse messe a disposizione ogni anno da A2a per le proprie persone. Questi i numeri del Gruppo relativi ai servizi di welfare, ai Premi di produttività, oltre al nuovo piano di azionariato diffuso presentati oggi a Milano: un sistema ampio e articolato che tiene conto delle diverse dimensioni che concorrono a favorire il benessere di un individuo, tra le quali la famiglia, il risparmio, la salute, il tempo libero. Le ricerche svolte da Percorsi di secondo welfare (laboratorio che studia i cambiamenti in atto legato al Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell'Università degli Studi di Milano) indicano che nel 2023 le imprese italiane hanno investito nel welfare aziendale circa 3,2 miliardi di euro. Un dato in crescita di oltre il 6% rispetto all'anno precedente, che conferma un trend positivo che negli ultimi 10 anni ha visto il consolidamento della cultura delle organizzazioni sui temi sociali. Tra le aziende, infatti, continua a crescere la consapevolezza di come queste policy siano in grado di migliorare il benessere di chi lavora, incidendo positivamente su clima interno, produttività e attrattività delle organizzazioni. L’evento ‘WelLfare. Il Welfare fa davvero bene’ - a cui hanno preso parte la Sindaca di Brescia Laura Castelletti, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e i vertici di A2a, il presidente Roberto Tasca e l’ad Renato Mazzoncini - è stato un’occasione per condividere una riflessione su questi temi e sull’intero ecosistema che coinvolge tanti attori nel panorama italiano, con i contributi della Prof.ssa Marilisa D’Amico, del professor Maurizio Ferrera e della professoressa Franca Maino, docenti dell’Università Statale di Milano e la moderazione di Barbara Stefanelli, vicedirettore vicario del Corriere della Sera. Gli effetti dei cambiamenti demografici e sociali richiedono interventi per rispondere ai nuovi bisogni dei cittadini: in questo contesto le prestazioni erogate dalle aziende, affiancandosi e integrandosi al welfare pubblico, possono contribuire a generare un impatto positivo nella creazione di valore per il territorio e per le comunità. “Il welfare aziendale - commenta Roberto Tasca, presidente di A2a - ha una lunga tradizione nella storia di A2a: le prime forme di supporto ai dipendenti attivate negli Anni ‘60 per fronteggiare fenomeni come l’emarginazione sociale, tipica di quel periodo, erano già strumenti di attenzione alle persone e inclusione. Questo percorso è proseguito negli anni con numerose iniziative, l’ultima delle quali in ordine di tempo è il Piano di Azionariato Diffuso”. E aggiunge: “Oggi il Gruppo è tra le prime aziende del Paese e la prima che opera anche nell’ambito dell’economia circolare ad avere attivato questo programma con 5,3 milioni di euro che cresceranno ancora nella fase successiva. Oltre a coinvolgere i nostri colleghi nel percorso di crescita della società condividendo con loro i risultati raggiunti insieme, rappresenta anche una leva di educazione finanziaria per favorire la conoscenza rispetto all’impiego delle proprie risorse economiche. Con questo Piano testimoniamo il senso di responsabilità che abbiamo nei loro confronti. Le quasi 11mila adesioni ci confermano l’importanza dell’investimento fatto e l’elevato livello di affiliazione dei nostri dipendenti”. Evidenzia l’ad di A2a, Mazzoncini: “La disponibilità e l’accessibilità dei servizi incidono sempre di più sulla qualità della vita. L’impegno del Gruppo per il benessere dei dipendenti è cresciuto negli anni ed è diventato centrale nella nostra strategia. Per le nostre persone abbiamo previsto oltre 72 milioni di euro all’anno attraverso un sistema strutturato che si è evoluto e rafforzato nel tempo fino a diventare un modello di riferimento nel nostro ambito industriale. Ne è esempio il piano da 120 milioni al 2035 per sostenere i nostri colleghi nei loro progetti di genitorialità”. Quindi sottolinea: "Di fronte ai cambiamenti socio-demografici in atto i sistemi di welfare possono diventare laboratori di innovazione in grado di attivare alleanze tra pubblico e privato e mettere a sistema azioni orientate a garantire maggiore benessere per le comunità”. Mauro Ghilardi, direttore People and Transformation di A2a, rimarca come, a partire dai primi fondi di assistenza sanitaria per le famiglie, le case vacanze e le colonie estive avviati diversi anni fa, l’impegno del Gruppo per il benessere dei dipendenti si sia esteso e rafforzato. Solo negli ultimi 18 mesi sono stati avviati A2a Life Caring - il programma da 10 milioni di euro l’anno (120 milioni in arco piano) per supportare la genitorialità con aiuti economici e iniziative formative, tra le quali un contributo annuale fino a 3.250 euro per i primi 3 anni di vita del bambino e il supporto per le spese sostenute per la cura e l’istruzione dei figli fino alla fine dell’istruzione secondaria - e A2a Life Sharing - il Piano di Azionariato Diffuso da oltre 5,3 milioni annui grazie al quale le persone del Gruppo possono partecipare alla crescita dell’azienda. Gli elementi distintivi dei due piani (Life Caring e Life Sharing) risiedono anche nella condivisione con le organizzazioni sindacali. In particolare, il Piano di Azionariato Diffuso è stato sottoscritto e supportato dalla maggior parte delle sigle presenti nel Gruppo, un unicum nel panorama imprenditoriale (recenti analoghe iniziative di altre aziende sono state definite in modo unilaterale). Alla prima fase ha aderito oltre l’86% degli aventi diritto; in autunno partirà la seconda fase nella quale tutti i dipendenti potranno acquistare azioni di A2a ricevendone ulteriori gratuitamente con una premialità inversa rispetto al proprio inquadramento contrattuale per favorire i colleghi con le retribuzioni più basse: 1 azione gratuita ogni azione acquistata per gli operai, 1 azione gratuita ogni 3 per quadri e impiegati, 1 azione gratuita ogni 5 acquistate per i dirigenti. Diciotto milioni di euro sono inoltre previsti per altri servizi (tra i quali il progetto ‘Case ai lavoratori’, l’assistenza sanitaria integrativa, assistenza psicologica, iniziative di wellbeing e lotta alle dipendenze, convenzioni attive) a cui si aggiungono ulteriori 39 milioni per i Premi di produttività, che i dipendenti possono scegliere di destinare in tutto o in parte ai fondi di previdenza complementare, usufruendo di un contributo aggiuntivo da parte di A2a sull’importo convertito (di circa il 15%). Oltre a quelli di natura economica, le politiche di welfare di A2a sono in grado di abilitare importanti benefici indiretti: favoriscono la diffusione tra la popolazione aziendale di informazioni sulle prestazioni alle quali si può accedere, e quindi maggiore consapevolezza sui propri diritti, e incentivano meccanismi occupazionali virtuosi come la capacità di attrazione di nuovi talenti e lo sviluppo di un indotto di servizi di qualità sul territorio.