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(Adnkronos) - Russia e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo per un incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump sull'Ucraina, che avverrà nei prossimi giorni: "Stiamo ora avviando preparativi concreti insieme ai nostri colleghi americani", ha dichiarato il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov. Un passo forse decisivo nella prospettiva di porre le basi per una fine della guerra in Ucraina. E l’Europa? Ci sarà spazio per Bruxelles al tavolo delle trattive? Protagonisti certi dell'incontro in preparazione saranno Putin e Trump mentre sembra più difficile che si possa organizzare direttamente un incontro alla presenza di Volodymyr Zelensky. In questo scenario, resta alla finestra l’Europa. Il Vecchio Continente, di cui l’Ucraina è geograficamente parte, vuole e deve avere voce in capitolo per difendere gli interessi di Kiev che, in buona parte, coincidono con quelli degli altri paesi europei. L’obiettivo finale deve essere una pace più stabile e duratura possibile. Difficile, per definizione, che si possa arrivare anche a una pace giusta ma è evidente, agli occhi di Bruxelles, che non potrà essere una pace negoziata solo da Stati Uniti e Russia e sostanzialmente accettata, e subita dall’Ucraina. In questo senso, i passi che sta muovendo Zelensky in queste ore sono coerenti con un disegno chiaro: legare il più possibile le sorti del suo Paese alle conseguenze che riguarderanno il resto dell’Europa. Il presidente ucraino ha avuto un colloquio telefonico con il cancelliere tedesco Friedrich Merz. "Ucraina e Germania - ha poi scritto in un post su X - condividono l'opinione che la guerra debba terminare il prima possibile con una pace dignitosa, e i parametri per porre fine a questa guerra modelleranno il panorama della sicurezza in Europa per i decenni a venire. La guerra è in corso in Europa e l'Ucraina ne è parte integrante: siamo già in trattative per l'adesione all'UE. Pertanto, l'Europa deve partecipare ai processi pertinenti". Zelensky ha anche rilanciato la palla nel campo di Mosca. "L'Ucraina non ha paura degli incontri e si aspetta lo stesso approccio coraggioso dalla parte russa", ha affermato. Stesso schema sull’asse Kiev-Parigi. Il presidente ucraino ha avuto un colloquio telefonico con il presidente francese Emmanuel Macron, con il quale "ha condiviso il punto di vista dell'Ucraina sulla conversazione di ieri con il Presidente Trump e i colleghi europei”. Più in particolare, ha insistito Zelensky, “stiamo coordinando le nostre posizioni e riconosciamo allo stesso modo la necessità di una visione europea comune sulle principali questioni di sicurezza per l'Europa. Molto dipende, sia ora che a lungo termine, dalla prudenza e dall'efficacia di ogni passo compiuto da Europa e America", ha aggiunto. Cosa dice, invece, Bruxelles? Da parte della Commissione Europea "non c'è alcuna delusione" per la possibile esclusione dell'Ue dal ventilato incontro tra Donald Trump, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky per parlare della guerra in Ucraina, dato che il "formato non è ancora stato deciso", ha puntualizzato la portavoce. Quanto al fatto che l'Ue sia stata tagliata fuori dalla telefonata di ieri tra Trump e Zelensky, cui hanno partecipato il segretario generale della Nato Mark Rutte e i leader di vari Paesi europei, la portavoce assicura che la presidente Ursula von der Leyen ha ricevuto "estesi debriefing" da parte di "diversi leader dell'Ue". La domanda che viene spontaneo porsi, a questo punto, è: è sufficiente che la presidente della Commissione Ue sia costantemente informata o avrebbe dovuto ritagliarsi un ruolo più attivo in questo passaggio cruciale? Soprattutto, in attesa che vengano effettivamente definiti il formato degli incontri e la road map delle trattative, è bene che l’Europa trovi il modo per far pesare il più possibile la sua posizione. Perché l’Ucraina ne ha bisogno e perché dall’esito delle trattative, da come finirà se riuscirà a finire la guerra, dipenderà anche buona parte della sicurezza e dell’autonomia che Bruxelles potrà garantire a tutti gli Stati membri. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - Un traguardo importante per Santa Tresa, un passo storico per la viticoltura siciliana: con la recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo disciplinare Terre Siciliane Igt, torna finalmente tra le varietà ammesse anche l’Orisi, vitigno autoctono siciliano a lungo dimenticato e finora impossibile da indicare in etichetta. A riportarlo in vita è stata proprio la tenuta di Vittoria (Ragusa) guidata da Stefano Girelli, che da anni lavora per recuperare questo raro tesoro ampelografico. Fino ad ora l’Orisi, reimpiantato grazie a un progetto sperimentale della Regione Sicilia, non poteva essere nominato sulle bottiglie: il vino prodotto da Santa Tresa portava in etichetta solo una 'O', simbolo del suo nome “non scritto”. Con la modifica del disciplinare, l’Orisi può finalmente riprendersi la sua identità anche in etichetta, coronando un percorso che unisce ricerca e storia dell’enologia siciliana. Il vitigno Orisi, nato dall’incrocio spontaneo tra Sangiovese e Montonico Bianco, era sopravvissuto in pochissimi esemplari nei Nebrodi. Il suo recupero è iniziato nel 2003 grazie a un ambizioso piano regionale di valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani, che ha coinvolto il vivaio regionale Federico Paulsen di Marsala e l’azienda Santa Tresa. Nel vigneto sperimentale di Santa Tresa, che si estende su una superficie di circa 5.600 mq, con 2.830 piante, sono presenti 18 vitigni e circa 31 fenotipi diversi. Un bacino di biodiversità della vitivinicoltura siciliana, dove si studia l’interazione del sistema ecologico 'clima/pianta/terreno' dei diversi cloni dei principali vitigni siciliani, oltre che dei vitigni reliquia come l’Orisi, la loro resilienza per una viticoltura sostenibile. In questi anni, dalle 16 piante presenti nel campo sperimentale della tenuta, si è riusciti a ottenere 1.523 ceppi di Orisi, coltivati a spalliera in terreni franco sabbiosi, minerali, su uno strato di calcareniti compatte. "Oltre al dato tecnico, che consente l'utilizzo in etichetta del nome varietale, per noi di Santa Tresa significa anche il riconoscimento dell'impegno che nasce dal nostro campo sperimentale, dalla tecnica agronomica, passa dalle micro-vinificazioni e giunge, grazie alla cultura enologica, al riconoscimento normativo", commenta Stefano Girelli, alla guida di Santa Tresa con la sorella Marina. La vinificazione di 'O' di Santa Tresa segue un protocollo rigoroso: vendemmia manuale a settembre, refrigerazione, fermentazione in botti di rovere di Slavonia e un lungo affinamento sulle bucce fino alla vendemmia successiva, prima di un riposo in acciaio di 4-5 mesi. Santa Tresa, con i suoi 50 ettari di cui 39 coltivati a vite, continua così a essere un esempio virtuoso di viticoltura biologica, capace di coniugare tradizione, biodiversità e innovazione nel pieno rispetto della natura.
(Adnkronos) - Il 24 luglio 2025 è l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l’umanità esaurisce il budget ecologico annuale del Pianeta. A calcolarla ogni anno è il Global Footprint Network sulla base dei National Footprint and Biocapacity Accounts gestiti dalla York University. Il Wwf, con la sua campagna Our Future, chiede a tutti di "imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta, oggi più che mai". Secondo i calcoli del Global Footprint Network, infatti, attualmente, la popolazione globale consuma l’equivalente di 1,8 pianeti Terra ogni anno, un ritmo che supera dell’80% la capacità rigenerativa degli ecosistemi terrestri. Questo squilibrio è alla base delle crisi ambientali della nostra epoca: la perdita di biodiversità, la deforestazione, il degrado del suolo, l’esaurimento delle risorse (crisi idrica, collasso di stock ittici) fino all’accumulo di gas serra. Uno sfruttamento di risorse che è aumentato nel tempo, tanto che la data dell’Overshoot si è spostata da fine dicembre, nel 1970, a luglio, nel 2025. Il risultato? Un debito cumulativo nei confronti del Pianeta di 22 anni. In pratica, se il sovrasfruttamento ecologico fosse completamente reversibile, ci vorrebbero 22 anni di piena capacità rigenerativa del Pianeta per ripristinare l'equilibrio perduto. "Un calcolo, però - ricorda il Wwf - solo teorico perché ad oggi non tutta la capacità rigenerativa è più intatta (abbiamo perso intere foreste, eroso i suoli, impoverito i mari…) e alcuni danni che abbiamo provocato sono ormai irreversibili (come le specie che si sono estinte o i ghiacciai sciolti). Inoltre, la crisi climatica in corso aggrava ulteriormente la capacità del Pianeta di rigenerarsi". “Non solo stiamo vivendo 'a credito' ogni anno, ma abbiamo anche accumulato un enorme debito nei confronti del sistema Terra. Ripagare questo debito, in termini ecologici, è quasi impossibile se continuiamo a ignorarne le conseguenze - afferma Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia - Si tratta di una chiamata urgente all’azione per cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo, prima che il danno diventi definitivamente irreparabile”. La rotta - avverte l'associazione - può essere invertita: "Per riportare l’umanità in equilibrio con le risorse terrestri (ovvero far coincidere l’Overshoot Day con il 31 dicembre), dobbiamo ridurre l’impronta ecologica globale di circa il 60% rispetto ai livelli attuali". Per il Wwf, è possibile spostare la data dell’Overshoot agendo in cinque settori strategici: "Transizione energetica (passare a fonti rinnovabili ed eliminare i combustibili fossili); economia circolare (riciclare, riutilizzare, azzerare gli sprechi); alimentazione sostenibile (diminuire il consumo di carne e preferire cibi biologici, locali e stagionali); mobilità green (favorire trasporti pubblici, biciclette e veicoli elettrici); politiche globali (accordi internazionali più stringenti per la tutela ambientale)". Così, "se riuscissimo a spostare l’Overshoot Day di 5 giorni all’anno, entro il 2050 torneremmo in equilibrio con le risorse del Pianeta. Si tratta di una media realistica che combina: tecnologia (efficienza energetica, rinnovabili), comportamenti individuali (dieta, trasporti, stile di vita) e politiche globali (accordi climatici, economia circolare)". “Un nodo cruciale è il nostro modello economico, fondato sulla crescita illimitata dei consumi materiali - di energia, risorse, materie prime - che è semplicemente incompatibile con un Pianeta dalle risorse finite. Non dobbiamo puntare all’aumento quantitativo, ma a un progresso qualitativo, fatto di conoscenza, relazioni umane, diritti e tutela della Natura da cui dipendiamo. È fondamentale sostituire il Pil come unico indicatore di sviluppo con indicatori più complessi, che considerino la salute degli ecosistemi, il benessere psicologico e la coesione sociale”.