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(Adnkronos) - Questa notte una banda di ladri organizzata ha assaltato la sede Dhl di Monticelli d'Ongina, a cavallo tra le province di Piacenza e Cremona. Secondo le prime ricostruzioni dei carabinieri della Compagnia di Fiorenzuola e dei colleghi del Nucleo investigativo di Piacenza, il gruppo di malviventi avrebbe organizzato il colpo in ogni dettaglio, riuscendo a portare via tantissima merce, soprattutto dispositivi hi-tech tra cui cellulari, tablet e computer nuovi. Entrata in azione a notte inoltrata, la banda si sarebbe divisa in due gruppi. Una parte dei malviventi si è occupata di piazzare e incendiare macchine e furgoni (di cui erano entrati in possesso da un precedente furto) per bloccare gli accessi ed impedire l'arrivo tempestivo delle forze dell'ordine. Per riuscire a rallentare l'intervento, una volta scattato l'allarme, hanno gettato per terra anche chiodi a tre punte. Nel frattempo, un'altra squadra è penetrata con auto e camion nel piazzale della ditta, sfondando le sbarre e tenendo sotto il tiro le guardie all'ingresso. Poi hanno iniziato a svuotare il magazzino pieno di telefonini, tablet e computer nuovi. Infine, tutti i malviventi si sono dati alla fuga, dirigendosi in direzione del casello autostradale. La banda era composta da 15-20 individui. Da quanto si apprende il Nucleo investigativo di Piacenza sta lavorando per quantificare il valore della refurtiva, mentre procede l'indagine per identificare i malviventi, fuggiti verso nord una volta abbandonato il capannone. S
(Adnkronos) - Visti più semplici per l'ingresso di lavoratori italiani, l'eliminazione o la diminuzione di dazi sull'import di prodotti made in Italy, come ad esempio quello che ad oggi pesa sul tonno. O anche delle misure antidumping che ancora insistono sulla pasta. Sono alcune delle misure che Giovanni Colavita, amministratore delegato della Colavita Usa e membro del consiglio di amministrazione della Niaf, uno dei simboli dell'imprenditoria made in Italy negli States, si aspetta dal prossimo presidente degli Stati Uniti che uscirà vincente dal duello Harris-Trump. L'azienda molisana, racconta Giovanni Colavita, conosce bene il mercato statunitense anche perché, spiega l'imprenditore ad Adnkronos/Labitalia, "siamo stati il primo marchio di olio extravergine a sbarcare alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, e poi siamo passati anche all'aceto balsamico e alla pasta, e oggi il marchio Colavita è uno dei marchi leader nelle tre categorie nel Paese". "Nel 2008 abbiamo acquisito il nostro importatore, io mi sono trasferito negli States e mi sono reso conto che la nostra poteva essere la piattaforma distributiva non solo dei nostri prodotti ma anche di altri marchi italiani: da Sperlari a Rio Mare, da Mulino Bianco a Perugina, fino a San Benedetto. E da gennaio partiremo con i prodotti OraSì. Siamo il più grande distributore di prodotti italiani negli Stati Uniti", sottolinea. Un'esperienza sul mercato statunitense che permette a Colavita di avere il 'polso' di quanto oggi serve alle aziende per incrementare l'import di prodotti italiani e soprattutto per essere più competitivi. "Per le aziende italiane, e non parlo solo del food, la problematica principale è quella dei visti, e cioè la possibilità di portare risorse umane dall'Italia, 'importare' quindi i nostri giovani manager, operai specializzati, ma anche chef, personale di sala, e tanti altri profili. Questo oggi è possibile solo entro certi limiti, ed è una problematica importante, pensiamo alle difficoltà per il mondo della ristorazione sia in cucina che in sala", fa notare. Ma non è l'unica. "L'altro problema -prosegue Colavita- è quello relativo ai dazi e alla libera circolazione delle merci. Sulla pasta ad esempio ci sono delle misure di anti-dumping, che incidono da oltre 25 anni sulle vendite effettuate nel mercato americano 'al di sotto del valore normale'. In pratica, secondo questa norma, ogni anno il governo americano, d’intesa con i produttori locali, individua un numero variabile di esportatori italiani (10/15) e decide di investigarne direttamente solo alcuni di questi. Con procedure complicate ed estremamente dispendiose per le aziende investigate, viene individuato un margine presunto di dumping e quindi viene applicato il relativo dazio. E questo dazio viene applicato a tutte le altre aziende che esportano. Questo è uno degli ultimi casi di anti-dumping presente negli Stati Uniti e noi ci aspettiamo che il nuovo presidente lasci al mercato di regolare queste pratiche. E poi sempre sulla pasta c'è il 'countervailing duty', che si applica per offsettare l’effetto di contributi pubblici ricevuti dalle aziende esportatrici", afferma. Le aspettative delle imprese italiane per la nuova presidenza sono chiare. "Noi ci aspettiamo una eliminazione o riduzione dei dazi all'importazione. Ad esempio sull'importazione di Tonno Rio Mare noi paghiamo il 40% di dazi, un pagamento anticipato che ci mette in una condizione di non competitività e ci limita nella promozione del prodotto al mercato etnico, che è quello che comunque conosce il prodotto italiano e lo compra a prescindere. Ma invece nella grande distribuzione si fatica con i dazi", ribadisce Colavita. Secondo Colavita, in conclusione, per sostenere lo sviluppo delle imprese italiane ma in generale anche l'economia statunitense "serve un approccio liberale all'economia, diminuendo anche la pressione fiscale incentivando gli investimenti in tecnologia in modo da generare crescita e sviluppo".
(Adnkronos) - "Cosa resta del Green Deal? Al momento il Green Deal non è stato toccato di una virgola, c’è tutto. L’approccio ideologico non è mai esistito. Inoltre, il Green Deal è sempre stato immaginato non come una politica ambientalista ma come una politica di sviluppo economico". Così Enrico Giovannini, direttore scientifico ASviS, intervenendo all'evento Adnkronos Q&A ‘Trasformazione green, investimenti e strategie’, questa mattina al Palazzo dell’Informazione di Roma. "Il documento approvato dal Consiglio europeo, e quindi dai governi, è: 'massime ambizioni, dal Green Deal non si torna indietro, gli altri Paesi devono muoversi molto di più'. Cosa bisognerà fare? Il Clean Industrial Act perché gli altri Paesi del mondo che vanno in questa direzione oltre a regolare ci mettono anche i soldi. Bisogna accompagnare molto di più la transizione del settore industriale", aggiunge.