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(Adnkronos) - La dichiarazione dei leader europei sui negoziati sull'Ucraina è "un altro volantino nazista". Ad attaccare all'indomani della nota congiunta firmata dai leader di Italia, Francia, Gb, Germania, Finlandia, Polonia con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in vista del vertice tra Trump e Putin, è la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. "L'ufficio di Zelensky" ha pubblicato una dichiarazione congiunta dei leader di alcuni paesi dell'Ue e di Ursula von der Leyen, chiedendo un cessate il fuoco. Ma non (un cessate il fuoco, ndr) del tipo che si otterrebbe interrompendo le forniture di armi ai terroristi di Kiev. Al contrario, un altro volantino nazista sostiene che il successo nel raggiungimento della pace in Ucraina possa essere ottenuto solo esercitando pressioni sulla Russia e sostenendo Kiev", scrive Zakharova, descrivendo il rapporto fra presidenza ucraina e Ue come "necrofilia". E' arrivata la notte scorsa la dichiarazione congiunta della premier Giorgia Meloni, del presidente francese Emmanuel Macron, del premier britannico Keir Starmer, del cancelliere tedesco Friedric Marz, del presidente finlandese Alexander Stubb, del premier polacco Donald Tusk e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in vista del vertice tra Trump e Putin. "Accogliamo con favore l'impegno del presidente Trump volto a porre fine alle uccisioni in Ucraina, a concludere la guerra di aggressione della Federazione Russa e a garantire una pace e una sicurezza giuste e durature per l'Ucraina", affermano i leader. "Siamo convinti che solo un approccio che combini una diplomazia attiva, il sostegno all'Ucraina e la pressione sulla Federazione Russa affinché ponga fine alla sua guerra illegale possa avere successo", sostengono nella nota. E ancora: "Siamo pronti a sostenere questo impegno diplomaticamente, nonché a sostenere il nostro sostanziale sostegno militare e finanziario all'Ucraina, anche attraverso l'operato della Coalizione dei Volenterosi, e ad adottare e imporre misure restrittive nei confronti della Federazione Russa. Condividiamo - sottolineano ancora - la convinzione che una soluzione diplomatica debba proteggere gli interessi vitali di sicurezza dell'Ucraina e dell'Europa". "Concordiamo - continuano - sul fatto che questi interessi vitali includano la necessità di garanzie di sicurezza solide e credibili che consentano all'Ucraina di difendere efficacemente la propria sovranità e integrità territoriale. L'Ucraina ha la libertà di scegliere il proprio destino. Negoziati significativi possono aver luogo solo nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle ostilità. Il percorso verso la pace in Ucraina non può essere deciso senza l'Ucraina. Restiamo fedeli al principio secondo cui i confini internazionali non devono essere modificati con la forza. L'attuale linea del fronte dovrebbe essere il punto di partenza dei negoziati", sottolinenano ancora. Il leader europei ribadiscono quindi che "l'invasione gratuita e illegale dell'Ucraina da parte della Russia costituisce una flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite, dell'Atto finale di Helsinki, del Memorandum di Budapest e dei successivi impegni russi. Sottolineiamo il nostro incrollabile impegno per la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Ucraina". Quindi la conclusione: "Continuiamo a sostenere fermamente l'Ucraina. Siamo uniti come europei e determinati a promuovere congiuntamente i nostri interessi. Continueremo a collaborare strettamente con il Presidente Trump e con gli Stati Uniti d'America, con il Presidente Zelensky e con il popolo ucraino, per una pace in Ucraina che protegga i nostri vitali interessi di sicurezza". Intanto la Casa Bianca non escluderebbe del tutto la presenza di Volodymir Zelensky a un qualche incontro al vertice in Alaska di venerdì prossimo. A spiegarlo, anche oggi, due fonti informate citate da Cnn. Una fonte precisa che un qualsiasi evento che coinvolga Zelensky si terrebbe probabilmente dopo l'incontro fra Donald Trump e Vladimir Putin. Il vertice è stato organizzato molto velocemente e i dettagli sono ancora in divenire, a partire dalla località esatta in cui si svolgeranno i lavori in Alaska, ancora da annunciare, si precisa. La Casa Bianca "rimane aperta a un vertice trilaterale con entrambi i leader" anche se "sta organizzando l'incontro bilaterale richiesto da Putin", ha spiegato la seconda fonte. E Vladimir Putin ha ottenuto il suo vertice ideale dopo aver rischiato di perdersi il favore di Trump, scrive intanto il New York Times, precisando che il summit in Alaska è, per il presidente russo, "una opportunità, non solo per porre fine alla guerra alle sue condizioni ma anche di dividere l'alleanza di sicurezza Occidentale". "Parlando la lingua che Trump capisce, vale a dire quella del settore immobiliare (da cui proviene anche l'inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, ndr), Putin si è garantito quello che perseguiva sin da gennaio: un faccia a faccia con il leader americano senza che Zelensky sia presente, per spiegare le sue ragioni e definire un accordo", sottolinea il commento.
(Adnkronos) - "L'export del mercato americano ammonta a circa 170 milioni di euro e ovviamente l'incidenza del dazio è conseguente a questo volume. Quindi se consideriamo di un 15% di questi 170 milioni di euro si tratta di circa 24 milioni di euro, una cifra considerevole, impattante. Abbiamo preso un bello schiaffo, perchè il pecorino romano negli Usa si vende da 140 anni e non ha mai pagato dazio. Quindi siamo passati da uno zero a un più 15% e per noi è un danno non da poco". E' l'allarme che, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop, lancia sui possibili effetti dei dazi al 15% per i prodotti europei stabilito dall'intesa Usa-Ue su uno dei prodotti icona del made in Italy. "Il pecorino romano negli Usa -continua Maoddi- non ha mai pagato il dazio e si vende negli Usa da 140 anni, neanche in precedenza nel 2019 quando vennero introdotti i dazi a prodotti europei nella precedente amministrazione Trump. Il pecorino romano ne uscì indenne perché si riuscì a far capire all'amministrazione di quel tempo che ovviamente si trattava di una produzione particolare, con delle peculiarità assolutamente uniche, che di fatto poi non entrava in competizione con la produzione americana", aggiunge. E Maoddi ricorda quelli che sono i numeri del Pecorino romano Dop. "Siamo un consorzio che racchiude circa 40 produttori, che completano una filiera formata da circa 8.500 allevatori distribuiti tra Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto con una produzione che si attesterà nel 2025 intorno alle 39.000 tonnellate di pecorino, delle quali circa il 70% esportato nel mondo. E di questo circa il 40% negli Stati Uniti, che rappresentano il nostro primo mercato in assoluto di vendita oltre al mercato nazionale", spiega Maoddi. Maoddi sottolinea come "il 33-35% della produzione è destinato al mercato nazionale, il 35-37% al mercato americano, e la restante quota al resto del mondo, e quindi Unione Europea, a seguire il Canada, il Giappone, l'Australia". Ma il presidente del Consorzio resta ottimista su una possibile esenzione del Pecorino romano dai dazi. "Io sono convinto che ci sarà un momento successivo a questo che stiamo vivendo -spiega- nel quale ci sarà spazio per entrare come nel dettaglio dei singoli prodotti e per definire insomma delle esenzioni. A mio parere, infatti, ci sono dei prodotti come il nostro che non possono essere replicati su quel mercato e che di fatto non entrano in competizione con quelli Usa. Se però non si riuscisse a farlo e ci fosse questo dazio al 15% questo avrebbe un impatto importante su tutta la filiera perché i numeri che rappresentano il mercato americano sono importanti e quindi è ovvio che ci sarebbero dei riflessi su tutta la filiera in termini di valori e in termini di quantità vendute", sottolinea. Maoddi ricorda anche che il comportamento del Consorzio negli Usa è lineare. "Non creiamo questioni legate né tanto all'utilizzo del marchio o del nome, e di fatto è già presente anche nella produzione americana una produzione di formaggio che si chiama Romano, formaggio industriale fatto di latte vaccino che viene utilizzato per il condimento per la preparazione di cibi pronti e di salsa. Questa è una situazione con la quale noi conviviamo e che testimonia che la nostra non è una produzione che ostacola quelle americane". "Quindi io mi auguro veramente che ci sia un momento nel quale si possa entrare nel dettaglio delle singole produzioni e a quel punto non credo ci siano problemi da parte dell'amministrazione americana nel riconoscere le peculiarità del nostro prodotto", sottolinea. Ma come viene distribuito il Pecorino romano dop negli Usa? "Il pecorino romano viene venduto in America su due canali: uno -spiega Maoddi- è quello dell'industria alimentare nel quale viene utilizzato come ingrediente per le sue qualità uniche di condimento di insaporimento. L'altro è invece il canale retail che è quello più vicino al consumatore. Di questi due canali sicuramente il primo è quello più sensibile al dazio al 15% e che farà più fatica ad assorbirlo. C'è il concreto rischio che il nostro prodotto venga sostituito in parte o del tutto da altri prodotti, con costi minori, come ingrediente nell'industria alimentare statunitense", aggiunge ancora. Per quanto riguarda il canale retail, secondo Maoddi, negli Usa "se già oggi un consumatore americano paga circa 35 dollari un chilo di formaggio pecorino non cambierà molto se lo pagherà diciamo 39, perchè stiamo parlando di un di un consumatore che ha delle possibilità importanti di vendita e quindi il dazio sicuramente non inciderà in maniera importante sul suo bilancio". "Le cose potrebbero cambiare invece nell'utilizzo nell'industria, dove il pecorino di solito fa parte di una miscela di altri prodotti, di altri ingredienti, che di fatto sono sempre molto 'attenzionati' nella formazione di quello che poi è il costo di un prodotto finale. Con i dazi si rischia che cambi la quantità di pecorino inserito in queste miscele, sostituito in parte da altri prodotti con minor costo, o che addirittura in alcuni casi venga sostituito completamente", lancia l'allarme Maoddi. Di certo il management del Consorzio sta concentrando le forze per trovare una soluzione. "Io non nascondo che il Consorzio non assiste da spettatore in questo momento e, attraverso una serie di attività, stiamo cercando di coinvolgere la politica americana. Abbiamo avuto audizioni a livello europeo presso i gabinetti del commissario dell'Agricoltura Hansen e del commissario Sefcovic per quanto riguarda il commercio. Abbiamo dato ovviamente le nostre indicazioni, abbiamo fatto valere quelle che sono le nostre peculiarità di questo prodotto. Stiamo cercando di coinvolgere il più possibile la politica affinché spinga su questa richiesta di esenzione del dazio per il nostro prodotto che secondo me è conveniente non solo per noi, ma anche per l'amministrazione Trump che di fatto ha un elemento che potrebbe poi utilizzare per far vedere che c'è apertura da parte loro. Su un prodotto che non va a intaccare, non va a disturbare nessuna produzione americana sul mercato", sottolinea ancora Maoddi. E dalla politca italiana c'è attenzione sul settore. "Devo dire -spiega- che la politica ci sta ascoltando. Il ministro dell'Agricoltura si è da subito reso disponibile con il suo staff ad ascoltarci, a metterci nelle condizioni di poter dialogare con queste strutture sia a livello europeo, quindi attraverso la Commissione europea, che a livello americano tramite l'ambasciata con la quale abbiamo veramente un filo diretto. Ma abbiamo un filo diretto anche col Ministero, ripeto, che si è da subito all'operato. Quindi io sono convinto che loro faranno tutto il possibile. Io ho sentito il ministro anche l'altro ieri e nelle sue parole ho sentito veramente l'attenzione, la vicinanza per questo comparto e questo mi fa molto piacere", conclude.
(Adnkronos) - In Italia è Sos incendi. Dal 1° gennaio al 18 luglio 2025 nella Penisola si sono verificati 653 incendi che hanno mandato in fumo 30.988 ettari di territorio pari a 43.400 campi da calcio. Una media di 3,3 incendi al giorno con una superficie media bruciata di 47,5 ettari. A scattare questa fotografia è Legambiente che ha diffuso nei giorni scorsi il suo nuovo report 'L’Italia in fumo'. Stando al report di Legambiente, che ha analizzato e rielaborato i dati Effis (European Forest Fire Information System), dei 30.988 ettari di territorio bruciati nei primi sette mesi del 2025, 18.115 hanno riguardato ettari naturali (ossia aree boscate); 12.733 hanno interessato aree agricole, 120 aree artificiali, 7 aree di altro tipo. Il Meridione si conferma l’area più colpita dagli incendi con sei regioni in cima alla classifica per ettari bruciati. Maglia nera alla Sicilia, con 16.938 ettari bruciati in 248 roghi. Seguita da Calabria, con 3.633 ettari in 178 eventi incendiari, Puglia con 3.622 ettari in 69 eventi, Basilicata con 2.121 ettari in soli 13 roghi (con la media ettari per incendio più alta: 163,15), Campania con 1.826 ettari in 77 eventi e la Sardegna con 1.465 ettari in 19 roghi. Tra le regioni del Centro e Nord Italia: ci sono il Lazio (settimo in classifica) con 696 ettari andati in fumo in 28 roghi e la Provincia di Bolzano (ottava in classifica) con 216 ettari in 3 roghi e la Lombardia. Per l’associazione ambientalista, "ad oggi il Paese paga non solo lo scotto dei troppi ritardi, ma anche l’acuirsi della crisi climatica che amplifica il rischio di incendi boschivi e l’assalto delle ecomafie e degli incendiari". Secondo l’ultimo Rapporto Ecomafia diffuso il 10 luglio scorso, nel 2024 sono stati 3.239 i reati (incendi boschivi e di vegetazione, dolosi, colposi e generici in Italia) contestati dalle forze dell’ordine, Carabinieri forestali e Corpi forestali regionali, un dato però in calo del 12,2% rispetto al 2023. “Per contrastare gli incendi boschivi - dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - non basta concentrarsi sull’emergenza estiva o su singole cause, ma è fondamentale adottare un approccio integrato che integri prevenzione, rilevamento, monitoraggio e lotta attiva. Bisogna puntare sulla prevenzione attraverso una gestione territoriale efficace, che includa l’uso ecologicamente sostenibile delle risorse agro-silvo-pastorali. Ma è anche fondamentale promuovere e remunerare i servizi ecosistemici, sostenendo e rivitalizzando le comunità rurali nelle aree interne e montane affinché possano riappropriarsi di una funzione di presidio territoriale. Allo stesso tempo è importante applicare la normativa vigente per arginare qualsiasi ipotesi di speculazione futura sulle aree percorse dal fuoco, ed estendere le pene previste per il reato di incendio boschivo a qualsiasi rogo. È cruciale rafforzare le attività investigative per individuare i diversi interessi che spingono ad appiccare il fuoco, anche in modo reiterato. L’analisi approfondita dei luoghi colpiti e dei punti d’innesco accertati può costruire una mappa investigativa essenziale per risalire ai responsabili”. Da segnalare anche gli incendi scoppiati in aree naturali. Su 30.988 ettari di territorio bruciati, 6.260,99 hanno riguardo aree Natura 2000 in 198 eventi incendiari. A livello regionale, Puglia e Sicilia risultano le regioni più colpite da incendi in aree Natura 2000.