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(Adnkronos) - L’imperativo del presente è disegnato sulla pelle. “È la frase ‘Proteggi la tua pace’. Me la sono tatuata, perché negli anni ho capito quanto sia importante mettere la serenità davanti a tutto”. Chiara Pellacani, 22 anni, lo racconta all’Adnkronos dopo i Mondiali di nuoto di Singapore. La stella azzurra dei tuffi ha chiuso la rassegna mettendosi al collo tre medaglie. Due bronzi, nel trampolino da un metro e da tre metri, e un oro storico nel sincro misto con Matteo Santoro. Tutto dopo due quarti posti alle Olimpiadi di Parigi. “Il segreto per questa ripartenza? La tranquillità. Se non ce l’hai, diventa complicato. Nello sport e nella vita”. Hai ripensato alle imprese di Singapore? “Sono contentissima. Avevo fatto una bella preparazione, ma non speravo di vincere tutte queste medaglie. Forse quella con Matti (Matteo Santoro, ndr) nel sincro misto è la più inaspettata. Non immaginavamo il gradino più alto del podio”. Sei tornata a casa con tre medaglie. Prima di te, ai Mondiali, ci era riuscita una leggenda dello sport italiano come Tania Cagnotto. “Raccontano emozioni diverse. Quella da un metro, è stata la prima individuale e la inseguivo da un po’. L'oro con Matti è stato incredibile, mentre dai tre metri volevo il podio con tutta me stessa dopo il quarto posto alle Olimpiadi. È la mia gara”. Cos’è cambiato negli ultimi mesi dopo la delusione di Parigi? “Nello sport si vince e si perde e spesso tra le due cose passa un niente. Dopo i Giochi ho avuto bisogno di una pausa, dovevo riprendermi a livello mentale. Per un periodo mi sono anche data alla boxe. Poi ho ricominciato gli allenamenti e mi sono detta: ‘Chiara, vivitela’. Senza pensare ai risultati. Quelli sono arrivati grazie alla serenità”. Al Corriere della Sera hai raccontato di aver chiesto aiuto a diverse persone. Quando si capisce di aver bisogno di supporto? “Mi ero resa conto di non riuscire ad affrontare troppe cose da sola. Non è facile capirlo. Ammetterlo è però il primo passo per uscire da un periodo no. Io poi sono stata fortunata. Sono tornata a casa per un po' e ho passato tanto tempo con la mia famiglia. Mi hanno supportato in ogni decisione”. Vinci medaglie da quando eri adolescente e da anni ti definiscono l’erede di Tania Cagnotto. Nelle difficoltà ha pesato l’eccessiva pressione? "C’erano aspettative, ma più da parte mia. Pretendo tanto da me, a volte troppo. È stata una lezione di vita, ho capito che spesso la cosa migliore è affrontare le sfide con basso profilo. Altrimenti diventa controproducente”. Tania ti ha scritto dopo i Mondiali? "Mi ha mandato un messaggio dopo l’oro vinto nel sincro. Si è complimentata per la bella gara”. La prima volta in cui, dopo 99 gare nei tuffi sincronizzati tra Olimpiadi e Mondiali, l’Italia è arrivata davanti alla Cina. “Non avevo letto questa statistica”. E se la ride. “Siamo stati impeccabili. Il bello è che ci aspettavamo qualcosa, ma non avevamo osato così tanto nemmeno nei sogni”. Da qualche anno vivi in America e frequenti il college. Che esperienza è? “Questa svolta mi ha dato tanto, in primis a livello personale. Vivo da sola, ora sono molto più indipendente e autonoma. Mi prendo responsabilità e sono cresciuta anche nei tuffi, le tante prove fatte al college mi hanno preparata al meglio per le gare internazionali. E poi ho avuto modo di studiare psicologia, a dicembre mi laureo”. Perché hai scelto questo percorso? "Era l'unica opzione per continuare ad allenarmi, facendo coincidere una preparazione di alto livello con la mia formazione. La psicologia mi appassiona da anni, volevo saperne di più ed è stata la scelta giusta. Poi farò un master in comunicazione”. In futuro avremo una nuova collega? “Chissà”. In questa passione c’'è lo zampino di mamma Francesca, insegnante, e papà Giampaolo, giornalista sportivo? “Diciamo di sì. Mi hanno fatto avvicinare fin da bambina a questo mondo e non lo nascondo, mi interessa. Può aprire diverse porte per il futuro. Vedremo...”. Da un po’ di tempo, non a caso, racconti sui social la sua vita da atleta e tieni una sorta di diario in reel... "Mi diverte e penso sia un bel modo per far conoscere il mondo dei tuffi ai meno appassionati. Cerco di portare chi mi segue dentro al mio stile di vita, mi piace condividere le mie emozioni”. Tante, nella tua vita, sono diventati tatuaggi. “Ne ho 21, la regola vuole che siano dispari”. A quale sei più legata? "Mio nonno Sandro dipingeva. Mi sono tatuata uno dei suoi quadri con una dedica, c’è scritto ‘Alla mia piccola e dolcissima Chiara’. È quello a cui tengo di più”. (di Michele Antonelli)
(Adnkronos) - L’accelerazione tecnologica che ha investito il mondo del lavoro negli ultimi anni non è solo un'opportunità: è una sfida sistemica. Secondo il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum, entro il 2030 il 39% delle competenze lavorative subirà cambiamenti radicali o diventerà obsoleto. Eppure, nonostante questo scenario trasformativo, quasi 4 aziende su 10 non hanno una strategia chiara per affrontare il divario di competenze. Un disallineamento pericoloso e mentre l’intelligenza artificiale, l’automazione e i big data ridisegnano ruoli e funzioni, resta indietro un elemento cruciale: la cultura organizzativa. Molte organizzazioni faticano a conoscere e valorizzare le competenze reali delle proprie persone. Nel contesto di una digitalizzazione crescente, la narrazione dominante tende infatti a promuovere un’immagine dell’intelligenza artificiale come mezzo per creare dipendenti 'super efficienti' e privi di difetti. “La vera rivoluzione non è far diventare le persone 'perfette', ma renderle più consapevoli, libere di sbagliare, ascoltate e guidate da una leadership che sa evolversi. Non superuomini digitali, ma professionisti umani, con punti di forza e margini di miglioramento reali”, afferma Giacomo Marchiori, founder di Talentware, piattaforma fondata insieme a Ismet Balihodzic e Andrea Raimondo che permette di gestire un'organizzazione tramite un approccio skill-based, migliorando la talent retention, il decision-making e la performance aziendale. Concetto pienamente condiviso anche da Alessandro Castelli, Senior Hr Lead, Business e Mental Coach, che vanta una lunga esperienza sia in ambito aziendale sia nella consulenza strategica per la gestione e la valorizzazione delle persone. Castelli sottolinea “che lavorare sullo sviluppo delle persone e delle competenze non possa più essere un’iniziativa spot: servono percorsi e alleanze che uniscano aziende, consulenti, accademie e business school, rafforzati da linguaggi capaci di parlare davvero ai giovani, come per esempio lo sport, per costruire un ecosistema culturale capace di far arrivare questi messaggi in modo autentico e generare cambiamento”. Una visione che mette al centro la persona in un mondo sempre più tech-driven. “Il ruolo dell’intelligenza artificiale nelle Hr non è quello di trasformare le persone in superuomini, ma di aiutarle a esprimere il proprio potenziale, valorizzando i loro punti di forza, i margini di miglioramento e le competenze spesso inespresse”, prosegue Marchiori. Alla base di questa visione, Talentware illustra cinque leve strategiche della trasformazione culturale oggi imprescindibili per affrontare il cambiamento innovativo in atto. 1. Ascolto reale (non solo 'attivo'). Molte aziende dichiarano di ascoltare, ma mancano strumenti concreti e continuativi. Il risultato? Giovani in stage che non ricevono feedback, manager che arrivano ai confronti con approcci poco data-driven perché non hanno strumenti adeguati per raccogliere i dati chiave sul dipendente. L’ascolto diventa un esercizio formale, svuotato di efficacia. “Ascoltare davvero - commenta Alessandro Castelli - significa dare continuità alla voce delle persone, non limitarsi a un sondaggio una volta all’anno senza poi mettere in atto azioni concrete”. 2. Errore come crescita, non stigma. In Italia c’è ancora troppa paura di sbagliare, anche ai livelli manageriali. Questo frena le scelte innovative, mentre altri paesi europei (ad esempio, Francia, Spagna, Nordics) sperimentano con coraggio soluzioni tech.Serve cambiare mindset: l’errore è parte del progresso. Non sbaglia chi rischia, sbaglia chi resta fermo. La vera innovazione nasce da una cultura che accetta l’incertezza come terreno fertile per apprendere, migliorare e crescere. È tempo che anche i nostri manager si sentano autorizzati a sperimentare, senza dover prima chiedere 'permesso al passato'. 3. Leadership: più umana, grazie alla tecnologia. Un vero leader oggi delega all’Ai i compiti ripetitivi e si dedica a ciò che conta davvero: ascoltare, motivare, formare. Tecnologia non per sostituire, ma per liberare il potenziale umano. Affidare all’Ai i task operativi non è una perdita di controllo, ma un guadagno di tempo e visione. È in quel tempo riconquistato che la leadership può tornare ad essere relazione, fiducia, cura delle persone. L’Ai gestisce i dati, il leader coltiva il senso. 4. Accademie, formare per il lavoro reale. Le università chiedono visibilità sulle competenze richieste dalle aziende. È il momento di collaborare per costruire corsi aggiornati e coerenti. Meno teoria, più impatto concreto dal primo giorno di lavoro. Le imprese hanno il dovere di essere trasparenti sui bisogni reali, e le accademie la responsabilità di adattare la formazione. Serve un nuovo patto formativo, basato su competenze tangibili, esperienze pratiche e dialogo costante. Il futuro del lavoro comincia in aula, ma solo se l’aula parla il linguaggio del lavoro. 5. Lo sport come leva Hr. Non è solo una metafora, ma una scuola concreta di soft skill: resilienza, concentrazione, spirito di squadra. Integrare sport e cultura organizzativa aiuta ad attrarre, motivare e trattenere le nuove generazioni, soprattutto in un mondo del lavoro sempre più fluido. La vera sfida, dunque, è costruire un’architettura culturale condivisa, che parta dalle persone ma sia guidata dall’intera organizzazione, fino ai vertici. “La trasformazione non si affronta con iniziative spot. Serve un ecosistema culturale che sappia ascoltare, dare senso all’errore, aggiornare la leadership e parlare con i giovani in modo autentico,” avverte Castelli. “Questa evoluzione deve coinvolgere tanto i leader di oggi quanto quelli di domani: significa aiutare i giovani a costruire la propria identità professionale e di leadership, in un contesto che sappia davvero valorizzare competenze e relazioni. Senza questa visione integrata, rischiamo che l’innovazione tecnologica diventi un acceleratore di alienazione”, conclude.
(Adnkronos) - Il 24 luglio 2025 è l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l’umanità esaurisce il budget ecologico annuale del Pianeta. A calcolarla ogni anno è il Global Footprint Network sulla base dei National Footprint and Biocapacity Accounts gestiti dalla York University. Il Wwf, con la sua campagna Our Future, chiede a tutti di "imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta, oggi più che mai". Secondo i calcoli del Global Footprint Network, infatti, attualmente, la popolazione globale consuma l’equivalente di 1,8 pianeti Terra ogni anno, un ritmo che supera dell’80% la capacità rigenerativa degli ecosistemi terrestri. Questo squilibrio è alla base delle crisi ambientali della nostra epoca: la perdita di biodiversità, la deforestazione, il degrado del suolo, l’esaurimento delle risorse (crisi idrica, collasso di stock ittici) fino all’accumulo di gas serra. Uno sfruttamento di risorse che è aumentato nel tempo, tanto che la data dell’Overshoot si è spostata da fine dicembre, nel 1970, a luglio, nel 2025. Il risultato? Un debito cumulativo nei confronti del Pianeta di 22 anni. In pratica, se il sovrasfruttamento ecologico fosse completamente reversibile, ci vorrebbero 22 anni di piena capacità rigenerativa del Pianeta per ripristinare l'equilibrio perduto. "Un calcolo, però - ricorda il Wwf - solo teorico perché ad oggi non tutta la capacità rigenerativa è più intatta (abbiamo perso intere foreste, eroso i suoli, impoverito i mari…) e alcuni danni che abbiamo provocato sono ormai irreversibili (come le specie che si sono estinte o i ghiacciai sciolti). Inoltre, la crisi climatica in corso aggrava ulteriormente la capacità del Pianeta di rigenerarsi". “Non solo stiamo vivendo 'a credito' ogni anno, ma abbiamo anche accumulato un enorme debito nei confronti del sistema Terra. Ripagare questo debito, in termini ecologici, è quasi impossibile se continuiamo a ignorarne le conseguenze - afferma Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia - Si tratta di una chiamata urgente all’azione per cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo, prima che il danno diventi definitivamente irreparabile”. La rotta - avverte l'associazione - può essere invertita: "Per riportare l’umanità in equilibrio con le risorse terrestri (ovvero far coincidere l’Overshoot Day con il 31 dicembre), dobbiamo ridurre l’impronta ecologica globale di circa il 60% rispetto ai livelli attuali". Per il Wwf, è possibile spostare la data dell’Overshoot agendo in cinque settori strategici: "Transizione energetica (passare a fonti rinnovabili ed eliminare i combustibili fossili); economia circolare (riciclare, riutilizzare, azzerare gli sprechi); alimentazione sostenibile (diminuire il consumo di carne e preferire cibi biologici, locali e stagionali); mobilità green (favorire trasporti pubblici, biciclette e veicoli elettrici); politiche globali (accordi internazionali più stringenti per la tutela ambientale)". Così, "se riuscissimo a spostare l’Overshoot Day di 5 giorni all’anno, entro il 2050 torneremmo in equilibrio con le risorse del Pianeta. Si tratta di una media realistica che combina: tecnologia (efficienza energetica, rinnovabili), comportamenti individuali (dieta, trasporti, stile di vita) e politiche globali (accordi climatici, economia circolare)". “Un nodo cruciale è il nostro modello economico, fondato sulla crescita illimitata dei consumi materiali - di energia, risorse, materie prime - che è semplicemente incompatibile con un Pianeta dalle risorse finite. Non dobbiamo puntare all’aumento quantitativo, ma a un progresso qualitativo, fatto di conoscenza, relazioni umane, diritti e tutela della Natura da cui dipendiamo. È fondamentale sostituire il Pil come unico indicatore di sviluppo con indicatori più complessi, che considerino la salute degli ecosistemi, il benessere psicologico e la coesione sociale”.