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(Adnkronos) - Mentre l'attenzione mediatica e diplomatica resta puntata sulla guerra in Ucraina – con l'avvicinarsi dell'atteso summit Trump-Putin in Alaska – e sul conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza – dove sembra rafforzarsi la prospettiva di una ripresa dei negoziati – decine di altri teatri di guerra continuano a destabilizzare vaste aree del mondo. Crisi umanitarie, scontri etnici, insurrezioni jihadiste e guerre civili provocano decine di migliaia di morti, milioni di sfollati, con intere regioni fuori dal controllo degli Stati. Uno scenario che, secondo l'Uppsala Conflict Data Program e i rapporti di organizzazioni come Human Rights Watch (HRW) e International Crisis Group (ICG), riguarda oltre 50 Paesi. A partire dal Myanmar, travolto dopo il colpo di Stato del 2021 da una guerra civile che vede la giunta militare contrapposta alle forze ribelli riconducibili al Governo di Unità Nazionale in esilio. Come sottolinea il Guardian, dal 2024 i ribelli hanno guadagnato terreno nelle regioni Shan e Karen. Il bilancio supera i 50mila morti e i 3 milioni di sfollati. In Sudan, la guerra tra Forze armate e Forze di supporto rapido, iniziata nell'aprile 2023, ha già provocato oltre 150mila vittime e 12 milioni di sfollati interni, aggravando una crisi alimentare già a livelli drammatici. In Siria la situazione resta altamente instabile dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad lo scorso dicembre. Il nuovo governo transitorio, guidato dal presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, pur in via di consolidamento, fatica a esercitare un controllo effettivo sull'intero territorio: violenze settarie, scontri con milizie pro-Assad e instabilità nelle province continuano a causare vittime e sfollati. La crisi umanitaria resta gravissima, con oltre 16 milioni di persone bisognose di assistenza secondo l'Onu. Resta poi minacciosa l'insorgenza jihadista in Mali, Burkina Faso e Niger, dove gruppi affiliati ad al-Qaeda e al sedicente Stato Islamico hanno intensificato gli attacchi, approfittando del vuoto di potere in vaste aree del Sahel. Insurrezioni jihadiste e violenze etniche sono diffuse anche in Nigeria e Burkina Faso, mentre in Etiopia la violenza dilaga nelle regioni di Amhara e Oromia, con scontri tra esercito federale e milizie locali. In Somalia, gli al-Shabaab hanno intensificato le operazioni colpendo città e obiettivi strategici con attentati e raid armati. Altra guerra dimenticata è quella in Yemen, dove il governo riconosciuto dalla comunità internazionale combatte i ribelli Houthi, alleati dell'Iran, che controllano ampie zone del Paese inclusa la capitale Sana'a. In Messico si registrano scontri armati tra forze di sicurezza e cartelli della droga, con caratteristiche di guerra a bassa intensità, e situazioni di estrema precarietà persistono in Paesi dell'America Latina come Haiti e Venezuela. Per tanti conflitti che vanno avanti, ci sono anche guerre che sembrano avviarsi verso una soluzione diplomatica. L'8 agosto, il premier dell'Armenia, Nikol Pashinian, e il presidente dell'Azerbaigian, Ilham Aliyev, hanno firmato alla Casa Bianca un impegno a sottoscrivere un accordo di pace per mettere fine a un conflitto radicato nella storia del Caucaso. Contestualmente, sono stati siglati anche accordi economici bilaterali con gli Stati Uniti. Il 28 giugno, sempre a Washington, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda hanno firmato un'intesa per ridurre le ostilità, che prevede la fine del sostegno reciproco a gruppi armati. L'accordo arriva dopo le accuse rivolte a Kigali di appoggiare i ribelli dell'M23, protagonisti di una violenta offensiva nell'est della Rdc.
(Adnkronos) - "Si sa che agosto è un mese adatto alle discussioni. Ed è altrettanto noto che 'good news no news', come si dice, e cioè che le comunicazioni negative o terrorizzanti trovino più spazio nei media di quelle più positive o rassicuranti, o vere; si prendono alcuni spunti, magari davvero negativi o incerti, e li si trascina in una valenza assoluta. La realtà è diversa, e la si potrà chiarire solo alla fine. Per ora, intanto, per quanto ci riguarda, Th Group segna un +13% sul prodotto estate, ed è vero che magari genericamente si fanno più vacanze con meno giorni". Lo dice, in un’anticipazione ad Adnkronos/Labitalia di un’intervista che sarà pubblicata domani sul Sussidiario.net, Graziano Debellini, presidente di Th Group, leader nel segmento montagna leisure. "Molte destinazioni - avverte - dovrebbero anche rivedere le proprie prospettive, rimodulando l’offerta, ma per tutti c’è bisogno di dialogo, di rispetto. L’informazione non può basarsi solo sulle sensazioni di chi arriva su una spiaggia nel giorno sbagliato, vede qualche ombrellone chiuso e lancia l’allarme crisi". "Credo che il turismo dia fastidio - sostiene - perché recentemente è tornato alla ribalta in quanto settore traino dell’economia italiana. Così ogni pretesto viene sfruttato per tacciarlo d’essere un segmento produttivo che si basa sul non-necessario, con impieghi da stipendi bassi e pochi ascensori sociali. Magari qualche neo c’è davvero, in certi casi, ma non si può pretendere che solo il turismo debba essere sempre e comunque perfetto, e cedere ai luoghi comuni". "Tra l’altro, sono ormai numerosi gli studi che invertono la credenza del non-obbligo del turismo: la valenza di una vacanza nell’arco lavorativo annuale è considerata oggi indispensabile per un vivere e lavorare armonioso, produttivo e soddisfacente", evidenzia Debellini. Per il presidente di Th Group, poi, "bisognerà coniugare sempre di più i fattori storici del nostro Paese con l’innovazione". "Mi spiego: l’Ia da sola non può bastare. Occorre fondere investimenti, innovazione e piattaforme gestionali senza speculazioni. Chi non rispetta tutto questo finisce col tradire il nostro Paese", chiarisce. E fa un esempio: "La recente uscita di Henri Giscard D’Estaing dal Club Med, dopo 22 anni (decisione indotta dall’azionista di riferimento, il fondo cinese Fosun Tourism Group), lui che ne fu l’inventore, parla chiaro. Henri mi ha inviato un messaggio eloquente: 'Al di là dei nostri successi operativi, l’allineamento dell’azionariato sul lungo termine e i valori dell’impresa sono essenziali. Non è più il caso per il Club Med'. Oggi ci si chiede cosa diventerà il Med senza chi lo inventò. Credo che i fondi dovrebbero ‘studiare’ e aiutare i modelli di riferimento, e non depredare".
(Adnkronos) - Nell’estate 2025, su 388 campionamenti effettuati nelle acque costiere e lacustri in 19 regioni, il 34% è risultato oltre i limiti di legge, cioè 1 campione su 3. In particolare, il 35% dei punti campionati con Goletta Verde è risultato inquinato o fortemente inquinato con una media di un punto ogni 80 km; per i bacini lacustri, il 30% dei punti campionati da Goletta dei Laghi è risultato oltre i limiti di legge. Questo il bilancio finale delle campagne estive di Legambiente, Goletta Verde e Goletta dei Laghi 2025. Anche quest’anno foci dei fiumi, canali e corsi d’acqua che sfociano a mare o nel lago si confermano punti critici: il 54% dei punti analizzati (101 su 188) è risultato inquinato o fortemente inquinato. Situazione migliore per i campioni prelevati direttamente in mare o nelle acque del lago, ossia in aree lontane da foci o scarichi, dove solo il 15% dei punti campionati è risultato oltre i limiti di legge (30 su 200). Al problema dell’inquinamento, si affianca quello della crisi climatica. Legambiente, rielaborando i dati forniti dalle immagini satellitari di Copernicus, ha calcolato che a giugno e luglio la temperatura media delle acque superficiali del Mediterraneo è stata di 25,4°C, la più calda dal 2016 ad oggi, collocandosi al primo posto nell’ultimo decennio, e superando i precedenti record del 2022 (media 25,2°C) e quello del 2024 (25,1°C) e i valori degli anni fino al 2021 che erano intorno ai 24,5°C. Un aumento sensibile di circa mezzo grado centigrado che mette a repentaglio la biodiversità marina e che amplifica gli eventi meteorologici più estremi, osserva Legambiente. Di fronte al bilancio emerso da Goletta Verde e dei Laghi, l'associazione torna a ribadire "l’urgenza di approvare un piano nazionale per la tutela delle acque costiere e interne che abbia al centro una governance integrata su più livelli prevedendo piani di adattamento ai cambiamenti climatici; più risorse economiche da destinare al servizio di depurazione per ammodernare gli impianti rispondendo ai più stringenti parametri per il trattamento e riuso delle acque reflue; più controlli da parte di Regioni, Arpa e Comuni sui punti critici e una migliore gestione delle acque interne". “Al governo - commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - chiediamo di definire e approvare al più presto un piano nazionale per la tutela di mare e laghi, investendo su innovazione e sostenibilità per ammodernare i sistemi di depurazione e per diffondere il riuso in agricoltura delle acque depurate. Sullo sviluppo delle rinnovabili in mare, dopo l’approvazione del decreto porti, è urgente stanziare le risorse economiche necessarie per infrastrutturare i due hub cantieristici di Taranto e di Augusta, che potranno garantire anche nuova occupazione green a due aree portuali che hanno sempre avuto a che fare con la logistica delle fonti fossili”.