ENTRA NEL NETWORK |
ENTRA NEL NETWORK |
(Adnkronos) - Un Dna compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio, ma il cui risultato non è un dato scientifico attendibile. La perizia affidata, nell'ambito dell'incidente probatorio, alla genetista Denise Albani non fornisce risposte certe sulla nuova indagine sul delitto di Chiara Poggi e la battaglia tra le parti - in merito alla traccia genetica trovata sulle unghie della vittima - è pronta a riaccendersi sull'omicidio del 13 agosto 2007 a Garlasco. Le posizioni restano distanti, tanto che a leggere i commenti dei difensori del condannato Alberto Stasi e del nuovo indagato si ha l'impressione che le relazioni consegnate siano differenti. In oltre 90 pagine l'esperta poliziotta mette in fila gli elementi di partenza, chiarisce la metodologia utilizzata e fornisce le sue conclusioni. Sono nove i margini ungueali della vittima che erano stati conservati: cinque della mano destra e quattro della sinistra. Per la perita l'attribuzione singola dei margini "non è verosimilmente riconducibile alla certa distinzione anatomica delle cinque dita in quanto tutti i margini ungueali di ogni singola mano sono stati inseriti all’interno del medesimo contenitore". In sintesi non è possibile indicare con certezza su quale dito preciso c'è presenza di Dna maschile. I Ris di Parma nel 2007 avevano escluso la presenza di materiale biologico sotto le unghie e l'inchiesta che ha portato alla condanna di Stasi ritiene che la vittima non si sia difesa. L'esperta Albani critica alcune metodologie utilizzate dal perito Francesco De Stefano e condivise con i consulenti di Stasi e Poggi. Un'analisi che portò a consumare tutti i margini ungueali della vittima per poi decretare che quei due Dna maschili misti non erano attribuibili all'imputato Stasi. Sempio, nel 2014, non era neppure un sospettato. Per l'attuale perita il cui approfondimento si è svolto 'sulla carta', "non è possibile" considerare le tre sessioni di tipizzazione Y fatte da De Stefano come repliche con il "limite oggettivo di non possedere alcun risultato consolidato". Le procedura adottate "hanno di fatto condizionato le successive valutazioni" perché non hanno consentito di ottenere un risultato "che fosse certamente affidabile e consolidato o, diversamente, certamente non interpretabile perché caratterizzato da artefatti". Il cromosoma Y non consente di arrivare all'"identificazione di un singolo soggetto" è la premessa. In questo caso si tratta di "aplotipi misti parziali" trovati sulle unghie di Chiara Poggi - uno riconducibile alla linea paterna di Andrea Sempio e uno ignoto - per i quali "non è possibile stabilire con rigore scientifico" se quel risultato deriva da un materiale biologico "depositato sotto o sopra le unghie della vittima" e "da quale dito" provengano. Né si può dire se la traccia è dovuta a "contaminazione" o "per trasferimento diretto o mediato" e ancora "quando" è stata lasciata. Qualsiasi valutazioni, di fronte alle "rilevanti criticità" dei risultati, sarebbero "suggestive" vista l'assenza "di dati scientifici granitici" scrive la perita. Resta quindi valida l'ipotesi, che già nel 2017 portò all'archiviazione, che Sempio abbia trasferito il suo Dna su un oggetto di casa Poggi, oggetto (non lavato) utilizzato in un altro momento dalla sorella dell'amico Marco. L'utilizzo di uno specifico software - utilizzato dalla difesa Stasi e dai consulenti della Procura di Pavia - è la vera novità della perizia. Una procedura di cui la Albani critica per le "limitazioni in termini di conoscenze e applicativi attualmente disponibili nella comunità scientifica internazionale", tra cui l'assenza di un database "che contempli la popolazione locale d'interesse". Per la legge dei numeri se ne ricava che l'ipotesi che Sempio (e i soggetti imparentati con lui per via patrilineare) abbia contribuito alla traccia trovata su un'unghia della mano destra di Chiara "è approssimativamente da 476 a 2153 volte più probabile" rispetto a quella che la traccia appartenga a due ignoti. Tali valori si traducono in un supporto che va "da moderatamente forte a forte (sulla base della popolazione di riferimento)". La stessa ipotesi "è approssimativamente da 17 a 51 volte più probabile" per la traccia trovata sull'unghia sinistra, valore traducibile "in un supporto moderato". Nessuna impronta, né traccia di Dna di Andrea Sempio è emersa dall'incidente probatorio. "Da tutti i prelievi realizzati sugli acetati (sessanta, ndr), risultati negativi alla ricerca di sostanza ematica umana, non è stato estrapolato alcun profilo genetico utile a fini identificativo- comparativi" sono le conclusioni di Denise Albani, commissario capo tecnico biologo della Polizia di Stato. Le tracce sul tappetino del bagno sono riconducibili al padre della vittima, Giuseppe Poggi, altre non sono utili o troppo degradate. L'analisi sul sacchetto dei cereali o sui vasetti di fruttolo hanno restituito il Dna della vittima, mentre sulla cannuccia Estathè è stato estrapolato un profilo genetico maschile: è "estremamente forte l'ipotesi che Alberto Stasi abbia contribuito al profilo genetico estrapolato dal prelievo biologico".
(Adnkronos) - Il gender pay gap in Italia resta una distanza difficile da colmare. Gli ultimi dati dell’Osservatorio Inps lo certificano con chiarezza: nel 2024, nel settore privato non agricolo, le donne hanno percepito in media 19.833 euro, contro i 27.967 euro degli uomini, con una differenza di circa il 29%. Una forbice che non accenna a restringersi e che anticipa l’urgenza di un cambio di passo, anche alla luce della nuova Direttiva europea 2023/970, destinata a entrare in vigore dal 2026. Di fronte a un divario che resta strutturale, la nuova cornice europea punta a scardinare le asimmetrie retributive con strumenti di trasparenza e obblighi che coinvolgeranno direttamente i datori di lavoro. La direttiva introduce infatti un insieme articolato di misure che ridefinirà il modo in cui le imprese costruiscono, comunicano e rendicontano le proprie politiche retributive, chiedendo alle aziende un ripensamento profondo dei processi interni e dei criteri con cui vengono stabiliti salari, avanzamenti e ruoli. Boris Martella, Counsel di Norton Rose Fulbright, sottolinea come “la direttiva Ue 2023/970, che dovrà essere adottata dagli Stati membri entro il 7 giugno 2026, imporrà l’adozione di sistemi retributivi trasparenti e non discriminatori, con l’obiettivo di garantire la parità salariale tra donne e uomini per lo stesso lavoro o per lavori di pari valore ed evitare trattamenti salariali differenti non giustificati da criteri oggettivi". "In particolare, le aziende - chiarisce - dovranno garantire una maggiore trasparenza nelle retribuzioni, sin dalla pubblicazione degli annunci, prevedendo sistemi retributivi basati su criteri oggettivi e neutri rispetto al genere, nonché rivedendo i processi di selezione e promozione, mappando i ruoli secondo criteri chiari e oggettivi, predisponendo policy retributive conformi e pianificando attività di rendicontazione periodica sul gender pay gap". "Al contempo, la direttiva - prosegue - riconosce diritti di informazione alle rappresentanze sindacali, nonché ai singoli lavoratori, al fine di rendere il sistema maggiormente partecipativo e trasparente. Le aziende, pertanto, dovranno revisionare e aggiornare le proprie policy e adottare una serie di misure volte al rispetto dei suddetti principi, la cui violazione sarà soggetta a specifiche sanzioni. Tuttavia, il corretto adempimento di tali obblighi non presuppone la mera adozione di atti formali, ma richiede una profonda rivoluzione culturale che preveda la sensibilizzazione dei soggetti coinvolti e l’effettivo superamento dei vecchi sistemi retributivi e di carriera, spesso troppo oscuri e reconditi, con l’introduzione di sistemi chiari, oggettivi e conoscibili da tutti gli interessati, per garantire davvero una parità di trattamento indipendentemente dal genere”. L’esigenza di rendere misurabile, trasparente e giuridicamente certo il concetto di “lavoro di pari valore” è centrale anche per Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent, che ricorda come il principio della parità di retribuzione sia attualmente ostacolato dalla mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi e dalla mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore. “I datori di lavoro - commenta - potranno retribuire in modo diverso i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore solo sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere e privi di pregiudizi come le competenze, l’impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro. Il principio della parità retributiva contempla sia lo stipendio sia le componenti complementari e variabili della retribuzione. La direttiva auspica una trasparenza nei livelli retributivi e nelle progressioni di carriera e invita i datori di lavoro a essere proattivi agendo nel rispetto delle misure sulla trasparenza retributiva per affrontare la natura sistemica della discriminazione retributiva. Sarà fondamentale la formazione per le persone della funzione Hr su parità di retribuzione, valutazione e classificazione del personale”. Un’altra leva decisiva riguarda la conoscenza interna dei livelli retributivi. Gaspare Roma, partner di De Berti Jacchia, osserva che la direttiva “rafforza la tutela antidiscriminatoria in materia di parità salariale, introducendo specifici obblighi informativi in capo ai datori di lavoro, al fine di consentire ai lavoratori non solo di avere libero accesso (in modo chiaro e trasparente) ai dati retributivi in azienda, ma anche di poter comprendere i criteri, oggettivi e condivisi, per la determinazione delle politiche salariali aziendali". "Le imprese, dunque, dovranno in primis effettuare una mappatura interna dei loro livelli salariali, per valutare possibili aree di disuguaglianze, introducendo anche idonei strumenti per garantire la trasparenza informativa in favore dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali”, rimarca. Se la direttiva fornisce un quadro normativo, la sua piena attuazione passa dalla trasformazione culturale delle organizzazioni. Secondo Daniele Arduini, ceo & co-founder di Kampaay, partner tecnologico per l’event management, “i dati Inps fotografano una realtà che richiede un cambio di passo culturale, prima ancora che normativo". "La direttiva Ue del 2026 sulla trasparenza salariale - continua - sarà uno strumento necessario, ma le aziende innovative non possono aspettare una legge per riconoscere il valore delle persone". "In Kampaay - ricorda - viviamo una situazione particolare, figlia del nostro Dna ibrido. Siamo una realtà tecnologica, un settore storicamente a trazione maschile, che opera nel mondo degli eventi, dove la presenza femminile è fortissima. Questo incontro tra mondi diversi ha creato un ecosistema dove l'equilibrio di genere non è stato imposto da quote rosa o calcoli a tavolino, ma è emerso come conseguenza naturale della ricerca del talento". "Oggi la nostra popolazione aziendale - fa notare - è a prevalenza femminile e, dato ancora più rilevante, questo si riflette nei ruoli decisionali. Escludendo i founder, la maggioranza del nostro Management Team (Head of) è composta da donne che guidano dipartimenti strategici. Per noi la parità salariale non è un esercizio di stile, ma una logica di business: retribuiamo l'impatto e la complessità del ruolo, non il genere di chi lo ricopre. In un'azienda in forte crescita come la nostra, dove spesso convivono funzioni molto diverse tra loro, dallo sviluppo software al creative management, la sfida è proprio quella di mantenere un allineamento retributivo basato sul valore generato. Ed è quello che facciamo ogni giorno: garantire che a parità di impatto corrisponda parità di trattamento, creando un ambiente dove la leadership femminile è la norma, non l'eccezione". A ricordare la profondità del cambiamento necessario è anche Laura Basili, co-founder insieme a Ilaria Cecchini di Women at Business, piattaforma innovativa di matching professionale al femminile, per la quale i dati Inps sono “lo specchio di un Paese che continua a sottovalutare il talento femminile". "Se oggi le donne guadagnano quasi il 30% in meno degli uomini, significa - avverte - che c’è ancora un enorme potenziale inespresso, una ricchezza che l’Italia non sta mettendo a valore. La direttiva europea sulla trasparenza salariale è un passo importante, ma non basterà una norma a colmare il divario se non cambia l’atteggiamento culturale dentro le aziende e nella società. Per Women at Business, la vera sfida sta nel superare i pregiudizi che la generano: riconoscere il lavoro delle donne, sostenere i loro percorsi di carriera, favorire leadership inclusive e ambienti in cui il merito sia davvero ciò che conta. La parità retributiva è una responsabilità collettiva e una condizione necessaria perché l’Italia possa crescere, innovare e competere”.
(Adnkronos) - “Noi viviamo secondo natura, allevando i nostri animali al pascolo”. Luca Quirini, classe ’94, fondatore dell’Azienda Agricola Quira, ha ricevuto il Good Farmer Award per il suo modello di allevamento incentrato sul benessere animale e sulla tutela del territorio ligure. “Siamo pastori da marzo a dicembre: transumiamo dalla Valle Sturla alle vette della Val d'Aveto fino a 1500 metri, portando al pascolo i nostri bovini di razza cabannina, autoctona della Liguria”, ha raccontato. Gli animali si nutrono solo di erba e, d’inverno, di fieno biologico acquistato in zona: “È un vivere secondo natura, con la linea vacca-vitello”. Sul dibattito sulla zootecnia, Quirini afferma: “Oggi non è più possibile non farla in maniera sostenibile: i costi di produzione dell’allevamento intensivo non rendono più. La nostra è una scelta etica, ma è anche un modello che dà benessere al territorio e agli animali, e permette una continuità economica al mestiere”.