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(Adnkronos) - Mentre i raid di Israele sulla Striscia hanno fatto oggi, sabato 26 luglio, nuovi morti, come riferisce al Jazeera, il governo di Gaza ha lanciato un appello urgente sulla "catastrofe umanitaria imminente" causata dall’assedio israeliano e dalla totale assenza di latte per neonati e integratori alimentari. Secondo un comunicato diffuso dall’Ufficio Media del governo locale, sarebbero almeno 100.000 i bambini sotto i due anni in pericolo di vita, inclusi 40.000 neonati, "a rischio morte nei prossimi giorni". Lo riporta Al Jazeera. "Stiamo assistendo a un lento sterminio deliberato di neonati, le cui madri sono costrette ad allattarli con sola acqua da giorni", denuncia la nota, parlando di "una politica di fame ed eliminazione perseguita dall’occupazione israeliana". Le autorità di Gaza attribuiscono la crisi alla chiusura prolungata dei valichi e all’impedimento dell’ingresso di beni essenziali. Una bambina di soli sette giorni è morta per malnutrizione all’ospedale Al-Ahli di Gaza City, secondo quanto riferito da una fonte medica ad Al Jazeera. "La causa del decesso è stata la mancanza di latte", ha dichiarato la fonte, denunciando la drammatica carenza di alimenti per neonati nella Striscia. È l’ennesima tragedia legata alla crisi umanitaria in corso: oltre 120 persone sono morte per malnutrizione dall’inizio della guerra, più di 80 delle quali erano bambini o neonati. Poco prima era stato segnalato anche il decesso della piccola Zainab Abu Halib, un'altra vittima della fame che devasta il territorio. Almeno 25 palestinesi sono stati uccisi dall’alba nella Striscia di Gaza in diverse operazioni dell’esercito israeliano, tra cui 13 persone che cercavano aiuti umanitari. Lo riferiscono fonti ospedaliere locali ad Al Jazeera. Secondo l’emittente, l’ultimo attacco è avvenuto nel nord della Striscia, dove numerosi palestinesi sono rimasti feriti mentre si trovavano in coda per ricevere aiuti. Un corrispondente di Al Jazeera in arabo ha parlato di un nuovo attacco contro civili da parte delle forze israeliane nella zona settentrionale dell’enclave. Intanto l'esercito israeliano ha ammesso di aver distrutto vaste scorte di cibo e medicinali destinati a Gaza. Secondo l'emittente israeliana Kan - che cita fonti militari israeliane - più di 1.000 camion di aiuti umanitari sono stati deliberatamente distrutti. Le stesse fonti hanno ammesso: “Ci sono migliaia di pacchi rimasti sotto il sole, e se non verranno trasportati a Gaza, saremo costretti a distruggerli”. Nonostante le crescenti pressioni internazionali per facilitare la consegna degli aiuti, le autorità israeliane hanno affermato che la distruzione era dovuta a presunti fallimenti nel “meccanismo di distribuzione degli aiuti” all'interno di Gaza. Accuse però smentite oggi sul New York Times da due alti ufficiali delle Idfsecondo i quali non esistono prove delle accuse più volte reiterate dal governo israeliano di furti da parte di Hamas degli aiuti delle Nazioni Unite e delle Ong. Nella Striscia di Gaza "quasi una persona su tre non mangia per giorni. La malnutrizione è in forte aumento, con 90.000 donne e bambini che necessitano urgentemente di cure". Lo si legge in una dichiarazione del World Food Program (Programma alimentare mondiale), ufficio delle Nazioni Unite, secondo cui la crisi ha raggiunto "livelli nuovi e impressionanti di disperazione". Per questo il Regno Unito lavora con la Giordania per far arrivare, per via aerea, aiuti alla popolazione della Striscia di Gaza e per far uscire dall'enclave palestinese bambini che hanno bisogno di cure mediche. Lo ha confermato il premier britannico Keir Starmer in un colloquio con il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz. "Il premier ha spiegato come il Regno Unito porterà anche avanti piani per lavorare con i partner, come la Giordania, per la consegna di aiuti per via aerea e l'evacuazione (dalla Striscia) dei bambini che hanno bisogno di assistenza medica". Un alto dirigente di Hamas ha contestato le dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump secondo cui la delegazione del gruppo militante palestinese "non voleva veramente concludere un accordo" per il cessate il fuoco a Gaza. In un messaggio su Telegram, Izzat al-Risheq, membro dell’ufficio politico del movimento, ha affermato che tali affermazioni, così come quelle dell’inviato Usa Steve Witkoff, "non sono in linea con l’andamento del processo negoziale, che stava in realtà registrando progressi". Al-Risheq ha accusato Washington di ignorare "il vero impedimento a qualsiasi accordo, ovvero il governo Netanyahu", sottolineando che "Hamas ha mostrato molta flessibilità nei colloqui" ed è "desiderosa di raggiungere un’intesa complessiva che ponga fine alle sofferenze della nostra popolazione a Gaza". Ha quindi invitato gli Stati Uniti a smettere di "assolvere l’occupazione e fornirle copertura politica e militare per proseguire nella guerra di sterminio e fame".
(Adnkronos) - Risparmiare sui dazi? Una 'mission possible' per ExportUsa - società specializzata nello sviluppo commerciale sul mercato americano, attiva da oltre 20 anni con sedi a New York, Dayton (Ohio), Miami (Florida), Rimini (Italia) e Bruxelles (Belgio) - che ha appena lanciato uno Sportello dazi, dedicato proprio alle aziende italiane che esportano negli Stati Uniti e vogliono orientarsi tra categorie doganali, tariffe e regolamenti complessi. Lo sportello (dazi@exportusa.us) fornisce consulenza su classificazioni doganali corrette, simulazioni di costo e strategie per evitare errori che portano a dazi cumulativi. Per affrontare questa 'spada di Damocle' che pende sulle imprese italiane esportatrici, infatti, è fondamentale gestire l’export in modo consapevole e strategico, e in qualche caso si può trovare il modo per risparmiare in modo consistente. Come dire: trasformare un ostacolo in opportunità. A spiegarlo, in un'intervista a Adnkronos/Labitalia, è il presidente di ExportUsa, Lucio Miranda. Si parla spesso di dazi quando si discute di esportazioni verso gli Stati Uniti. Perché questo tema è così centrale oggi? "I dazi sono senza dubbio uno dei temi più caldi nel commercio con gli Usa, e lo sono ancora di più da quando Donald Trump ha iniziato a sfidare i partner europei. Ne parlano i media di tutto il mondo, ma nonostante questo molte aziende italiane che vogliono esportare negli Stati Uniti si trovano ancora in difficoltà su un aspetto fondamentale che sta a monte: il calcolo corretto del dazio. Molte volte manca una strategia chiara. Le imprese si affidano a procedure frettolose o a soggetti esterni che, comprensibilmente, non hanno a cuore il risparmio per l’azienda. Il risultato è che spesso si pagano più dazi del necessario". E' da qui che nasce l’idea dello Sportello dazi Usa di ExportUsa (dazi@exportusa.us). Come funziona? "Abbiamo creato uno sportello dedicato, già attivo e contattabile alla mail dazi@exportusa.us, proprio per supportare le aziende italiane nel districarsi tra categorie doganali e le tariffe. È un servizio di consulenza che nasce dall’esperienza quotidiana sul campo. Niente teoria astratta, andiamo dritti al punto: aiutare le imprese a risparmiare, anche cifre molto consistenti, grazie a un protocollo d’importazione sviluppato insieme a uno studio legale americano esperto di diritto doganale". Quali sono gli errori più comuni che riscontrate tra le aziende italiane? "Il primo è delegare in bianco il calcolo del dazio allo spedizioniere. Lo capisco: le imprese vogliono semplificare il processo. Ma lo spedizioniere tende a scegliere l’opzione più prudente per evitare contestazioni, e questo ha un costo. Il nostro consiglio è chiaro: non delegare alla cieca, ma seguire da vicino la classificazione delle merci e verificare sempre i codici utilizzati". E i Codici doganali sono gli stessi in Europa e negli Usa? "Molti pensano di sì, ma non è vero. Le prime quattro cifre del sistema armonizzato sono uguali, ma le successive sei cambiano. Ed è proprio lì che si gioca la partita del risparmio. Una classificazione più accurata può abbassare di molto l’aliquota applicata. Ignorare questa differenza significa esporsi a un’imposizione più elevata, del tutto evitabile". Quindi tutto parte da una corretta classificazione delle merci? "Direi di sì: è il primo passo per un calcolo doganale corretto. Ma non è banale: non si tratta solo di descrivere il prodotto, ma di capire come viene classificato secondo la logica americana, che non sempre coincide con quella europea. Gli Usa seguono criteri rigorosi, e spesso un errore porta a pagare dazi più alti. Noi aiutiamo le aziende a utilizzare strumenti ufficiali come i pareri vincolanti della dogana americana, che offrono chiarezza e sono fondamentali in caso di dubbi". E, concretamente, quanto si può risparmiare seguendo questi consigli? "Dipende da diversi fattori: volume della merce, dazio medio applicato e costo industriale del prodotto. Ma parliamo di cifre davvero significative. Un’azienda che esporta imbarcazioni, cosmetici o integratori per un valore annuo di 12 milioni di dollari, con un costo di produzione del 40% e un dazio medio del 10%, può risparmiare 500.000 dollari in un anno, 1,7 milioni in tre, fino a 2,9 milioni in cinque anni. Anche nel settore dei macchinar i margini ci sono. Se un’azienda esporta 15 milioni di dollari l’anno, con un costo industriale del 60% e un dazio medio del 14%, il risparmio può arrivare a 400.000 dollari in un solo anno e 2,5 milioni in cinque anni". Come si svolge il lavoro dello sportello? "Facciamo simulazioni caso per caso, valutando tutti i parametri rilevanti. Molti imprenditori stanno aspettando il primo agosto nella speranza che i dazi vengano cancellati. Ma il dazio del 30% annunciato da Trump è ancora solo un’ipotesi. Quello che è molto più probabile è che il 10% diventi la nuova base di partenza. Aspettare senza muoversi non è una strategia". Quindi il suo consiglio finale per le imprese italiane? "Essere proattivi. Non aspettare che la situazione cambi da sola, ma gestire l’export in modo consapevole e strategico. I dazi sono un costo, ma non sono inevitabili. Con le giuste competenze e strumenti, si possono ridurre in modo importante. Lo Sportello Dazi nasce proprio per questo".
(Adnkronos) - “Per noi il welfare è una tradizione storica: siamo arrivati a questa decisione già nel primo dopoguerra grazie a coloro che mi hanno preceduto alla guida di A2a. Credo che sia un sintomo di responsabilità importante che ci siamo già assunti come Gruppo. Siamo la prima life company a presentare un piano di incentivazione per i nostri dipendenti e abbiamo un piano sulla genitorialità”. Sono le dichiarazioni di Roberto Tasca, presidente di A2a, in occasione dell’evento ‘WelLfare. Il Welfare fa davvero bene’, organizzato da A2a per condividere una riflessione sui servizi di welfare, sui Premi di produttività e sul nuovo piano di azionariato diffuso, presentati a Milano. “In un momento in cui il Paese ha una serie di problemi di natura economica e sociale, dove gli stipendi sono bassi, noi vogliamo affrontare tali problematiche intervenendo a sostegno dei nostri dipendenti e della comunità nella quale siamo inseriti, con tutti i nostri limiti, ma con la consapevolezza di volerlo fare - spiega Tasca - Non è un caso che oggi vi sia la presenza dei sindaci di Milano e Brescia, le due città che rappresentano il controllo del nostro Gruppo. Credo sia un'unione perfetta di sforzi volti a intervenire su un problema concreto del nostro Paese”. “Il piano sulla genitorialità che abbiamo fatto consiste nel pagare chi fa figli all’interno della nostra life company, sostenendo da 1 a 18 anni il figlio: diamo 3250 euro al momento della nascita e diluiamo nel corso del tempo. Un piano varato per 12 anni - sottolinea - Abbiamo fatto questo per incentivare i nostri dipendenti. Infatti, regaliamo per tre anni il controvalore di 500 euro in azioni. Questo per far sì che chi lavora con noi si senta anche parte dei risultati economici e del comportamento che il titolo azionario ha sul mercato”. “Lo facciamo con un'assunzione di responsabilità: non è un vincolo, non è una legge o un decreto, è una testimonianza che vogliamo dare esattamente in questa direzione perché riteniamo che essere presenti in una comunità significhi anche farsi carico, in momenti particolari come questo, di questo tipo di responsabilità”, conclude il presidente di A2A.