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(Adnkronos) - Garlasco è solo l'ultima e più mediatica indagine riaperta negli anni, con nuove tracce e ipotesi investigative, ma sono tantissimi i delitti irrisolti che tornano sotto la lente degli investigatori fino a riscriverne le pagine rimaste vuote del registro degli indagati. Almeno 300 i cold case analizzati dall’Udi, l’Unità Delitti Insoluti della Polizia di Stato, più di 60 riaperti con esiti positivi. Ne sono un esempio il delitto della 16enne Manuela Murgia a Cagliari, 30 anni fa, archiviato come suicidio, e quello di Nadia Cella, la segretaria uccisa a Chiavari nel 1996. Ma come e perché casi chiusi senza un colpevole tornano attuali con indagini da rifare e presunti innocenti improvvisamente sospetti? "Si tratta a volte di fascicoli impolverati e rianalizzati dopo anni dall'archiviazione, che sarebbero rimasti lì sepolti - spiega all'Adnkronos il vice questore Pamela Franconieri, direttore della IV sezione 'Reati contro la persona' del Servizio Centrale Operativo - Lo spirito non è fare numeri, ma provare a risolvere casi gravi, restituendo alle famiglie delle vittime, quando è possibile, l’idea che continuiamo a fare il possibile, quando ci sono strade ancora percorribili. Chi ha commesso un grave delitto come l’omicidio, è bene che abbia la sensazione che potrebbe non averla fatta franca per sempre. E’ un lavoro di squadra, che vede una stretta collaborazione tra gli investigatori del Servizio centrale operativo, del Servizio Polizia Scientifica e delle Squadre mobili del territorio in cui sono avvenuti i delitti. Cold case, Polizia Scientifica: "Progressi straordinari, oggi possibile estrarre dna da un guanto usato" Un caso riaperto di recente seguito dall’Unità delitti insoluti e dalla Squadra Mobile di Vicenza è l'omicidio dell'avvocato Pierangelo Fioretto e di sua moglie Mafalda Begnozzi, giustiziati sotto casa la sera del 25 febbraio del 1991 senza un apparente motivo. Soprattutto grazie alle analisi effettuate dalla Polizia Scientifica con una tecnologia scientifica evoluta, a distanza di anni è stato possibile estrarre il profilo genetico dai reperti, incrociandolo con le banche dati del dna e delle impronte papillari, trovando così la coincidenza genetica che ci ha consentito di bussare alla porta di uno dei presunti autori dopo 34 anni". "In questo tipo di indagine la parte scientifica è fondamentale per il recupero dell'elemento di prova che può incastrare a distanza di anni, e la corretta conservazione dei reperti è essenziale. E’ altrettanto importante l'elemento investigativo, analizzare nuovamente il caso, ripartire dal profilo della vittima e dal contesto relazionale che aveva, recuperare tutte le informazioni possibili passate cercando anche nuovi spunti. Ad esempio, su un omicidio che era accaduto in strada, abbiamo dovuto riguardare, a distanza di 25 anni, le piantine e le fotografie dell'epoca, per ricreare l'idea di quella scena del delitto oggi completamente diversa, anche verificando le condizioni meteo di quel preciso giorno: non è tanto una questione di andare a fare le pulci a quello che è stato fatto in un'indagine risalente, ma è riguardare il caso con l’approccio dell’investigatore di oggi, che utilizza tecniche di investigazione moderne accanto a quelle tradizionali". Ma perché si riapre un caso? "E' una decisione del giudice su richiesta del pubblico ministero - spiega Franconieri – motivata dall’esigenza di nuove investigazioni quando è ragionevole prevedere l’individuazione di nuove fonti di prova. Dobbiamo certo avere la possibilità di far leva su nuovi elementi, che si possono prendere da un fascicolo in cui vediamo che per esempio ci sono ancora dei reperti ben conservati e dai quali si può riprovare a effettuare altri accertamenti alla luce delle nuove tecnologie scientifiche, di analisi del dna e delle impronte papillari, merceologiche, balistiche. Allo stesso tempo si può battere la pista dei testimoni, valorizzare il percorso battuto dagli investigatori di allora o analizzarne altri inesplorati, ma che possiamo considerare ancora percorribili. A volte, a distanza di anni, può arrivare qualche informazione che ci porta a riattualizzare il caso. Tutto deve essere vagliato con la lente di un binocolo che rigiriamo di volta in volta, con uno sguardo al passato e uno all'attualità, e con la delicatezza e la cautela che è indispensabile nei confronti dei familiari delle vittime". (di Silvia Mancinelli)
(Adnkronos) - I lavoratori specializzati sono sempre più introvabili: lo confermano i dati pubblicati da Unioncamere e il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2024 ammonta al 47,8% la difficoltà di reperire personale, in aumento del 2,7% rispetto al 2023. Tra le regioni più in difficoltà ci sono Veneto, Umbria e Friuli-Venezia Giulia con il 65% circa di lavoratori introvabili; seguono Trentino-Alto Adige con 62,7%, Piemonte – Valle d’Aosta, Toscana ed Emilia-Romagna, con il 61,7% e la Lombardia con 61,2%. A pesare su questa carenza il mismatch tra scuola e lavoro, la denatalità e l’invecchiamento della popolazione, ma anche il cosiddetto paradosso del ‘grande spreco’ rappresentato dai giovani inattivi, che riguarda un quarto dei giovani tra 25 e 34 anni. Ne parla con Adnkronos/Labitalia l’imprenditrice piemontese Paola Veglio, amministratore delegato di Brovind, attiva nel mondo dell’automazione industriale, che da anni denuncia la difficoltà a trovare giovani lavoratori. Nel suo caso, il problema è acuito dalla particolare dislocazione geografica della sua azienda: il piccolo borgo di Cortemilia, nell’Alta Langa, lontano dai servizi offerti dalle grandi città. “Impazzire per trovare lavoratori qualificati - spiega - è un lusso che il nostro Paese non può permettersi. Penso sia sempre più importante che tra scuola e tessuto imprenditoriale ci sia maggior vicinanza, in modo che i giovani possano toccare con mano cosa significhi lavorare in azienda. I percorsi di stage o l’alternanza scuola lavoro sono utili ma non sufficienti. Dovrebbe esserci una maggior presenza fisica dei ragazzi sul luogo di lavoro, per capire cosa si faccia realmente, in modo che una volta preso il diploma possano avere le idee più chiare su ciò che vorranno fare. Sto lavorando concretamente per ridurre questo gap, costruendo un dialogo produttivo con le scuole tecniche del territorio. Spero che anche altre aziende vorranno fare altrettanto”. “Brovind - sottolinea - vive un duplice problema, da un lato fatica a trovare personale qualificato, dall’altro i giovani sono poco inclini a lavorare in un piccolo borgo. Per queste ragioni cerchiamo di far coincidere le esigenze del welfare aziendale con quelle del welfare territoriale. Con la crescita dell’organico, in Brovind la mensa era diventata troppo piccola, ma il territorio non offriva soluzioni utili per agevolare la pausa pranzo. Per questo, ho ristrutturato e riaperto un ristorante pizzeria chiuso da anni che ospita 60 dipendenti a mezzogiorno, ma accoglie anche i cittadini e i turisti del borgo. Grazie agli sforzi del comune, finalmente a Cortemilia è presente un asilo nido e Brovind paga la retta ai figli dei propri lavoratori”. “Da qualche anno - racconta - il mondo del lavoro è cambiato: oggi sono le persone a scegliere l’azienda in cui lavorare. È più difficile agganciare i giovani, perché il loro modo di pensare è diverso dalle generazioni precedenti; finché non entreremo in sintonia con loro sarà difficile coinvolgerli. Si potrebbe partire da una narrazione diversa del lavoro in fabbrica, oggi sempre più tecnologicamente sofisticato, per riqualificare l’immagine dell’operaio e renderla più interessante”. “Ci vorrebbero più incentivi - sottolinea l’imprenditrice - per assumere i giovani e dovrebbe essere reintrodotta l’opportunità ai minorenni di partecipare agli stage estivi: oggi i ragazzi hanno a disposizione solo l’esperienza di alternanza scuola-lavoro e spesso arrivano ai 18 anni completamente spaesati e senza avere la minima idea di come funzioni il mondo lavorativo. Il paradosso - ammette - di un’Italia che non trova lavoratori mentre i giovani restano ai margini dovrebbe farci riflettere: forse non sono loro a essere lontani dal lavoro, ma il lavoro a non parlare più la loro lingua. Se vogliamo che borghi storici come Cortemilia continuino a vivere, serve più coraggio nel ripensare il lavoro: renderlo accessibile, umano e connesso al futuro delle nuove generazioni, non al passato delle imprese”.
(Adnkronos) - Sono 90 le località rurali che hanno ricevuto il riconoscimento Spighe Verdi 2025, rispetto alle 75 dello scorso anno: 17 sono i nuovi ingressi, 2 i Comuni non confermati. Le Spighe Verdi 2025 per i Comuni rurali, alla decima edizione, sono state annunciate nel corso della cerimonia di premiazione che si è svolta a Roma presso il Cnr alla presenza dei sindaci vincitori. Spighe Verdi è un programma nazionale della Fee - Foundation for Environmental Education, l’organizzazione che rilascia nel mondo il riconoscimento Bandiera Blu per le località costiere, pensato per guidare i Comuni rurali, passo dopo passo, a scegliere strategie di gestione del territorio in un percorso virtuoso che giovi all’ambiente e alla qualità della vita dell’intera comunità. Per portare i Comuni rurali alla graduale adozione dello schema Spighe Verdi, la fondazione Fee Italia ha condiviso con Confagricoltura un set di indicatori in grado di fotografare le politiche di gestione del territorio e indirizzarle verso criteri di massima attenzione alla sostenibilità. Alcuni indicatori presi in considerazione sono stati: la partecipazione pubblica; l’educazione allo sviluppo sostenibile; il corretto uso del suolo; la presenza di produzioni agricole tipiche, la sostenibilità e l’innovazione in agricoltura; la qualità dell’offerta turistica; l’esistenza e il grado di funzionalità degli impianti di depurazione; la gestione dei rifiuti con particolare riguardo alla raccolta differenziata; la valorizzazione delle aree naturalistiche eventualmente presenti sul territorio e del paesaggio; la cura dell’arredo urbano; l’accessibilità per tutti senza limitazioni. "Il 2025 segna un forte incremento del programma Spighe Verdi - dichiara Claudio Mazza, presidente della fondazione Fee Italia - ben 17 nuovi ingressi che testimoniano la crescente attenzione delle amministrazioni locali verso uno sviluppo rurale realmente sostenibile. Questo dato, che arriva nel decimo anno del programma, rappresenta un segnale concreto di cambiamento, in cui la gestione del territorio, la qualità ambientale e il benessere delle comunità diventano priorità condivise e strumenti di crescita. Spighe Verdi non è un riconoscimento simbolico: è un percorso volontario, rigoroso e trasparente, che richiede impegno costante, visione amministrativa e capacità di coinvolgimento del tessuto sociale e produttivo del territorio. L’adesione di così tanti Comuni a questo modello con convinzione testimonia che anche le località rurali italiane stanno finalmente prendendo consapevolezza del proprio ruolo centrale nella costruzione di un futuro sostenibile per il nostro Paese”. “Il programma Spighe Verdi conferma anche nel 2025 la sua funzione strategica per la crescita dei Comuni rurali e delle aree interne del nostro Paese - ha sottolineato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - L’agricoltura è protagonista di questo percorso: dalle pratiche sostenibili all’economia circolare, dalla tutela del paesaggio alla valorizzazione delle produzioni tipiche e dell’accoglienza. Sono questi i pilastri che guidano il lavoro delle imprese agricole e che ritroviamo pienamente negli obiettivi fissati da Fee Italia”. Le Spighe Verdi 2025 sono state assegnate in 15 Regioni. Il Piemonte ottiene il maggior numero di riconoscimenti con 18 Spighe Verdi (cinque ingressi): Acqui Terme, Alba, Bra, Canelli, Carignano, Castiglione Falletto, Centallo, Cherasco, Chiusa di Pesio, Gamalero, Gavi, Guarene, Monforte d’Alba, Narzole, Poirino, Pralormo, Santo Stefano Belbo e Volpedo. Salgono a 10 le località per la Calabria (tre nuovi Comuni): Belcastro, Cariati, Crosia, Miglierina, Montegiordano, Roseto Capo Spulico, Santa Maria del Cedro, Sellia Marina, Trebisacce, Villapiana. Le Marche vantano 9 località premiate: Esanatoglia, Grottammare, Matelica, Mondolfo, Montecassiano, Montelupone, Numana, Senigallia, Sirolo. Segue la Toscana che ottiene 8 riconoscimenti: Bibbona, Castellina in Chianti, Castiglione della Pescaia, Castagneto Carducci, Gambassi Terme, Grosseto, Massa Marittima, Orbetello. Sono 8 le Spighe Verdi in Umbria (un ingresso e un’uscita): Deruta, Gubbio, Montecastrilli, Montefalco, Norcia, Scheggino, Todi, Trevi. Anche la Puglia ottiene 8 Comuni Spighe Verdi: Andria, Bisceglie, Castellaneta, Carovigno, Maruggio, Nardò, Ostuni, Troia. La Campania ottiene 7 riconoscimenti (con un ingresso): Agropoli, Ascea, Capaccio-Paestum, Foiano di Val Fortore, Massa Lubrense, Monteforte Cilento, Positano. Sono 5 le località del Lazio (un ingresso e un’uscita): Canale Monterano, Gaeta, Rivodutri, Sabaudia, San Felice Circeo. In Liguria i Comuni sono 4 (con due nuove località): Andora, Borgio Verezzi, Lavagna, Sanremo. La Sicilia arriva a 3 località con due nuovi Comuni: Modica, Ragusa, Vittoria. Con un nuovo Comune, salgono a 3 anche le Spighe Verdi in Abruzzo: Gioia dei Marsi, San Salvo e Tortoreto. Il Veneto vanta 2 località: Montagnana e Porto Tolle. Sono 2 i Comuni Spighe Verdi anche in Basilicata (un nuovo ingresso) - Nova Siri e Pisticci - e in Lombardia: Ome e Sant’Alessio con Vialone. Uno è il Comune in Emilia-Romagna, Parma.