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(Adnkronos) - A pochi mesi dall'appuntamento del luglio scorso in cui istituzioni, clinici ed esperti si erano riuniti a Roma per affrontare il tema della transizione dall'età pediatrica all'età adulta nelle malattie neurologiche rare, si è tenuto l'incontro 'Regione Lazio. Continuità di cura nelle malattie rare: il Lazio costruisce il modello di transizione' dedicato alle encefalopatie dello sviluppo ed epilettiche (DEEs) e ai percorsi assistenziali previsti dal Piano nazionale malattie rare 2023-2026, organizzato da Edra Spa con il supporto non condizionato di Ucb Pharma. L'evento si inserisce nel solco tracciato dall'appuntamento istituzionale della scorsa estate, durante il quale era stato presentato il documento 'DEEstrategy', modello operativo promosso da Ucb in collaborazione con Edra, volto a garantire continuità assistenziale e integrazione multidisciplinare nei percorsi di cura dei pazienti con DEEs. Il Lazio - spiegano gli organizzatori in una nota - rappresenta oggi un contesto particolarmente significativo: la presenza di numerosi policlinici e Irccs, unita a una orogeografia disomogenea, mette in evidenza in modo marcato le criticità della transizione pediatrico-adulta, ma allo stesso tempo offre un terreno ideale per sperimentare soluzioni concrete e replicabili. Il nuovo incontro ha voluto presentare agli stakeholder regionali il modello DEEstrategy come strumento operativo già pronto all'implementazione, promuovere un confronto sulle politiche regionali e sulle possibili azioni di miglioramento, raccogliere proposte per protocolli regionali di transizione, attivazione di case manager dedicati, definizione di Kpi (Key Performance Indicators) per monitorare qualità ed efficacia dei percorsi. "La personalizzazione della cura - ha affermato Federico Vigevano del San Raffaele di Roma, tra gli autori del documento DEEStrategy - passa innanzitutto da una definizione precisa della malattia e delle sue comorbidità. Solo partendo da una diagnosi accurata possiamo valutare in modo attendibile gli effetti delle terapie farmacologiche e riabilitative. Strumenti operativi come l'Acute Seizure Action Plan consentono di garantire continuità terapeutica anche nelle situazioni di emergenza, soprattutto per quei pazienti che vivono lontano dai centri di riferimento e si rivolgono a strutture sanitarie di primo livello". Nel corso della precedente conferenza, il documento DEEstrategy aveva individuato 4 ambiti prioritari su cui agire a livello nazionale e regionale: gestione strutturata della transizione pediatrico-adulta; rafforzamento dell'approccio multidisciplinare; potenziamento della rete socioassistenziale; sviluppo della telemedicina per ridurre disuguaglianze territoriali e migliorare l'accesso alle cure. Questi stessi temi sono stati al centro dell'incontro regionale, con l'obiettivo di tradurre le linee guida nazionali in azioni concrete per il territorio laziale. "Come Consiglio regionale non faremo mai mancare il nostro supporto a iniziative di confronto serio, pacato e costruttivo, finalizzate a migliorare i modelli di presa in carico e la transizione delle cure, assicurando continuità assistenziale e maggiore omogeneità sul territorio - ha dichiarato Antonello Aurigemma, presidente del Consiglio regionale del Lazio - L'integrazione tra ospedali, centri di riferimento e servizi territoriali rappresenta una delle sfide centrali per il futuro della sanità. E' su questo terreno che dobbiamo continuare a lavorare per rispondere in modo efficace alle complessità delle malattie rare". Pochi giorni prima dell'incontro di Roma - riferiscono i promotori - si sono svolti eventi regionali a Firenze e Palermo, con l'obiettivo di presentare il modello DEEstrategy agli stakeholder locali e stimolare il dibattito sulle politiche regionali in ambito di malattie rare. Questi appuntamenti hanno rappresentato un momento fondamentale per raccogliere proposte concrete e attuabili, con un focus particolare sul coinvolgimento delle realtà locali, per proporre un modello replicabile non solo per le DEEs, ma anche per altre patologie rare e per altre Regioni, creando così le basi per un percorso strutturato che favorisca una transizione più fluida e omogenea tra i servizi pediatrici e quelli per adulti. La Regione Lazio ha avviato negli ultimi anni un percorso condiviso con il Coordinamento malattie rare per applicare e monitorare le linee di indirizzo sulla transizione. Tuttavia, resta fondamentale rafforzare tali linee e coordinare in modo più efficace centri di riferimento, servizi territoriali, direzioni aziendali e associazioni dei pazienti. "Le istanze portate dalle famiglie e dalle associazioni - ha sottolineato Roberto Poscia, responsabile del Centro interdipartimentale malattie rare (Cimr) del Policlinico Umberto I - sono assolutamente fondate: il vero obiettivo deve essere quello di non perdere tempo e di non dare mai al paziente la percezione di essere lasciato solo. La presa in carico deve essere continua, strutturata e riconoscibile lungo tutto il percorso di cura. Rafforzare il ruolo dei case manager e l'integrazione tra ospedale e territorio significa semplificare concretamente la vita delle famiglie e, allo stesso tempo, rendere il sistema più efficiente. Percorsi chiari e ben organizzati non migliorano solo gli outcome clinici, ma consentono anche una gestione più sostenibile delle risorse del servizio sanitario". Le DEEs, che comprendono patologie complesse come le sindromi di Dravet, di Lennox-Gastaut, di Angelman e la sindrome da deficit di Cdkl5 - si legge in una nota - richiedono un'assistenza continua lungo tutto l'arco di vita, con interventi sanitari, sociali, educativi e domiciliari integrati. L'evento di luglio aveva sottolineato la necessità di utilizzare la leva della digitalizzazione, delle reti Hub & Spoke e della collaborazione tra pediatri, neurologi, neuropsichiatri infantili e servizi territoriali per superare le disuguaglianze ancora presenti tra regioni e all'interno delle stesse regioni. L'appuntamento appena concluso ha rappresentato un passo ulteriore per tradurre in pratica questi obiettivi, allineando il Lazio alle indicazioni del Piano nazionale malattie rare 2023-2026 e promuovendo una presa in carico omogenea, multidisciplinare e centrata sui bisogni di pazienti e famiglie. "Per i pazienti e le famiglie il tema centrale non è la transizione in senso amministrativo, ma la continuità di cura - ha evidenziato Katia Santoro, presidente Associazione famiglie Lgs Italia - E' questo l'elemento che deve essere garantito lungo tutto l'arco della vita, senza fratture tra età pediatrica, adulta e geriatrica. Nel passaggio all'età adulta, spesso vengono meno i team multidisciplinari che avevano accompagnato il paziente in età pediatrica. Questo lascia le famiglie sole ad affrontare una gestione complessa, che coinvolge aspetti clinici, sociali e assistenziali".
(Adnkronos) - Panettoni, cioccolatini, biscotti e snack confezionati vengono prodotti in grandi quantità durante il periodo festivo per rispondere a una domanda concentrata in poche settimane, ma una parte consistente di questi prodotti resta invenduta. Dietro l’apparente successo delle vendite natalizie si nasconde infatti un tema strutturale: l’invenduto alimentare rappresenta un costo concreto per la filiera, con ricadute economiche e ambientali che coinvolgono produttori, distributori e retailer. Il fenomeno assume dimensioni globali: secondo uno studio di Ecr Retail Loss, organismo internazionale di ricerca nel settore della distribuzione e del retail, ogni anno oltre un miliardo di tonnellate di cibo viene sprecato, generando costi stimati superiori ai 90 miliardi di euro lungo la catena del valore. Un impatto che incide direttamente sulla redditività: se i retailer riuscissero anche solo a dimezzare questi costi nascosti nei propri conti economici, la maggior parte potrebbe incrementare i profitti di oltre il 20%. Nel settore dolciario, la concentrazione produttiva di dicembre amplifica ulteriormente la pressione: prodotti perfettamente idonei al consumo rimangono invenduti, generando costi aggiuntivi per sconti, redistribuzione, smaltimento e logistica, che possono arrivare fino all’1,8% del fatturato. A questo si aggiungono immobilizzazioni di capitale e inefficienze operative che pesano sulla redditività complessiva, oltre all’impatto ambientale legato al consumo di risorse, alle emissioni e alla gestione dei rifiuti. In questo scenario, appare chiaro come la gestione delle eccedenze non sia un tema marginale, ma una leva strategica per la competitività delle aziende della filiera alimentare. Sempre più operatori stanno adottando modelli industriali strutturati per affrontare il problema in modo continuativo e non emergenziale. Tra queste realtà si inserisce Regardia, player di riferimento in Italia nella circular economy, che opera nel recupero degli ex-prodotti alimentari trasformandoli in risorse utili attraverso processi industriali dedicati. Grazie a questo modello, più di 165.000 tonnellate all’anno di surplus alimentare e concentrato solubile di frumento vengono mediamente preservate nella filiera dei mangimi, evitando lo spreco di risorse ancora valorizzabili. Le eccedenze, anziché essere destinate allo smaltimento, vengono così selezionate, trattate e reintrodotte nel ciclo produttivo come materie prime per la mangimistica e come matrici per bioenergie, riducendo il ricorso a risorse vergini e alleggerendo i costi logistici e ambientali dell’invenduto. L’approccio consente alle aziende di ridurre le perdite economiche legate allo stock fermo, limitare i costi di gestione e trasformare un problema operativo in una risorsa gestibile e misurabile. “Oggi - spiega Paolo Fabbricatore, Group ceo di Regardia - il vero tema non è più se gestire l’invenduto, ma come farlo in modo strategico. Ogni prodotto fermo in magazzino rappresenta un costo finanziario, un rischio operativo e una perdita di valore. Approcci strutturati permettono di ribaltare questa logica: trasformare l’eccedenza in opportunità concreta genera benefici economici e ambientali lungo tutta la filiera. Ridurre gli sprechi significa intervenire direttamente sui margini, sull’efficienza operativa e sulla solidità del business”. La portata del tema diventa ancora più evidente se si confronta l’incidenza dell’invenduto con le dimensioni complessive del mercato dolciario globale. Secondo il report Confectionery Worldwide 2025 di Statista, il comparto genera 531 miliardi di euro di fatturato annuo, con i prodotti da forno e pasticceria come principale categoria, seguiti da cioccolato, dolciumi e gelati. L’Europa occidentale rappresenta circa un terzo del mercato mondiale, davanti al Nord America (22%) e all’Asia-Pacifico (14%). In un settore di questa scala, anche piccole percentuali di eccedenze hanno un impatto economico significativo, moltiplicandosi lungo tutta la filiera. Il divario tra il valore complessivo del mercato e i costi nascosti legati all’invenduto rende evidente come la gestione delle eccedenze non sia una questione marginale, ma un elemento strutturale dell’equilibrio del settore. In questo scenario, adottare modelli efficienti e sostenibili significa non solo ridurre gli sprechi, ma rafforzare la competitività e la resilienza dell’intera filiera. In risposta a questa sfida, le aziende stanno adottando strategie strutturate per recuperare valore dall’invenduto, trasformando eccedenze che altrimenti rappresenterebbero un costo in opportunità concrete per la filiera. La gestione intelligente dell’invenduto non riguarda più solo la riduzione dello spreco, ma si sta evolvendo in approcci integrati che combinano efficienza operativa, sostenibilità e innovazione. Tra i principali trend emergenti si possono individuare i seguenti aspetti. Mangimistica animale: i prodotti dolciari invenduti vengono selezionati e trasformati in ingredienti sicuri e nutrienti per mangimi, contribuendo a ridurre i costi delle materie prime e l’impatto ambientale della filiera. Donazioni a enti benefici: le eccedenze alimentari vengono ridistribuite a organizzazioni caritative, offrendo un vantaggio sociale e riducendo sprechi e costi di smaltimento. Reimmissione sul mercato: alcune aziende utilizzano canali alternativi come outlet o promozioni dedicate, trasformando i prodotti invenduti in vendite aggiuntive senza intaccare il prezzo pieno. Trasformazione in nuovi prodotti o ingredienti secondari: l’invenduto può essere convertito in nuove linee di prodotti o materie prime per altre produzioni, valorizzando risorse altrimenti perse. Conversione in compost o bioenergie: gli scarti non utilizzabili a fini alimentari e non declassabili ad uso zootecnico possono essere destinati a produzione di compost o energia rinnovabile, chiudendo il cerchio della circolarità e riducendo l’impatto ambientale complessivo.
(Adnkronos) - Nel 2025, grazie alla collaborazione tra Nespresso e Banco Alimentare dell’Emilia Romagna, sono stati donati 100 quintali di riso, equivalenti a oltre 100mila piatti, destinati a circa 200 organizzazioni benefiche nel solo territorio regionale. E’ il risultato del progetto di economia circolare ‘Da Chicco a Chicco' di Nespresso che dal 2011, grazie all’impegno di chi sceglie di riciclare le capsule di caffè in alluminio esauste di Nespresso, consente di rigenerare i due materiali di cui sono composte: l’alluminio e il caffè esausto. L’impatto del progetto in Emilia Romagna è stato possibile soprattutto grazie all’impegno mostrato nella raccolta delle capsule esauste: da gennaio a ottobre 2025, nella Regione sono state infatti recuperate circa 150 tonnellate di capsule esauste, attraverso i 44 punti di raccolta presenti sul territorio regionale tra Boutique Nespresso e isole ecologiche partner dell’iniziativa, da cui sono state rigenerate più di 85 tonnellate di caffè, trasformate poi in compost, e 8 tonnellate di alluminio, avviate a nuova vita per trasformarsi in altri oggetti. Risultati che dimostrano come dal riciclo delle capsule di caffè esauste possono nascere nuovi oggetti, compost, riso e aiuti solidali, con un impatto concreto sul territorio e le persone. Il progetto è nato nel 2011 dalla collaborazione con Cial (Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio), Utilitalia e Cic (Consorzio italiano Compostatori), per offrire la possibilità di riconsegnare le capsule esauste in alluminio nelle isole ecologiche partner dell’iniziativa e presso le Boutique Nespresso, per un totale di oltre 200 punti di raccolta attualmente distribuiti sul territorio nazionale. Una volta raccolte dai gestori dei servizi ambientali, le capsule vengono poi trattate in un apposito impianto, affinché il caffè e l’alluminio vengano separati e avviati a recupero. L’alluminio, materiale riciclabile infinite volte, viene destinato alle fonderie per essere trasformato in nuovi oggetti come penne, biciclette, segnalibri e molto altro. Il caffè esausto, invece, viene destinato a un impianto di compostaggio per la sua trasformazione in compost, fertilizzante naturale che successivamente può essere ceduto a una risaia italiana. Da quel riso, poi riacquistato da Nespresso, nascono milioni di pasti donati e distribuiti attraverso Banco Alimentare e, dal 2024, anche dalle Cucine Mobili e dai Market solidali di Fondazione Progetto Arca. “Grazie al nostro progetto Da Chicco a Chicco, un gesto semplice come restituire le capsule esauste può generare un impatto concreto sul territorio e sulle persone, sia a livello locale, come anche qui in Emilia Romagna, sia a livello nazionale - ha dichiarato Matteo Di Poce, specialista in Sostenibilità di Nespresso Italiana - Un ciclo virtuoso, concreto e misurabile e un progetto che dimostra chiaramente come economia circolare e solidarietà possano lavorare insieme, trasformando quelli che sono possibili materiali di scarto in risorse preziose per le comunità e per l’ambiente. Un progetto che da oltre 14 anni parla di impegno sul territorio e di supporto concreto alle realtà locali. Ogni anno, la donazione del riso rappresenta per noi un momento importante, di cui siamo estremamente fieri, perché possiamo raggiungere direttamente le persone con un primo aiuto, donando non solo un piatto di riso, ma anche un momento di attenzione e cura”. “Siamo entusiasti di questa collaborazione con Nespresso - ha affermato Gianluca Benini, direttore di Banco Alimentare Emilia-Romagna - che ci consente di donare 10.080 kg di riso a circa 200 tra le realtà solidali convenzionate con il Banco sul nostro territorio, impegnate ad aiutare oltre 20mila persone in difficoltà. Ringraziamo Nespresso per averci resi partecipi di questa iniziativa che non solo ci consente di distribuire un prodotto di qualità, ma che rappresenta anche il risultato di un percorso virtuoso orientato alla cultura del recupero. Da più di 30 anni, Banco Alimentare lavora con questo obiettivo, recuperando alimenti ancora ottimi e facendoli arrivare là dove servono davvero”. A livello nazionale, ‘Da Chicco a Chicco’ continua a crescere: dal 2011 oltre 13.500 tonnellate di capsule esauste recuperate, più di 800 tonnellate di alluminio restituite ai circuiti produttivi, quasi 8mila tonnellate di caffè residuo trasformate in compost e più di 7.700 quintali di riso generati, equivalenti a oltre 8 milioni di piatti distribuiti nella rete capillare dedicata del Paese. Sempre a livello nazionale e solo nel 2025, sono stati donati oltre 1.300.000 di piatti di riso, frutto dell’attività coordinata dalle sedi regionali del Banco Alimentare e del lavoro di prossimità di Fondazione Progetto Arca.