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(Adnkronos) - "La genetica forense ha compiuto progressi straordinari negli ultimi decenni. Siamo passati dalla necessità di disporre di grandi quantità di materiale biologico alla possibilità di estrarre il dna anche da semplici cellule epiteliali di sfaldamento. Se abbiamo dei reperti integri, possiamo sottoporli a nuovi accertamenti biologici e spesso otteniamo risultati sorprendenti. Ricordo, ad esempio, un caso degli anni Novanta risolto qualche anno fa: il dna è stato estratto all'interno di un guanto usato". Lo racconta all'Adnkronos il vice questore aggiunto della Polizia di Stato Mario Botta, direttore della sezione analisi investigativa scena del crimine del servizio Polizia Scientifica. Nella risoluzione di casi un tempo 'archiviati' perché ritenuti irrisolvibili, per mancanza di prove, oggi gioca un ruolo fondamentale l'Unità Delitti Insoluti. "E' una Unità istituita nel 2009 composta da investigatori del Servizio Centrale Operativo e del Servizio Polizia Scientifica - spiega Botta – nella quale la componente dell’investigazione 'tradizionale' si fonde con quella tecnico-scientifica. Nel riesaminare i casi del passato analizziamo tutti gli atti presenti all’interno del fascicolo: dal sopralluogo di Polizia scientifica alle attività di indagine effettuate. La scena del crimine può essere riesaminata anche elaborando ricostruzioni tridimensionali, che ci permettono di ipotizzare possibili nuove dinamiche. Facciamo ipotesi di lavoro, studiamo i reperti presenti e verifichiamo se, alla luce delle tecnologie attuali, sia possibile svolgere ulteriori accertamenti genetici o di altra natura". "Nella rivisitazione dei delitti irrisolti del passato, un ruolo rilevante è svolto anche dal miglioramento dei frammenti di impronte rilevati sulle scene del crimine. Attraverso l’utilizzo di specifiche strumentazioni - spiega il vice questore - in alcuni casi è possibile mettere in luce dettagli dei frammenti papillari che all’epoca non erano evidenziabili, permettendone così l’inserimento nell’apposita banca dati A.P.F.I.S. per una successiva ricerca. È successo in diversi casi che questa attività abbia consentito di risalire all’identità dattiloscopica del soggetto, consentendo la riapertura di indagini archiviate da anni. Oggi disponiamo di numerose banche dati che rappresentano un supporto fondamentale per le attività investigative. Tra queste la Banca Dati Nazionale del Dna, entrata in funzione nel 2017, nella quale vengono inseriti profili di persone condannate o indagate per determinati reati e profili 'ignoti' estratti dai reperti prelevati sulle scene del crimine. Grazie a questo strumento, profili genetici che in passato erano stati confrontati senza alcun risultato con quelli di sospettati e indagati, una volta inseriti nella banca dati, hanno fornito match positivi, permettendo di riaprire indagini e risolvere casi rimasti a lungo senza colpevole". "Abbiamo poi, in ambito balistico, la banca dati I.B.I.S. che permette il confronto automatico tra bossoli e proiettili rinvenuti sulle scene del crimine. Ogni arma da fuoco, infatti, lascia sul bossolo e sul proiettile una sorta di 'impronta digitale'. Grazie a questo sistema, è possibile stabilire se un’arma sia già stata utilizzata in altri reati, anche a distanza di anni, permettendo così di collegare tra loro diversi eventi criminali. Altro strumento molto utile per le indagini è il S.A.R.I., Sistema Automatico Riconoscimento Immagini, che permette di confrontare, mediante algoritmi di intelligenza artificiale, volti presenti in fotografie e filmati con quelli di soggetti foto-segnalati. Il software restituisce un elenco di possibili corrispondenze, indicando un range di compatibilità. Tuttavia, la verifica finale spetta sempre a un esperto in comparazioni fisiognomiche, che analizza manualmente i tratti somatici per confermare l’identità del soggetto".
(Adnkronos) - Dalla prima cabina fototessera del Paese alla quotazione in Borsa Italiana. E' un lungo viaggio, che dura da oltre 60 anni quello di Dedem, azienda nata a Roma nel 1962 e che oggi è stata quotata per la prima volta su Euronext Growth Milan, dove in fase di collocamento ha raccolto 10 milioni di euro. Il flottante al momento dell’ammissione è del 25,98% e la capitalizzazione di mercato all’Ipo è pari a 38,5 milioni di euro. Un percorso partito nel Dopoguerra da una delle prime icone del made in Italy, come spiega in un'intervista ad Adnkronos/Labitalia Alberto Rizzi, amministratore delegato di Dedem. "È da quel clic, ancora in bianco e nero, che comincia la nostra storia industriale. Una storia che attraversa oltre sessant’anni di innovazione e trasformazione, mantenendo sempre al centro l’idea di semplificare la vita delle persone attraverso soluzioni automatizzate e accessibili. Da quella prima cabina, antesignana del selfie, siamo cresciuti, accompagnando generazioni di italiani, ma anche modernizzando costantemente i nostri servizi: dalle fototessere alle tecnologie per l’identificazione personale, fino al mondo del leisure e dei servizi digitali avanzati. Dedem è parte del paesaggio urbano e industriale italiano, ed è oggi un simbolo autentico del made in Italy, capace di coniugare artigianalità, tecnologia e visione", sottolinea. E a testimoniarlo sono i numeri di oggi di Dedem: "Siamo un gruppo -spiega Rizzi- solido e in crescita, con 113 milioni di euro di ricavi al 31 dicembre 2024, 668 dipendenti e 6.050 macchine installate tra Italia ed estero, soprattutto in Spagna e Repubblica Ceca. Dal 2019, quando il fatturato era di 80 milioni, abbiamo ampliato costantemente il nostro perimetro. Oltre alla leadership nei sistemi automatizzati per l’identificazione personale, abbiamo rafforzato il nostro ruolo nel leisure, con photo booth, kiddie ride e sale giochi a marchio Youngo nei principali centri commerciali. Parallelamente, siamo entrati in settori tecnologici avanzati come l’additive manufacturing e l’ict, mantenendo sempre al centro la qualità e il servizio alle persone". E oggi la quotazione in Borsa. "La quotazione su Euronext Growth Milan è un passo strategico che abbiamo immaginato da tempo. Oggi diventa realtà, e segna l’inizio di una nuova fase. L’obiettivo è duplice: da un lato, rafforzare la visibilità della società sul mercato e aumentare la nostra credibilità verso investitori e stakeholder; dall’altro, accedere a nuove risorse finanziarie per sostenere l’ulteriore crescita, sia in Italia che all’estero. Per noi, entrare in Borsa è anche un modo per valorizzare il nostro patrimonio di competenze, di innovazione e di identità imprenditoriale. È un atto di responsabilità verso chi ci ha portato fin qui e un’opportunità concreta per proiettare Dedem nel futuro, coinvolgendo anche i nostri dipendenti, ai quali abbiamo riservato parte delle nuove azioni emesse", sottolinea. E tanti i progetti previsti per il 2025. "Sarà per noi l’anno del consolidamento post-quotazione, ma anche il trampolino per nuovi traguardi. Vogliamo rafforzare la nostra presenza nei mercati esteri, facendo dell’internazionalizzazione uno dei pilastri della nostra strategia di lungo periodo. Intendiamo anche ampliare ulteriormente l’offerta di servizi ad alto valore tecnologico, integrando soluzioni digitali avanzate nei nostri dispositivi automatizzati. Ma non meno importante, vogliamo mantenere saldo il legame con le nostre persone, continuando a investire nella formazione, nel benessere e nella partecipazione attiva dei nostri collaboratori alla vita dell’azienda. Perché Dedem è e resta una grande squadra prima ancora che una grande impresa", aggiunge ancora. Sguardo sempre proteso alle nuove tecnologie. "L’intelligenza artificiale rappresenta per noi una opportunità importante, ma va gestita con attenzione, consapevolezza e responsabilità. Il nostro approccio è concreto e mirato: lavoriamo su modelli 'narrow', altamente specializzati e addestrati internamente. Ad esempio, nel sistema Dedem X - che valuta la qualità delle foto digitali - usiamo l’AI per affiancare la Computer Vision: in caso di anomalie, l’intelligenza artificiale entra in gioco, riducendo drasticamente il carico di lavoro del call center, che interviene solo in caso di incertezza. Un altro utilizzo è Crane X, un sistema che analizza la disponibilità e la varietà dei prodotti all’interno delle vending machine tramite AI, per ottimizzare la logistica". "In parallelo, stiamo testando modelli di intelligenza artificiale generativa per l’assistenza tecnica, addestrati con dati interni. La nostra visione è chiara: integrare l’ai dove può portare efficienza, valore e semplificazione, ma sempre mantenendo l’essere umano al centro del processo decisionale", conclude.
(Adnkronos) - L’energia solare potrebbe presto trovare una nuova e sorprendente applicazione: il fondo del mare. Una ricerca pubblicata sulla rivista Energy & Environmental Materials ha, infatti, dimostrato che le celle solari a perovskite possono funzionare in modo efficiente anche in ambiente acquatico, aprendo la strada a tecnologie energetiche innovative per l’uso subacqueo. Lo studio è frutto della collaborazione tra il Consiglio nazionale delle ricerche – coinvolto con l’Istituto di struttura della materia (Cnr-Ism) e l’Istituto per i processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf) - l’università di Roma Tor Vergata e la società BeDimensional Spa, leader nella produzione di materiali bidimensionali. Sotto i 50 metri di profondità, solo la luce blu-verde riesce a penetrare efficacemente: le celle solari a perovskite, già note per la loro efficienza e versatilità, si sono dimostrate particolarmente adatte a sfruttare questa luce residua. I test condotti con una specifica perovskite di composizione FAPbBr₃, hanno mostrato prestazioni sorprendenti: immerse nei primi centimetri d’acqua, queste celle producono più energia rispetto a quando sono esposte all’aria. “Merito delle caratteristiche ottiche dell’acqua e del suo effetto rinfrescante, che migliora l’efficienza del dispositivo”, spiega Jessica Barichello, ricercatrice del Cnr-Ism che ha coordinato lo studio. “Un ulteriore test di durata ha verificato anche l’aspetto ambientale: grazie all’efficace incapsulamento, basato su un adesivo polimerico idrofobico sviluppato da BeDimensional, dopo 10 giorni di immersione in acqua salata, le celle solari hanno rilasciato quantità minime di piombo, ben al di sotto dei limiti imposti per l’acqua potabile”. “Grazie alla collaborazione con il Cnr-Ism e BeDimensional e alla tecnologia disponibile nel nostro laboratorio Chose, abbiamo validato l’intero processo per l’applicazione del materiale fotovoltaico in perovskite in ambienti subacquei dove vengono sfruttate efficacemente le sue proprietà. Una nuova sperimentazione per noi - commenta Fabio Matteocci, professore associato del dipartimento di Ingegneria elettronica dell’università di Roma Tor Vergata - dal momento che il nostro studio parte dallo sviluppo di nuovi dispositivi fotovoltaici semitrasparenti tramite processi industriali facilmente scalabili per applicazione su edifici”. Oggi troviamo pannelli solari su tetti, serre, edifici, persino nello spazio, ma l’ambiente marino è ancora una frontiera poco esplorata. “Questo lavoro pionieristico non solo mostra che le perovskiti possono operare anche in condizioni umide, ma apre nuove possibilità per l’utilizzo sostenibile dello spazio subacqueo, sempre più impiegato in attività come l’agricoltura marina, l’invecchiamento del vino e altre applicazioni innovative”, conclude Barichello.