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(Adnkronos) - L'accordo sui dazi fra Stati ed Europa rischia di diventare un caso di scuola. Nel senso che il metodo Trump, la semplificazione che passa per una stretta di mano e quel 'ci penso io' che vuole risolvere un negoziato complesso, sembra aver messo in crisi anche la diplomazia. I testi pubblicati da Usa e Ue non solo sono diversi ma lasciano aperte diverse questioni centrali: dagli impegni sugli investimenti alle incognite su diversi settori, dall'acciaio ai farmaci, e alla sorte di alcuni prodotti agricoli. Come è possibile che il lavoro di mediazione di settimane non abbia prodotto un accordo chiaro e inequivocabile? Soprattutto, è possibile che l'accordo sia sostanzialmente da rifare? Sembrano domande assurde ma non lo sono. C'è un nodo principale da sciogliere, che riguarda la natura dell'intesa raggiunta. L'Unione europea parla di 'accordo politico' che 'non è giuridicamente vincolante'. Cosa vuol dire in concreto? Che sono state definite delle linee guida che andranno negoziate in ogni dettaglio. Ma dato che si è arrivati all'incontro in Scozia fra il presidente americano Donald Trump e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen dopo settimane di lavoro tecnico, sembra evidente come l'assenza di un testo congiunto, anche solo di indirizzo politico, sia un fatto con pochi precedenti nella storia, almeno per 'deal' di questa portata. E c'è anche un'altra evidente incongruenza che salta all'occhio. Da una parte ci sono i toni trionfalistici di Trump, "un accordo colossale", "un accordo che fa la storia", e la narrazione dell'uomo forte che risolve e mette gli interessi dell'America prima di tutto il resto, in piena retorica Maga. Dall'altra, la cautela, molto più tecnica che politica, di un'Europa che si trova di fronte a un accordo sbilanciato, contestato, sostanzialmente subito. L'impressione è che il lavoro vada sostanzialmente rifatto da capo. Non fosse altro perché, anche nell'era Trump, per raggiungere un accordo politico serve ancora un testo congiunto e perché per attuarlo serve ancora un testo giuridicamente vincolante. (di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - "Noi siamo assolutamente contrari a qualsiasi forma di dazi, sono una disgrazia, noi siamo per il libero mercato. E quindi anche al 15% non ci fanno piacere. E le nostre imprese verranno penalizzate non solo dai dazi, ma anche dalla svalutazione del dollaro, un problema enorme che rende i nostri prodotti sempre più cari i nostri prodotti per il consumatore americano. In Puglia siamo molto colpiti nell'agroalimentare, per chi esporta ad esempio olio e pasta, e anche del farmaceutico. Ci sono imprese che esportano fino al 20% negli Usa, in alcuni casi i dazi saranno un problema insormontabile". E' preoccupato Sergio Fontana, presidente di Confindustria Puglia, nel commentare, con Adnkronos/Labitalia, l'intesa sui dazi al 15% trovata tra Usa e Ue. "L'Italia -ricorda Fontana- è la quarta potenza esportatrice al mondo, esportiamo più di quello che importiamo e quindi siamo penalizzati da qualsiasi forma di dazio. E la mia personale posizione è che gli unici dazi che vorremmo avere sono quelli sociali, nei confronti di coloro che non rispettano i diritti dell'uomo, fanno lavorare i bambini e non permettono i sindacati; e ambientali, per coloro che producono creando problemi all'ambiente", aggiunge. E Fontana chbiede che le imprese non vengano lasciate sole. "In attesa di una politica di sostegno europea, italiana e anche regionale a tutela delle nostre imprese, l'unica cosa che possono fare gli imprenditori è puntare sull'avere un prodotto di altissima qualità, aumentare il valore aggiunto e poi cercare di trasformare il dazio, che è una disgrazia, in opportunità, puntando su altri mercati come l'America Latina, gli Emirati Arabi e l'India", conclude.
(Adnkronos) - Fire accoglie "favorevolmente il decreto di revisione del meccanismo dei Certificati bianchi da poco firmato dal Mase ed attualmente all’esame della Corte dei Conti. Le nuove regole introducono una maggiore flessibilità e semplificazioni sia per i proponenti che per la presentazione dei progetti, oltre a definire gli obblighi fino al 2030 in linea con le previsioni del Pniec". "Questo induce ad essere ottimisti circa la continuità della crescita del meccanismo in atto da qualche anno - osserva Fire - La conferma dei vari meccanismi di flessibilità, con riduzione progressiva dei titoli virtuali negli anni, consentirebbe comunque di affrontare eventuali periodi di carenza di Tee senza eccessivi traumi. La previsione di introdurre uno schema d'aste, che sarebbe stato utile per promuovere interventi non sufficientemente supportati dei certificati bianchi, è declassata a possibilità, ma comunque rimane e dunque lascia aperto uno spiraglio". In sintesi, "per quanto riteniamo che sarebbe possibile introdurre misure più spinte per ottenere di più da questo schema, riteniamo che sia stato fatto un passo avanti positivo e che ci sia spazio per ulteriori rafforzamenti nei prossimi anni, nell'interesse delle imprese, degli enti e del Paese. Come Fire continueremo a collaborare con le istituzioni di riferimento in quest'ottica".