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(Adnkronos) - C’è una frase che Tiziano Ferro pronuncia con semplicità disarmante, e che da sola riassume il senso del suo ritorno: "Volevo sentirmi scomodo. Se non mi stava piacendo il corso della mia carriera, ovviamente era colpa anche mia”. Non c’è autocommiserazione. Ma la lucidità di chi, dopo aver attraversato un terremoto personale, decide di guardarsi allo specchio e riconoscersi, anche nelle crepe. 'Sono un grande', il nuovo album del cantautore di Latina, in uscita domani 24 ottobre su etichetta Sugar Music, nasce da qui: dalla voglia di riscriversi, spogliarsi e riprendersi il diritto di sbagliare. Frutto di oltre due anni di lavoro, in questo disco Ferro appare ispirato e profondo, leggero e pronto a mettersi in gioco con la cosa che lo ha sempre guidato: l’amore per la musica. "La verità è una bellissima droga - racconta -. Perché appena te ne rendi 'addicted' non ne esci più vivo. Capisci, ti rendi conto che fai molta meno fatica ad avvicinarti agli altri e non esiste più il concetto di giusto e sbagliato. Ho capito che dire la verità, parlare di me in maniera trasparente è più facile o comunque meno faticoso… e da lì non si torna indietro”. Dopo anni di silenzio, un divorzio mediatico dal marito Victor Allen a marzo 2024, e la vita a Los Angeles con i due figli, Margherita e Andres, di cui ha la custodia esclusiva, Ferro fa quello che gli riesce meglio: trasformare l'esperienza in musica. A quarantacinque anni, è come se ricominciasse da zero. Nuova etichetta discografica, la Sugar Music, dopo che alla Universal "hanno lasciato che il contratto scadesse, come il latte, e nessuno se ne è accorto, nemmeno io” confessa senza far polemica. Nuovo management, nuovi produttori, nuove regole del gioco. “Ho scelto persone che dicono quello che pensano - racconta - perché volevo cambiare gli specchi deformanti del Luna Park. Non necessariamente per vedere la realtà com’è, ma per vederla diversa". È così che nella sua orbita è entrata Paola Zukar, storica manager di Marracash e una squadra di produttori giovani e affilati - Marz, Zef, Bias - che hanno saputo costruire con lui un suono moderno ma emotivo, pieno di respiro. “Non mi piacciono le cose sicure. Il mestiere dell’artista deve essere sempre un po’ sul ciglio del burrone - dice serenamente -. Non ho litigato con nessuno. Non ho licenziato nessuno. Ma avevo bisogno di sentirmi dire cosa, secondo alcune persone, andava fatto meglio. Necessito di fare questo mestiere come va fatto: senza sicurezza, on the road”. È un Tiziano che torna a interrogarsi sul senso stesso di essere artista. “Volevo partire dalla scomodità. Perché la cosa più triste e aberrante che possa accadere se fai questo mestiere è timbrare il cartellino - osserva -. Cioè tornare nei negozi di dischi perché c’è il tuo nome o fare concerti perché tanto sei te. E fare una cosa con un’aspettativa già data. Che mi auguro ci sia, perché spero ci sia dell’affetto. Quello sì”. Nel suo racconto c’è la consapevolezza di un uomo che ha imparato a convivere con la complessità, anche quella di essere genitore. "Diventi padre e ti chiedi: dov’è la saggezza? Dove sta il lume di mio padre? Non c’è - puntualizza -. Come sto? Meglio di due settimane fa, meglio di tre anni fa. Faccio una vita che un po’ mi sento di subire. Mi chiedono in molti dell’America. Io l’America non l’ho scelta. È arrivata per amore. Poi sono arrivati i figli. E quando è finita la relazione uscire fuori dall’America è diventato un po’ complesso. Ho questa custodia ma sono anche una persona che ha un cuore. Non vorrei prendere i bambini e portarli via, anche se potrei. E questo mi porta a vivere in un luogo nel quale non ho punti di riferimento. Che mi dà tanto dal punto di vista musicale ma mi mancano alcuni livelli umani che non possono esserci in una città alienante come Los Angeles. Se potessi non vivrei dove vivo adesso. L’unica scelta che ho non mi piace a livello etico. Potrei portarli via, ma non lo faccio. Per ora penso sia giusto così". ‘Sono un grande’ è un disco di ricerca e disillusione ma anche di luce. Un album che accoglie l’imperfezione e prova a trasformarla in forza. Dietro l’uomo che ha venduto milioni di dischi e riempito stadi in tutto il mondo, c’è oggi un autore che rivendica il diritto di non avere tutte le risposte. E si sente: nelle canzoni lente ma cariche di significato, nelle pause, nella voce e nella scrittura dei testi. Uno dei nuclei più potenti del disco è la sfida alla mitologia del dolore come unica forma di autenticità. Non serve più apparire per forza perfetto. "Non ho mai avuto la smania di essere sempre al top o di apparire impeccabile - ammette -. Ho sempre mostrato le mie asperità, le complicazioni. Ho sempre chiesto alle persone di provare ad andare d’accordo con se stesse, anche nelle cose che non piacciono". Se il brano 'Fingo&Spingo', in radio da venerdì, racconta la sottile linea tra vita personale e identità artistica, e 'Quello che si voleva', un omaggio alla canzone di Chiara Galiazzo, 'La vita che si voleva', parte da dolore, rabbia, e disprezzo che poi diventa altro, la titletrack ‘Sono un grande’ è una riflessione sulle insicurezze e sul valore di sé. "Non è un titolo arrogante - spiega Ferro - ma una canzone che parla di insicurezza. Però anche di dire: vabbè, ok, magari sono qui per caso, ma sono io che ho fatto quelle scelte. E quindi, forse, sono anche un grande per questo. L’importante è rimanere in contatto con quello che sei. Senza inventare una versione B di te". Questa è la chiave dell’album e, forse, della sua vita oggi. “Non esistono due versioni di me. Ne esiste una. Magari fa schifo. Però è proprio una. Ed è una meraviglia vivere così". Parlando di sincerità si fa serio: "Tutti gli artisti dicono che il loro disco è il risultato di un grande lavoro su se stessi. Io il lavoro su me stesso l’ho fatto. Ma dov’è il cambiamento? Non lo vedo. O non me ne accorgo io. Mi piacerebbe dire che c’è già il finale felice. In realtà ho fatto una sola scelta: la sincerità, anche quando è scomoda". In '1, 2, 3' Ferro affronta un tema che lo ha colpito in prima persona: gli attacchi di panico, un argomento ancora stigmatizzato nel mondo della musica. "C’è molta ipocrisia - spiega -. Va di moda, e quindi sento troppo spesso pronunciare le parole ‘salute mentale’ senza entrare nel merito. Non sento mai parlare di serotonina. Non sento mai parlare di farmaci utilizzando la classificazione e la nomenclatura adeguata. E non sento mai parlare di percorsi, psicanalisi, psichiatri, che, ricordiamo tutti, non sono dei matti che legano le persone alle sedie e lobotomizzano, come secoli fa. C’è bisogno di grande e vera informazione nei confronti di questo tema". L’anno che verrà sarà ricco di musica dal vivo per Tiziano. L’annuncio di Stadi26 ha scatenato l’entusiasmo dei fan: sono stati polverizzati già 300mila biglietti, tanto che gli appuntamenti allo Stadio San Siro di Milano (6 e 7 giugno) e allo Stadio Olimpico di Roma (27 e 28 giugno) sono raddoppiati. "Volenti o nolenti, 25 anni sono passati per tutti e l’importante è far diventare il tour una festa - promette -. Amo gli artisti che mandano a casa le persone felici. Quando un cantante scrive la scaletta per il fan lo senti e lo vedi, io voglio che le persone escano dallo stadio contente. Devo molto alle mie canzoni, non mi stancheranno mai perché hanno sempre un valore diverso. Oggi ‘Rosso Relativo’ è diventata qualcosa che non era nel 2002". E mentre racconta il legame con il passato, non nasconde l’intensità dei suoi show: "Quando canto le mie hit, in quel momento parte una diapositiva, non so come facciano alcuni cantanti a privarsi di questo - dice -. La trovo una cosa magica, non c’è nulla che mi faccia godere di più di attaccare le prime parole e vedere il delirio che si scatenerà da lì a breve. Guardo tutte le persone, vorrei una webcam puntata su ogni faccia. Sapere che dietro la mia storia c’è quella di qualcun altro, rende intimo persino lo stadio". Tra le crepe dell’esperienza personale e l’energia travolgente dei suoi stadi, Ferro si conferma un artista e un uomo in grado di trasformare dolore e fragilità in canzoni che parlano di tutti, per tutti. (di Federica Mochi)
(Adnkronos) - "Il compito di un’azienda non dovrebbe limitarsi a generare utili, ma creare valore per il territorio che la ospita, sostenendone la crescita economica e sociale attraverso un dialogo costruttivo con le istituzioni locali". E' questa la visione di Paola Veglio, amministratore delegato di Brovind, realtà del settore automazione industriale con sede a Cortemilia (Cuneo). L’imprenditrice ha raccontato all’Adnkronos/Labitalia un importante progetto cui sta partecipando, che mira ad avvicinare scuola e mondo del lavoro. "La nostra azienda - ha spiegato - opera in un piccolo territorio ed è molto propensa ad accogliere giovani talenti, per poterli formare e offrire loro opportunità di crescita professionale", prosegue Veglio. Un impegno reso ancora più urgente dalla carenza di lavoratori specializzati: secondo Unioncamere e Ministero del Lavoro, nel 2024 il 47,8% delle imprese fatica a trovare personale qualificato, un dato in aumento rispetto al 2023. A pesare sono il mismatch scuola-lavoro, la denatalità e l’invecchiamento della popolazione, oltre al 'grande spreco' dei giovani inattivi, che riguarda un quarto dei ragazzi tra 25 e 34 anni". "Impazzire per trovare lavoratori qualificati - ha sottolineato -è un lusso che il nostro Paese non può permettersi. Per questo è fondamentale avvicinare scuola e impresa: i giovani devono sperimentare concretamente cosa significhi lavorare in azienda. Stage e alternanza sono utili, ma non bastano: serve una presenza più costante dei ragazzi sul luogo di lavoro". "Nei giorni 23 e 24 ottobre, l’Iiss Piera Cillario Ferrero Alba di Cortemilia ospiterà un hackathon sponsorizzato da Brovind. L’azienda metterà a disposizione degli studenti il nuovo stabilimento produttivo, nato dalla ristrutturazione di un ex polo industriale dismesso di 33.000 mq. Alla gara parteciperanno 16 ragazzi di quinta superiore provenienti da quattro istituti del territorio (Cortemilia, Acqui Terme, Alba e Cairo Montenotte), divisi in squadre", ha chiarito l’imprenditrice. Il progetto verrà svelato il 23 ottobre: gli studenti lavoreranno come in una vera sfida aziendale, supportati da tutor d’eccezione. "Durante la prova, i ragazzi potranno contare sul prezioso supporto degli ingegneri Brovind, dei professori degli istituti coinvolti e del Politecnico di Torino che li guideranno nella programmazione gestionale ed economica, nell'operatività e R&S, fino all'utilizzo dell'intelligenza artificiale. Vincerà la squadra con il progetto più promettente. Supportare iniziative come questa è per me motivo di orgoglio: danno ai ragazzi un’occasione reale di confronto con il mondo del lavoro", commenta Veglio. La dirigente scolastica, Paola Boggetto, ha confermato che "la didattica challenge-based e l’hackathon sono modelli di apprendimento innovativi, che vanno oltre la lezione frontale e il semplice lavoro di gruppo. Il progetto risponde pienamente alle indicazioni della recente riforma degli istituti professionali che mira a rendere le scuole dei luoghi d’innovazione, dedicati alla sperimentazione e ricerca didattica. Queste idee diventano realizzabili anche grazie alla collaborazione del tessuto imprenditoriale locale; ci auspichiamo, quindi, che l’iniziativa possa ricevere in futuro il supporto di tante altre realtà aziendali. In questo modo, potremo offrire agli studenti nuove opportunità di apprendimento e di toccare con mano cosa significhi operare in un’azienda reale". Nei prossimi mesi Brovind aprirà le porte del nuovo impianto produttivo anche a un gruppo di studenti che, settimanalmente, durante l’orario scolastico, potranno lavorare in un laboratorio dedicato. "I ragazzi avranno la possibilità di portare avanti progetti visti sui libri, operando in un contesto sicuro e seguiti da docenti e personale aziendale. È un’occasione importante per superare il mismatch che ancora separa scuola e lavoro", ha concluso Veglio.
(Adnkronos) - Secondo l’Osservatorio Second Hand Economy di Bva Doxa per Subito, la compravendita di usato si è posizionata al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più praticati dagli italiani, nello specifico da 27,2 milioni di persone solo nel 2024. Anche quest’anno Subito - piattaforma di re-commerce in Italia, con 26 milioni di utenti attivi al mese - ha voluto misurare l’effettivo impatto ambientale dell’attività di compravendita in piattaforma, attraverso lo studio Second Hand Effect, condotto in collaborazione con Vaayu, la piattaforma di climate tech che supporta le aziende nel monitoraggio, misurazione e riduzione dell’impatto ambientale. L’analisi - che riguarda le compravendite tra privati avvenute nella quasi totalità delle categorie Market ed esclude invece Immobili, Motori e Lavoro - permette di quantificare le emissioni potenzialmente evitate grazie all’acquisto di prodotti di seconda mano, sulla base delle linee guida più recenti della comunità scientifica. L’approccio di Vaayu rende il calcolo delle emissioni accurato e trasparente, affiancando al metodo Lca una mappatura ancora più granulare delle emissioni legate al business e una survey integrativa sottoposta a un campione di oltre 1.400 utenti Subito per indagare i loro comportamenti in termini di trasporto e imballaggio. Grazie ai quasi 11,5 milioni di oggetti venduti su Subito nelle categorie oggetto di analisi, nel 2024 sono state potenzialmente risparmiate circa 450mila tonnellate di CO2. Un impatto molto significativo, i cui benefici sono rappresentati in modo ancor più concreto da alcune equivalenze: è come se si fossero evitate le emissioni di 4,5 milioni di passeggeri che volano da Milano a Roma o 3,7 milioni di auto che viaggiano tra Milano e Roma. Nel 2024 ogni compravendita su Subito ha consentito un risparmio potenziale medio di 39 kg di CO2 non immessi nell’atmosfera in crescita del 40% rispetto al 2023. Un dato positivo che dipende anche da un altro aspetto ovvero l’incremento delle vendite di oggetti con un impatto maggiore sull’ambiente, come ad esempio biciclette (240 kg di CO2 risparmiata in media), Pc fissi e console (210 kg), Tv (135 kg) e notebook/tablet (95 kg). Quella delle biciclette (38%) si attesta al primo posto nella classifica delle categorie che hanno contribuito maggiormente al risparmio totale di CO2. Sul secondo e sul terzo gradino del podio troviamo, quasi a parimerito, due categorie molto diverse tra loro ma molto apprezzate e presidiate quando si parla di mercato second hand: arredamento e casalinghi (20%) e informatica (19%). “I risultati dell’analisi Second Hand Effect 2024 dimostrano come la compravendita di oggetti usati non sia solo una scelta consapevole e smart, ma anche un gesto concreto con un impatto ambientale misurabile - racconta Giuseppe Pasceri, Ceo di Subito - È soddisfacente e stupefacente osservare come quelli che ci sembrano piccoli gesti quotidiani siano in realtà grandi cambiamenti a favore del nostro futuro. L’anno scorso, 11,5 milioni di compravendite su Subito hanno potenzialmente evitato le emissioni equivalenti all’impronta ambientale di 78mila italiani, praticamente l’intera città di Varese”. Dalla survey integrativa realizzata da Vaayu sul campione rappresentativo degli utenti Subito, emerge inoltre che in 6 casi su 10 (59,5%) l’usato evita effettivamente l'acquisto di un prodotto nuovo, con picchi del 66% in categorie chiave come arredamento, elettrodomestici ed elettronica. Questo comporta l’ulteriore abbattimento dei costi e delle emissioni correlate alla produzione di beni nuovi (dall’estrazione delle materie prime, alla loro lavorazione, fino alla distribuzione). Un dato significativo se si considera che - secondo quanto dichiarato dai rispondenti alla survey - il 71,5% degli oggetti pubblicati su Subito trova effettivamente un acquirente, portando a compimento il circolo virtuoso del riuso. A suggellare le buone pratiche che i consumatori possono mettere in atto nell’ambito degli acquisti second hand, una menzione particolare riguarda anche la scelta delle modalità di consegna e spedizione. Secondo le analisi di Vaayu, cresce infatti il numero di utenti che sceglie la consegna in un punto di ritiro, più sostenibile perché solitamente ottimizza il tragitto dei mezzi di trasporto, a discapito della consegna a casa, utilizzata sempre con minor frequenza (18%). Ultimo, ma non per importanza, l’imballaggio: l’80% di chi spedisce un prodotto lo fa utilizzando un imballaggio già presente in casa o comunque già utilizzato per altro (come ad esempio confezioni di precedenti acquisti); mentre chi preferisce effettuare la compravendita e lo scambio di persona nel 63% dei casi dichiara di non utilizzare alcun tipo di imballaggio.