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(Adnkronos) - Il piano del primo ministro israeliano di occupare la Striscia di Gaza è ''una pazzia, Benjamin Netanyahu e il suo piano sono follie''. Perché ''aumenterà la tragedia dei 2,2 milioni di palestinesi'' che vivono nell'enclave palestinese, ''isolerà Israele completamente nella comunità internazionale facendolo diventare uno Stato-paria'', porterà al fatto che ''tutti gli ostaggi verranno uccisi'' e ''ogni soldato israeliano a Gaza diventerà un bersaglio''. Così all'Adnkronos l'attivista israeliano Gershon Baskin, il mediatore che nel 2011 convinse Netanyahu a stringere un accordo con Hamas per la liberazione del caporale Gilat Shalit, catturato nella Striscia di Gaza nel 2006. ''Quella di Netanyahu non è una guerra strategica, è solo una guerra politica. Per la sua sopravvivenza politica nel governo'', afferma. Ma ''continuare la guerra e decidere di occupare il resto della Striscia di Gaza aggraverà solo la tragedia, porterà solo ad altre morti e distruzione, non c'è alcun beneficio strategico. Non si otterrà la liberazione degli ostaggi, ma solo la loro uccisione''. E i palestinesi, che già ora ''soffrono la fame e hanno subito un trauma collettivo'' vedranno sempre più ''gli israeliani come occupanti e come nemici''. Quindi ''anche chi non attacca oggi Israele, inizierà a farlo''. E ''Israele sarà isolato nel mondo, non ci vorrà molto perché i Paesi impongano sanzioni contro Israele e prendano provvedimenti contro i cittadini israeliani. E' già accusato da molti di aver commesso crimini di guerra e genocidio nella Striscia di Gaza''. Insomma, aggiunge, ''Israele non potrà continuare a lungo a violare il diritto internazionale e a godere dell'impunità''. Secondo Baskin non è chiaro perché il presidente americano Donald Trump abbia avallato il piano del premier israeliano per occupare Gaza. ''In realtà non capiamo molto bene Trump. Probabilmente Netanyahu è riuscito a convincerlo che sia la mossa giusta da compiere per smantellare Hamas e mettere fine alla guerra. Ma c'è anche il fatto che probabilmente a Trump non interessa poi molto'' quello che succede a Gaza e a Israele, ''non è il suo mondo''... riflette. In ogni caso, se davvero dovesse essere messo in atto il piano di Netanyahu su Gaza significherebbe che ''Israele non ha imparato niente da 58 anni di occupazione del territorio palestinese'', prosegue l'attivista politico facendo riferimento all'espansionismo israeliano a partire dal 1967. ''L'occupazione di Gaza sarà peggio perché si tratta di un territorio piccolo e con tanta gente che ci vive, con molti problemi, molti traumi e fame. E se Israele occuperà interamente Gaza, ogni soldato lì presente diventerà un bersaglio da colpire'', aggiunge il direttore della International Communities Organisation che, per liberare Shalit, convinse Netanyahu a scarcerare 1.026 detenuti palestinesi. Tra loro c'era anche Yahya Sinwar, diventato poi capo di Hamas nella Striscia di Gaza e la mente del massacro del 7 ottobre del 2023. L'unico modo per arrivare alla liberazione degli ostaggi che dal 7 ottobre del 2023 si trovano ancora nella Striscia di Gaza è ''tramite un accordo che metta fine alla guerra'', un ''accordo con Hamas'', proprio come fu nel 2011 con Shalit, spiega Baskin, che vede positiva la ''mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti'' in questa direzione. Per quanto riguarda un futuro di pace tra israeliani e palestinesi, per Baskin non ci sono dubbi: ''Solo la soluzione a due Stati, non ce ne sono altre''. Baskin, che lo scorso febbraio ha fondato l'Alleanza per due Stati, ricorda il ''percorso positivo avviato dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas insieme al presidente francese Emmanuel Macron e Mohammed bin Salman'', il principe ereditario saudita. ''E' stato espresso l'impegno palestinese alla soluzione dei due Stati, alla democrazia, al disarmo di Hamas per un riconoscimento dello Stato palestinese da parte del mondo interno'', afferma. Baskin definisce quindi ''molto positiva'' la decisione di alcuni Paesi occidentali, Francia e Gran Bretagna in testa, di riconoscere dal prossimo settembre lo Stato palestinese. ''L'Italia dovrebbe fare lo stesso, se è davvero favorevole alla soluzione a due Stati'''. Baskin aggiunge che ''è necessario che tutto il mondo riconosca lo Stato palestinese''. E ''Paesi come l'Italia, che sostengono la soluzione a due Stati, siccome riconoscono Israele, ovviamente devono riconoscere anche la Palestina''. L'attivista sottolinea che ''la premier italiana Giorgia Meloni è una buona amica di Netanyahu'', ma ''per l'Italia la questione non dovrebbe essere Netanyahu. Il vero punto è se l'Italia crede davvero o no che la soluzione al conflitto palestinese sia la soluzione a due stati. E se ritiene che questa sia la soluzione se ne deve occupare e investire in questa direzione, partendo dal riconoscimento dello Stato palestinese'', afferma.
(Adnkronos) - L'accordo tra Usa e Ue sui dazi al 15% "non è una vittoria né un pareggio, ma non è una disfatta" perchè "si è evitata una guerra commerciale che poi avremmo comunque perso". In una lunga intervista con Adnkronos/Labitalia , Cristina Scocchia, ad di illycaffè, storico marchio del caffè made in Italy con una forte quota di export negli Usa, analizza l'intesa sui dazi e parla dei possibili effetti sul business di illycaffè. Al centro del colloquio anche la 'tempesta perfetta' nel mercato del caffè, l'andamento dei prezzi, la conferma degli investimenti e le ultime novità sulla quotazione in Borsa. Usa e Ue hanno raggiunto un'intesa sui dazi al 15% per i prodotti europei che doveva partire da oggi, 1° agosto, ma che in realtà prenderanno il via il 7 agosto. Come giudica l'accordo? Io sono una persona molto pragmatica, non penso certo che questa sia una vittoria, e neanche un pareggio. Però non penso che sia una disfatta, nel senso che dobbiamo essere anche obiettivi. Le forze in campo erano molto diverse. Da una parte, abbiamo gli Stati Uniti, che sono uno Stato, con una leadership politica chiara, con indipendenza energetica, militare e tecnologica. Noi invece, dall'altra parte, abbiamo un'Europa che non è uno Stato, ma è tanti Stati insieme. Un insieme di Stati con una governance ancora poco chiara e farraginosa, e senza una leadership forte e condivisa. Infatti, su molte tematiche e anche sui dazi abbiamo visto e vediamo posizioni discordanti tra i vari paesi, Francia, Germania, Italia, in primis. Quindi non siamo uno Stato unico, non abbiamo una leadership europea forte. E poi non siamo indipendenti dal punto di vista energetico, non siamo indipendenti dal punto di vista militare e della difesa, non siamo indipendenti neanche dal punto di vista della tecnologia, soprattutto la tecnologia digitale e dell'intelligenza artificiale, dove dipendiamo dagli americani, quindi è ovvio che se le forze in campo sono così dispari, mi viene in mente Tucidide con Atene contro Melo, a un certo punto, per non finire come Melo, bisogna anche essere razionali e ripiegare in maniera pragmatica e ordinata. Quindi non è una vittoria, non è neanche un pareggio, è un ripiegamento, però non è una disfatta. La disfatta vera, secondo me, sarebbe stata andare allo scontro con gli Stati Uniti, iniziare una guerra commerciale che poi avremmo comunque perso, perché, ripeto, noi non siamo indipendenti, loro sì, e in più avremmo logorato quella partnership politica, morale e valoriale che lega le due anime dell'Occidente. E questo, secondo me, sarebbe stata la disfatta vera, logorare questa partnership che fa dell'Occidente quello che è, ovvero un'unione tra le due parti dell'Oceano. Scendendo nel concreto, come pensa che impatterà questo provvedimento sul vostro business negli Usa? Quanto pesa il mercato americano sul vostro bilancio? Gli Stati Uniti pesano per noi il 20% del business. Al momento non sappiamo ancora se ci saranno delle eccezioni sui dazi, delle esenzioni su alcune categorie merceologiche che riguardano i settori agricoli. Non sappiamo ad esempio se settori come il caffè o eventualmente il cacao saranno esclusi da questi dazi. Siamo in attesa di sapere e di capire meglio. Ieri abbiamo visto come tutti una dichiarazione del ministro Usa del Commercio Lutnick che in un'intervista alla Cnbc dichiarava che alcuni prodotti che non vengono coltivati nel mercato americano come ad esempio il cacao e il caffè potrebbero, ha usato il condizionale, essere esclusi. Da allora però non abbiamo più sentito niente. È ovvio che già aver assorbito i dazi al 10% è stato difficile, se saranno poi al 15% sarà ancora più difficile per noi assorbirli. Però cercheremo di agire su due fronti, da un lato aumentare i prezzi al consumo perché dobbiamo porre un limite a quanto possiamo comprimere i nostri margini e dall'altra stiamo valutando da diversi mesi ormai la possibilità di produrre una parte di quello che poi commercializziamo sul mercato americano direttamente su quel mercato, e mi riferisco per esempio agli Energy Drinks che sono poi il prodotto che più viene amato degli americani. E' un progetto che va avanti anche perché è un progetto strategico che è accelerato certamente dai dazi, ma non dipende esclusivamente dai dazi. Noi infatti compriamo il caffè in nove paesi equatoriali, spediamo tutto a Trieste, a Trieste tostiamo e trasformiamo il prodotto e dopodiché lo rispediamo dall'altra parte dell'Oceano per andare negli Stati Uniti. Anche il trasporto Brasile-Trieste e Trieste-Stati Uniti è un costo logistico importante per l'azienda, in più crea un impatto sull'ambiente perché questi trasporti ovviamente emettono poi CO2. E quindi, per ragioni di efficienza della logistica e anche di sostenibilità, è giusto che un'azienda come noi che è sempre più globale, perché ormai ha all'estero il 70% del proprio mercato, inizi a ragionare su una scelta di questo tipo. E' ovvio poi che i dazi hanno accelerato queste nostre riflessioni. In questa condizione di incertezza quale è la situazione che state affrontando sul mercato del caffè? Quale ad oggi l'andamento del costo della materia prima? Il caffè verde purtroppo continua ad avere una quotazione molto alta, la spinta inflattiva non si sta attenuando, oggi siamo intorno ai 300 centesimi per libra. Certo, rispetto a quando era arrivato a 439, è ovvio che c'è stata una riduzione anche apprezzabile, però noi dobbiamo tenere presente che il prezzo medio era 100-130, quindi comunque anche oggi stiamo parlando di un costo della materia prima tre volte superiore alle medie storiche, quindi un aggravio dei corsi di produzione molto importante per noi. Diciamo che il settore tra dazi e costo della materia prima è sotto pressione. Noi come azienda, come illycaffè, stiamo reggendo molto bene, abbiamo appena chiuso un primo semestre comunque in forte crescita, più 11% di fatturato, più 4% di Ebitda e più 9% di utile netto. Diciamo che abbiamo chiuso un semestre positivo nonostante la tempesta perfetta. E la cosa che per me è più importante è che siamo cresciuti in tutti i mercati: l'Italia ha fatto +12%, l'Europa +25%, gli Stati Uniti +21%, quindi una crescita veramente globale. Visti gli aumenti del costo della materia prima avete ritoccato i prezzi al consumo dei vostri prodotti in questi mesi? Avete in programma di fare altri aumenti? Abbiamo rivisto i prezzi però in maniera molto contenuta, infatti di questa crescita del fatturato dell'11% di cui accennavo prima, due terzi è legato a una crescita di volume e solo un terzo è una crescita di valore dovuta all'aumento dei prezzi. Quindi abbiamo trattenuto su di noi la maggior parte dell'aumento dei costi di produzione, non volevamo riversarli a valle sui consumatori e quindi vedere i volumi che ci spingono per circa il 7%-7,5% di quell'11% significa che alzare i prezzi in maniera bilanciata e non aggressiva è stata la scelta giusta per un brand come il nostro. Adesso ovviamente controlleremo la situazione, non abbiamo in piano aumenti ulteriori di prezzo per quest'anno però ovviamente queste decisioni devono essere poi riviste mensilmente perché in un contesto volatile come questo quello che diciamo oggi potrebbe non essere più la soluzione migliore a settembre e ottobre. Per ora però le confermo che per quest'anno non abbiamo altri aumenti di prezzo all'orizzonte. A che punto siete per la quotazione in Borsa? Io credo che la quotazione sia un evento unico nella vita di un'azienda e che va realizzato quando l'azienda se lo può permettere e quando ci sono le condizioni di mercato giuste. Noi in questo momento abbiamo risultati molto forti per cui potremmo essere pronti, dal punto di vista aziendale, per la quotazione. Però questa è una condizione necessaria e non sufficiente. È anche necessario che ci sia una finestra macroeconomica giusta per la quotazione e decisamente questa non lo è, con tutte queste tensioni, con i riverberi che le politiche protezionistiche hanno sui mercati. Quindi in questo momento abbiamo deciso di posticipare la quotazione, non pensiamo avverrà nel 2026, monitorizzeremo durante il 2026 quello che è il contesto e se sarà possibile a quel punto decideremo quando quotarci. Quindi è un progetto che per adesso è stato rimandato a causa di un contesto onestamente sfavorevole. illycaffè conferma comunque gli investimenti previsti, a partire da Trieste? Assolutamente, questo per me è molto importante perché in salita si accelera, come dico sempre: il futuro va costruito, non va atteso e quindi è proprio in questi momenti di grande incertezza che bisogna trovare il coraggio di investire. Si tratta di coraggio perché quando i margini sono in compressione per l'aumento dei costi della materia prima e per i dazi, ovviamente, ci vuole coraggio ad investire, però noi questo coraggio ce l'abbiamo. Abbiamo confermato i 120 milioni di investimento a Trieste, siamo a buon punto con il completamento della tosteria che dovrebbe essere pronta nei prossimi 6-9 mesi. Proprio adesso, a partire dal primo di agosto, stiamo costruendo una nuova linea di produzione per i 250 grammi che sono il nostro prodotto più iconico e grazie a questi progetti di ampliamento della capacità produttiva abbiamo assunto direttamente 100 persone negli ultimi 6 mesi. Questo è un segno concreto non solo di quanto vogliamo investire in Italia e a Trieste in particolare, ma anche di quanto questo poi abbia un riverbero positivo sull'occupazione. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - “Il nostro gruppo ha sempre messo al centro la sostenibilità, dal 2013 siamo presenti con diverse emissioni sostenibili. Oggi abbiamo raggiunto il 90% di finanza sostenibile. È una strategia che crediamo possa avere valore anche in futuro e per questo abbiamo voluto portare il nostro programma anche in Italia. Per dare più forza al legame che abbiamo col nostro territorio”. Lo spiega Giovanni Gazza, Chief financial officer di Iren, alla ‘Ring the Bell Ceremony’ organizzata a Palazzo Mezzanotte da Iren per celebrare la costituzione del nuovo Programma Emtn (Euro Medium Term Notes). Iren ha rinnovato il proprio Programma incrementando l’ammontare massimo da 4 a 5 miliardi di euro. Il Prospetto informativo relativo al Programma è stato approvato da Consob e ha ottenuto il giudizio di ammissibilità alla quotazione sul Mercato telematico delle obbligazioni (Mot) da parte di Borsa Italiana. “Siamo una local multiutility e questo rimpatrio si lega perfettamente alla nostra strategia. È un programma importante da 5 miliardi e supporterà i nostri 8 miliardi di investimenti al 2030. Oggi comunichiamo al settore che è possibile rafforzare il legame tra le aziende e il mondo della finanza nazionale” conclude Gazza.