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(Adnkronos) - "Un’azione non solo simbolica, una scelta necessaria, che risponde a un imperativo morale, condivisa da tutto il gruppo dirigente dell’Aiac. Dopo un primo passaggio all’interno del Consiglio di Presidenza, convocato da Renzo Ulivieri, il Consiglio Direttivo Nazionale dell’Assoallenatori ha deliberato unanimemente di inviare una lettera-appello al Presidente della Figc Gravina e a tutte le componenti federali, perché il calcio italiano si mobiliti, nel proprio ambito, in favore del popolo palestinese, mettendo sul tavolo la richiesta, da inoltrare a Uefa e Fifa, di sospensione temporanea di Israele dalle competizioni internazionali". Così l'Associazione italiana allenatori di calcio (Aiac) in una nota sul proprio sito ufficiale. "I valori di umanità, che sostengono quelli dello sport, ci impongono di contrastare azioni di sopraffazione dalle conseguenze terribili", ha spiegato Ulivieri. "Si può solo pensare a giocare, voltando la testa dall’altra parte. Noi crediamo che non sia giusto", gli ha fatto eco il vice presidente Giancarlo Camolese. "Troppi morti senza colpa. Tra loro anche tanti sportivi. Un motivo in più per cercare azioni di contrasto internazionale anche nel nostro settore", ha aggiunto il vicepresidente Pierluigi Vossi. “Il mondo è in fiamme. Molti popoli soffrono come quello palestinese. L’indifferenza non è ammissibile", ha concluso il vice presidente Francesco Perondi. "Una partita di calcio, preceduta dagli inni nazionali, può essere considerata solo una partita di calcio? - Si chiede l'Aiac -. Quel che sta accadendo nella striscia di Gaza, con riflessi pesanti in Cisgiordania e Libano, può essere semplicemente annoverato come uno dei 56 conflitti attivi nel mondo, che dovrebbero avere stessa attenzione e uguale reazione? Il massacro terroristico compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, con oltre un migliaio di vittime innocenti israeliane più la presa di 250 ostaggi, può giustificare la feroce rappresaglia genocida di Israele, che ha fatto decine di migliaia di morti civili palestinesi, fino ad annunciarne la deportazione? Sono tutte domande che l’Associazione Italiana Allenatori di Calcio si è posta e che pone adesso alle altre componenti federali e alla Figc tutta, anche in vista dei prossimi incontri che vedranno la Nazionale italiana, l’8 settembre e il 15 ottobre, opposta a quella israeliana". "L’enormità degli accadimenti che si stanno susseguendo in quei territori martoriati impone una presa di coscienza da parte di ognuno e anche, a nostro avviso, una azione concreta, commisurata al dramma in atto - sottolineano gli allenatori italiani -. Non è più tempo di moral suasion nei confronti del Governo Netanyahu, palesemente sordo agli appelli che gli vengono rivolti da più parti, comprese partecipate manifestazioni di piazza e voci importanti del suo stesso popolo. A conferma che le critiche e le contestazioni oggettive non strizzano l’occhio ai terroristi di Hamas (una parte non secondaria del problema), e soprattutto non nascondono pulsioni antisemite irrisolte. Lo diciamo con forza: davanti all’Olocausto siamo per sempre tutti ebrei e nessuno vuol togliere il segnalibro della memoria. Ma la Storia non si è fermata a quell’orrore e ci interroga oggi, senza sconti per nessuna nazione. Senza dimenticare che l’occhio per occhio biblico resta una formula affidata da Dio a Mosé perché la reazione a un male subìto non sia sproporzionata. Vale per ogni singolo, vale a maggior ragione per uno Stato democratico". "Il comma 5 dell’art.2 dello Statuto federale recita: 'La Figc promuove l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza'. Il Consiglio Direttivo dell’Aiac unanimemente, crede dunque che davanti alle stragi quotidiane, che hanno riguardato anche centinaia di morti tra dirigenti, tecnici e atleti, compreso la stella del calcio palestinese Suleiman al-Obeid, sia legittimo, necessario, anzi, doveroso, porre al centro del dibattito federale la richiesta, da proporre a Uefa e Fifa, dell’esclusione temporanea di Israele dalle competizioni sportive. Perché il dolore del passato non può oscurare coscienza e umanità alcuna", conclude il comunicato dell'Assoallenatori.
(Adnkronos) - "L'export del mercato americano ammonta a circa 170 milioni di euro e ovviamente l'incidenza del dazio è conseguente a questo volume. Quindi se consideriamo di un 15% di questi 170 milioni di euro si tratta di circa 24 milioni di euro, una cifra considerevole, impattante. Abbiamo preso un bello schiaffo, perchè il pecorino romano negli Usa si vende da 140 anni e non ha mai pagato dazio. Quindi siamo passati da uno zero a un più 15% e per noi è un danno non da poco". E' l'allarme che, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop, lancia sui possibili effetti dei dazi al 15% per i prodotti europei stabilito dall'intesa Usa-Ue su uno dei prodotti icona del made in Italy. "Il pecorino romano negli Usa -continua Maoddi- non ha mai pagato il dazio e si vende negli Usa da 140 anni, neanche in precedenza nel 2019 quando vennero introdotti i dazi a prodotti europei nella precedente amministrazione Trump. Il pecorino romano ne uscì indenne perché si riuscì a far capire all'amministrazione di quel tempo che ovviamente si trattava di una produzione particolare, con delle peculiarità assolutamente uniche, che di fatto poi non entrava in competizione con la produzione americana", aggiunge. E Maoddi ricorda quelli che sono i numeri del Pecorino romano Dop. "Siamo un consorzio che racchiude circa 40 produttori, che completano una filiera formata da circa 8.500 allevatori distribuiti tra Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto con una produzione che si attesterà nel 2025 intorno alle 39.000 tonnellate di pecorino, delle quali circa il 70% esportato nel mondo. E di questo circa il 40% negli Stati Uniti, che rappresentano il nostro primo mercato in assoluto di vendita oltre al mercato nazionale", spiega Maoddi. Maoddi sottolinea come "il 33-35% della produzione è destinato al mercato nazionale, il 35-37% al mercato americano, e la restante quota al resto del mondo, e quindi Unione Europea, a seguire il Canada, il Giappone, l'Australia". Ma il presidente del Consorzio resta ottimista su una possibile esenzione del Pecorino romano dai dazi. "Io sono convinto che ci sarà un momento successivo a questo che stiamo vivendo -spiega- nel quale ci sarà spazio per entrare come nel dettaglio dei singoli prodotti e per definire insomma delle esenzioni. A mio parere, infatti, ci sono dei prodotti come il nostro che non possono essere replicati su quel mercato e che di fatto non entrano in competizione con quelli Usa. Se però non si riuscisse a farlo e ci fosse questo dazio al 15% questo avrebbe un impatto importante su tutta la filiera perché i numeri che rappresentano il mercato americano sono importanti e quindi è ovvio che ci sarebbero dei riflessi su tutta la filiera in termini di valori e in termini di quantità vendute", sottolinea. Maoddi ricorda anche che il comportamento del Consorzio negli Usa è lineare. "Non creiamo questioni legate né tanto all'utilizzo del marchio o del nome, e di fatto è già presente anche nella produzione americana una produzione di formaggio che si chiama Romano, formaggio industriale fatto di latte vaccino che viene utilizzato per il condimento per la preparazione di cibi pronti e di salsa. Questa è una situazione con la quale noi conviviamo e che testimonia che la nostra non è una produzione che ostacola quelle americane". "Quindi io mi auguro veramente che ci sia un momento nel quale si possa entrare nel dettaglio delle singole produzioni e a quel punto non credo ci siano problemi da parte dell'amministrazione americana nel riconoscere le peculiarità del nostro prodotto", sottolinea. Ma come viene distribuito il Pecorino romano dop negli Usa? "Il pecorino romano viene venduto in America su due canali: uno -spiega Maoddi- è quello dell'industria alimentare nel quale viene utilizzato come ingrediente per le sue qualità uniche di condimento di insaporimento. L'altro è invece il canale retail che è quello più vicino al consumatore. Di questi due canali sicuramente il primo è quello più sensibile al dazio al 15% e che farà più fatica ad assorbirlo. C'è il concreto rischio che il nostro prodotto venga sostituito in parte o del tutto da altri prodotti, con costi minori, come ingrediente nell'industria alimentare statunitense", aggiunge ancora. Per quanto riguarda il canale retail, secondo Maoddi, negli Usa "se già oggi un consumatore americano paga circa 35 dollari un chilo di formaggio pecorino non cambierà molto se lo pagherà diciamo 39, perchè stiamo parlando di un di un consumatore che ha delle possibilità importanti di vendita e quindi il dazio sicuramente non inciderà in maniera importante sul suo bilancio". "Le cose potrebbero cambiare invece nell'utilizzo nell'industria, dove il pecorino di solito fa parte di una miscela di altri prodotti, di altri ingredienti, che di fatto sono sempre molto 'attenzionati' nella formazione di quello che poi è il costo di un prodotto finale. Con i dazi si rischia che cambi la quantità di pecorino inserito in queste miscele, sostituito in parte da altri prodotti con minor costo, o che addirittura in alcuni casi venga sostituito completamente", lancia l'allarme Maoddi. Di certo il management del Consorzio sta concentrando le forze per trovare una soluzione. "Io non nascondo che il Consorzio non assiste da spettatore in questo momento e, attraverso una serie di attività, stiamo cercando di coinvolgere la politica americana. Abbiamo avuto audizioni a livello europeo presso i gabinetti del commissario dell'Agricoltura Hansen e del commissario Sefcovic per quanto riguarda il commercio. Abbiamo dato ovviamente le nostre indicazioni, abbiamo fatto valere quelle che sono le nostre peculiarità di questo prodotto. Stiamo cercando di coinvolgere il più possibile la politica affinché spinga su questa richiesta di esenzione del dazio per il nostro prodotto che secondo me è conveniente non solo per noi, ma anche per l'amministrazione Trump che di fatto ha un elemento che potrebbe poi utilizzare per far vedere che c'è apertura da parte loro. Su un prodotto che non va a intaccare, non va a disturbare nessuna produzione americana sul mercato", sottolinea ancora Maoddi. E dalla politca italiana c'è attenzione sul settore. "Devo dire -spiega- che la politica ci sta ascoltando. Il ministro dell'Agricoltura si è da subito reso disponibile con il suo staff ad ascoltarci, a metterci nelle condizioni di poter dialogare con queste strutture sia a livello europeo, quindi attraverso la Commissione europea, che a livello americano tramite l'ambasciata con la quale abbiamo veramente un filo diretto. Ma abbiamo un filo diretto anche col Ministero, ripeto, che si è da subito all'operato. Quindi io sono convinto che loro faranno tutto il possibile. Io ho sentito il ministro anche l'altro ieri e nelle sue parole ho sentito veramente l'attenzione, la vicinanza per questo comparto e questo mi fa molto piacere", conclude.
(Adnkronos) - Luglio 2025 è stato il terzo luglio più caldo a livello globale, con una temperatura media di 16,68 °C, 0,45 °C in più rispetto alla media di luglio del periodo 1991-2020. Inoltre, è stato più freddo di 0,27 °C rispetto al record di luglio 2023 e di 0,23 °C nel confronto con luglio 2024, il secondo più caldo. Lo rende noto il Copernicus Climate Change Service (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con finanziamenti dell'Ue. Guardando, poi, alla media stimata del periodo 1850-1900, luglio 2025 è stato di 1,25 °C più caldo, diventando quindi il quarto mese degli ultimi 25 con una temperatura globale inferiore a 1,5 °C rispetto al livello preindustriale. Il periodo di 12 mesi da agosto 2024 a luglio 2025 è stato di 0,65 °C superiore alla media del periodo 1991-2020 e di 1,53 °C superiore al livello preindustriale. Secondo Carlo Buontempo, direttore del C3S, "due anni dopo il luglio più caldo mai registrato, la recente serie di record di temperatura globale è terminata, almeno per ora. Ma questo non significa che il cambiamento climatico si sia arrestato. Abbiamo continuato ad assistere agli effetti del riscaldamento globale in eventi quali il caldo estremo e le inondazioni catastrofiche di luglio. Se non stabilizziamo rapidamente le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera, dovremo aspettarci non solo nuovi record di temperatura, ma anche un aggravamento di questi impatti, e dobbiamo prepararci a questo". La temperatura media sul territorio europeo a luglio 2025 è stata di 21,12 °C, 1,30 °C in più rispetto alla media di luglio del periodo 1991-2020, rendendo il mese scorso il quarto luglio più caldo mai registrato nel Continente.