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(Adnkronos) - Parigi, 22 agosto 1911: un giorno che avrebbe cambiato per sempre la storia dell'arte e la fama di uno dei dipinti più celebri al mondo. Nel cuore del Louvre, la Gioconda, il celebre ritratto di Leonardo da Vinci, semplicemente scomparve. Il museo di Parigi, simbolo universale della bellezza e custode di tesori inestimabili, si trovò improvvisamente sotto i riflettori di un intrigo degno dei migliori thriller. L'opera, amata e ammirata da milioni di visitatori, era stata trafugata con una semplicità che sfidava l'immaginazione. A rubare il dipinto fu Vincenzo Peruggia, un decoratore italiano che aveva lavorato proprio nel museo. Con un'astuzia sorprendente, si nascose negli angoli più nascosti del Louvre e, al momento giusto, si infilò un camice da addetto ai lavori. In pochi istanti, tolse la Gioconda dalla sua cornice e la nascose sotto il cappotto, uscendo indisturbato da una porta secondaria. Nessuno lo vide, nessuno sospettò. Per due lunghi anni, la Monna Lisa rimase nascosta a Parigi, conservata come un tesoro segreto, fino a quando Peruggia, mosso da un folle e patriottico desiderio di "restituire" il capolavoro all'Italia, cercò di venderla a Firenze. Qui la storia fece il suo giro di boa: la Gioconda tornò sotto gli occhi di tutti il 4 gennaio 1914, in una cerimonia trionfale che consacrò il furto come uno degli eventi più clamorosi e affascinanti della storia dell'arte. A scoprire il furto quella mattina del 22 agosto 1911 furono due artisti parigini, arrivati al Louvre per copiare la Gioconda: la parete che da anni custodiva l'enigmatico sorriso di Monna Lisa era spoglia. Quello che seguì fu un caso internazionale, uno scandalo culturale, un giallo degno dei romanzi più intricati. Ma a orchestrare tutto, incredibilmente, non fu un genio del crimine, né un facoltoso collezionista senza scrupoli. Il ladro si sarebbe scoperto più tardi era il decoratore italiano, un uomo semplice con un'idea fissa: riportare la Gioconda in Italia, la terra che, secondo lui, ne era la vera casa. Vincenzo Peruggia era nato l'8 ottobre 1881 a Dumenza, un piccolo paese della provincia di Varese. Aveva imparato a dipingere pareti e a maneggiare vetri e cornici. Era emigrato a Parigi nel 1907, cercando fortuna come tanti altri connazionali. La sua salute era fragile: soffriva di saturnismo, dovuto all'inalazione di piombo presente nelle vernici. Isolato, lontano da casa, ma orgoglioso della sua identità italiana, Peruggia trovò impiego in una ditta che lo mandò anche al Louvre, dove lavorò montando vetri protettivi sulle opere esposte. Fu lì che incontrò per la prima volta la Gioconda. Un ritratto piccolo, nemmeno il più appariscente della galleria, ma ipnotico. E, ai suoi occhi, profondamente italiano. Peruggia era convinto che fosse stata rubata da Napoleone - cosa storicamente falsa, visto che il quadro fu portato in Francia da Leonardo stesso all'inizio del Cinquecento - e decise che toccava a lui restituirlo al suo paese d'origine. Il 20 agosto 1911, domenica, Peruggia entrò al museo e si nascose per la notte. Era tutto calcolato: il lunedì il Louvre era chiuso al pubblico. Alle prime luci del 21 agosto, indossò un camice bianco da operaio, come quelli usati dal personale del museo, e si diresse verso la Sala Carré, dove la Gioconda era esposta. Agì in pochi minuti. Staccò il dipinto dalla parete, entrò nella scaletta della Sala dei Sept Mètres, tolse con cura la cornice e il vetro, e lo avvolse nella sua giacca. Poi scese nel cortile e si diresse verso l’uscita Jean Goujon, forzando la porta con un piccolo coltellino. Nessuno lo fermò. Nessuno lo vide. Con passo tranquillo, salì su un autobus, sbagliò direzione, e finì per rientrare a casa in taxi, in Rue de l'Hôpital Saint-Louis, con la Gioconda sotto braccio. Il furto fu scoperto la mattina seguente, 22 agosto 1911. Due artisti, Louis Béroud e Frédéric Languillerme, si recarono nella Sala Carré per copiare il quadro e trovarono solo un vuoto rettangolo bianco. Scattarono subito gli allarmi. Il capo della sicurezza fu avvisato, e in poche ore il Louvre si trasformò in un cantiere di indagini. La polizia trovò la cornice e il vetro protettivo abbandonati nella scaletta e scoprì che la porta secondaria era stata forzata. L'ipotesi che il ladro fosse un operaio fu immediata. Anche Peruggia fu interrogato, ma nulla sembrò sospetto. Aveva già nascosto la Gioconda sotto il pavimento del suo tavolo, in una cassa di legno costruita da lui stesso. Intanto, l’opinione pubblica si scatenava. I giornali parlavano di un colpo orchestrato da un collezionista americano, o addirittura di una cospirazione internazionale. Vennero arrestati per errore persino Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, entrambi poi scagionati. Nessuno immaginava che il quadro fosse a pochi isolati dal Louvre, sotto le assi malmesse di una stanza umida. Peruggia visse due anni da uomo invisibile. Temendo che l'umidità rovinasse il quadro, lo affidò per un periodo a un connazionale nel suo stesso palazzo. Poi lo riprese con sé, lo portò in Italia nel 1913, e si stabilì a Dumenza. Lì progettò il suo colpo finale: vendere la Gioconda agli Uffizi, con la pretesa che restasse in Italia. Il 29 novembre 1913, scrisse sotto il falso nome di "Léonard V." al collezionista fiorentino Alfredo Geri, offrendogli il dipinto. Geri, incredulo, contattò Giovanni Poggi, direttore degli Uffizi. Organizzarono un incontro per l'11 dicembre 1913 a Firenze, presso l'Hotel Tripoli-Italia. Peruggia si presentò puntuale, aprì la valigia, e rivelò il contenuto. Poggi riconobbe immediatamente 'originale. Gli dissero che dovevano verificare l'autenticità e il giorno dopo, il 12 dicembre, fu arrestato dai carabinieri. Il processo si svolse a Firenze il 4 e 5 giugno 1914. La stampa internazionale era presente, ma l'opinione pubblica italiana simpatizzava con Peruggia, considerandolo un patriota. La difesa sostenne che l'uomo non era del tutto lucido, e un test psichiatrico confermò un possibile squilibrio. La corte, accogliendo le attenuanti, lo condannò a un anno e 15 giorni di reclusione per furto aggravato. Il 29 luglio 1914, in appello, la pena fu ridotta a sette mesi e otto giorni. Essendo già stato in carcere in attesa del processo, fu subito scarcerato. Dopo una breve esposizione in Italia - prima agli Uffizi, poi a Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese - la Gioconda fu restituita ufficialmente alla Francia. Il 4 gennaio 1914, arrivò a Parigi su un vagone speciale delle ferrovie italiane. Al Louvre, la attendevano il presidente della Repubblica e il governo al completo. Era tornata a casa. Da quel momento in poi, la Gioconda non fu più solo un dipinto. Era diventata leggenda vivente. Vincenzo Peruggia, dopo il clamore, scomparve nuovamente nell'anonimato. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale, fu fatto prigioniero dagli austriaci, si sposò nel 1921 e tornò a vivere in Francia, con il nome modificato nei documenti da "Vincenzo" a "Pietro". Morì il 8 ottobre 1925, nel giorno del suo 44esimo compleanno, a Saint-Maur-des-Fossés, stroncato da un infarto. Sua figlia Celestina, nata nel 1924, ricordava che da bambina, nel quartiere, la chiamavano affettuosamente: "la Giocondina". (di Paolo Martini)
(Adnkronos) - “Casa Bice è un progetto di intergenerazionalità dove le ‘nostre giovani’, come chiamiamo le donne più anziane, vanno a incontrare altre giovani donne e neomamme, offrendo il loro sapere e la loro tradizione. Questa casa non è solo il sapere di queste donne, ma anche la forza della tradizione, delle cose semplici e il trasmettere dei valori dell’essere donna per cercare di guidare le nuove generazioni”. Così il responsabile della sede di Perugia della cooperativa sociale Pepita, Diego Buratta, alla conferenza stampa tenutasi ieri presso lo stabilimento Perugina di Perugia dove è stato premiato il progetto dell’organizzazione di cui fa parte, volto a promuovere l’inclusione e la tutela delle donne. “Con la possibilità che ci viene data vogliamo aumentare i nostri obiettivi e raggiungere altre ragazze. Vogliamo aiutarle e aiutare le loro famiglie. Ma non solo, vogliamo aiutarle anche nel lavoro. In questo modo, cerchiamo di educare un territorio importante come quello della nostra regione Umbria”, ha continuato Buratta. “All’interno di casa Bice c’è sicuramente uno scambio di competenze, ma c’è soprattutto uno scambio di qualità”, ha concluso.
(Adnkronos) - "La sostenibilità indica la nostra rotta, l'acqua è natura portata ai consumatori. Si pensa al vino come frutto del territorio in cui nasce, ma l'acqua minerale è la stessa identica cosa. E' saldamente ancorata al proprio territorio, da cui non prescinde, ha delle caratteristiche uniche che sono il frutto del territorio da cui sgorga e delle caratteristiche che devono essere costanti nel tempo. Quindi per noi fare sostenibilità vuol dire lavorare per essere un'azienda a prova di futuro. Non è qualcosa da cui possiamo prescindere ed è un impegno quotidiano, non è un obiettivo da raggiungere. E' un impegno quotidiano che mettiamo nel nostro modo di fare impresa, nel prenderci cura dell'acqua, nel prenderci cura delle nostre persone e dei territori in cui operiamo. Lo facciamo, lo facciamo attraverso diverse tipologie di iniziative, diverse leve che andiamo ad attivare". Lo ha detto Fabiana Marchini, head sustainability & corporate affairs Gruppo Sanpellegrino, intervenendo intervenendo all'evento Adnkronos Q&A ‘Sostenibilità al bivio’ tenutosi oggi al Palazzo dell’Informazione a Roma. E Marchini ha spiegato nel concreto le attività portate avanti. "Intanto lavoriamo -ha sottolineato- sull'ottimizzazione dei processi industriali e sull'ottimizzazione della gestione della risorsa idrica, è importantissimo. Tutti i nostri stabilimenti sono certificati secondo lo standard internazionale dell'Alliance for water stewardship che attesta la gestione virtuosa e condivisa dalla risorsa idrica. E per noi questo è fondamentale perché l'acqua comunque è vita, è una risorsa fondamentale, infatti perseguiamo il costante efficientamento e il risparmio idrico. Lo facciamo -ha continuato- cercando di mitigare il nostro impatto ambientale, sia in termini di carbon footprint, sia in termini di supporto a un modello di economia circolare. Utilizziamo materiali riciclati nei nostri imballaggi, cerchiamo di evolvere il nostro modello di business adottando una logistica sempre più sostenibile. Quindi sono diverse le leve che attiviamo per poter mitigare il nostro impatto", ha sottolineato. "E poi, non meno importante, è la gestione di quello che noi chiamiamo la nostra casa, che è poi la casa comune, il territorio da cui sgorgano le nostre acque. Quindi è fondamentale per noi prenderci cura dei territori in cui viviamo", ha concluso.