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(Adnkronos) - La Russia di Vladimir Putin continua la guerra in Ucraina e continua a minacciare il fronte orientale dell’Europa, ‘promettendo’ future aggressioni militari. Le istituzioni europee, i governi e le intelligence nazionali, oltre agli analisti di tutto il mondo, si interrogano su quanto sia concreta la minaccia e, di conseguenza, su quali siano le reali intenzioni del Cremlino. C’è un aspetto che inizia a imporsi, sostenuto dai numeri e dalle informazioni che riescono a superare la coltre della propaganda: l’economia di Mosca sta diventando dipendente dalla guerra in maniera quasi irreversibile. Iniziano a essere evidenti le conseguenze delle sanzioni internazionali, che hanno svuotato i canali tradizionali della crescita, dall’energia alla siderurgia, così come lo sforzo per la produzione bellica, che nel 2025 assorbe ormai metà del bilancio statale, con il 62 per cento della spesa militare classificata come segreta. E segreta vuol dire senza la minima trasparenza, anche verso quello che resta dei controlli interni. La stessa Banca Centrale, pur avendo appena abbassato i tassi di interesse al 17%, ha riconosciuto che il Paese ha ormai sfruttato per la guerra in Ucraina quasi tutte le capacità produttive, logistiche e infrastrutturali, così come le risorse umane disponibili. Qualsiasi economia di guerra regge fino a quando non si supera la soglia oltre la quale diventa difficilissimo tornare indietro. Cosa vuol dire? Che immaginare una riconversione della produzione bellica verso gli obiettivi civili diventa costosissimo se non praticamente impossibile. Un esempio pertinente è quello che riguarda i colossi dell’acciaio. La Russia sta lavorando per salvare il settore metallurgico, partendo dal colosso Mehel, dal rischio sempre più concreto di una bancarotta generalizzata. Come pensa di farlo? Sostanzialmente consentendo all’intero settore di violare la legge fondamentale dell’economia, quella sui fallimenti. I ministeri dell’Economia e dell’Industria stanno pensando di sospendere le procedure fallimentari per le grandi aziende siderurgiche, molte delle quali versano in condizioni finanziarie disastrose. Vorrebbe dire compiere un passo senza ritorno. Anche il Cremlino sa che una decisione del genere sarebbe di fatto irreversibile, rendendo il Paese ‘schiavo’ della guerra, perché costretto a continuarla per non implodere. Questo perché la concatenazione di fattori che ha ormai trasformato il tessuto produttivo diventerà sempre più difficile da disinnescare. Da una parte, si prova a salvare decine di migliaia di posti di lavoro e ad evitare ripercussioni negative sull’intera economia nazionale e sulle regioni dove queste aziende operano. Dall’altra, si alimenta una spirale pericolosa, che anche la popolazione ha imparato a riconoscere. A luglio, la quantità di contante in circolazione ha toccato un massimo storico di 16 mila miliardi di rubli, segnale che i cittadini stanno accumulando liquidità in previsione di ulteriori difficoltà economiche. Altri segnali concorrono a sostenere la tesi che Mosca sia ormai dipendente dalla guerra e che una riconversione in un contesto di pace comporterebbe ulteriori gravi difficoltà al regime di Putin. Il Cremlino ha investito ingenti somme di denaro nella guerra contro l’Ucraina, con le fabbriche che lavorano a pieno ritmo per continuare a produrre armi e con massicci incentivi finanziari offerti per reclutare nuove leve nell’esercito. Ciò ha portato a una carenza di manodopera, in tutti gli altri settori. I prezzi fuori controllo e la contrazione dei salari ha fatto il resto. Le banche russe hanno lanciato l’allarme su una potenziale crisi del debito, poiché gli alti tassi di interesse pesano sulla capacità di chi ha contratto un mutuo di pagarne le rate. Va malissimo anche l’agricoltura, con raccolti che vengono definiti disastrosi dalle fonti indipendenti. La conclusione? Putin potrebbe avere tutto l’interesse di continuare a fare la guerra, ovunque gli sia possibile farlo, non solo per difendere il proprio potere ma anche per non rischiare di perderlo affrontando una pace costosissima sul piano economico. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - "Oggi la Puglia è il territorio più spumeggiante nel Paese sul digitale, è fertilissimo, in cui si possono ottenere risultati, quindi il messaggio è: restiamo in Puglia. Non è vero che è un territorio in cui non ci sono opportunità, non abbandoniamolo". Così Michele Ruta, professore ordinario del Politecnico di Bari e delegato del rettore alla transizione digitale, nel corso di un panel alla decima edizione di Digithon, la maratona digitale in corso a Bisceglie in Puglia. E conversando con Adnkronos/Labitalia a margine del panel Ruta ha sottolineato che "la Puglia è un territorio nel quale è stato costruito un insieme strutturato di rapporti tra le università, il mondo delle imprese, il mondo politico e burocratico regionale e questo rapporto si è consolidato negli anni, specie con riferimento al digitale. E quindi è un territorio nel quale sono nati dei progetti, che sono stati validati, sono entrati nell'operatività corrente, sono state realizzate delle idee concretamente e sono arrivati degli investitori". Con il risultato, ha sottolineato Ruta, che "in questo momento, nell'ambito del digitale, la Puglia è un territorio fertilissimo, ci sono moltissimi dei nostri studenti che vengono impiegati localmente in imprese IT, il Politecnico è l'università italiana con il più alto tasso di occupati in questo momento e la grande maggioranza di essi sono nel settore digitale e la notizia interessante è che la grande maggioranza degli impiegati It restano in Puglia", ha aggiunto. E su Digithon Ruta ha aggiunto che "è stata una grande e importante manifestazione nella quale il Politecnico ha creduto sin da subito, è stata la manifestazione che per prima ha creduto nella potenza delle start-up e soprattutto è stato un evento nel quale sono stati messi a sistema tutta una serie di attori che sono coinvolti nel processo che parte dall'idea e arriva fino alla realizzazione di impresa", ha sottolineato. "A dieci anni dall'avvio -ha concluso- siamo una struttura molto matura, in questo momento, con dei risultati davvero tangibili e la cosa di cui sono orgoglioso è che l'università c'è sempre stata, il Politecnico in particolare c'è sempre stato, e quindi orgogliosamente rivendico il ruolo che il Politecnico ha avuto dentro questa bellissima, grande e forte manifestazione in tutti questi dieci anni".
(Adnkronos) - Nell’estate 2025, su 388 campionamenti effettuati nelle acque costiere e lacustri in 19 regioni, il 34% è risultato oltre i limiti di legge, cioè 1 campione su 3. In particolare, il 35% dei punti campionati con Goletta Verde è risultato inquinato o fortemente inquinato con una media di un punto ogni 80 km; per i bacini lacustri, il 30% dei punti campionati da Goletta dei Laghi è risultato oltre i limiti di legge. Questo il bilancio finale delle campagne estive di Legambiente, Goletta Verde e Goletta dei Laghi 2025. Anche quest’anno foci dei fiumi, canali e corsi d’acqua che sfociano a mare o nel lago si confermano punti critici: il 54% dei punti analizzati (101 su 188) è risultato inquinato o fortemente inquinato. Situazione migliore per i campioni prelevati direttamente in mare o nelle acque del lago, ossia in aree lontane da foci o scarichi, dove solo il 15% dei punti campionati è risultato oltre i limiti di legge (30 su 200). Al problema dell’inquinamento, si affianca quello della crisi climatica. Legambiente, rielaborando i dati forniti dalle immagini satellitari di Copernicus, ha calcolato che a giugno e luglio la temperatura media delle acque superficiali del Mediterraneo è stata di 25,4°C, la più calda dal 2016 ad oggi, collocandosi al primo posto nell’ultimo decennio, e superando i precedenti record del 2022 (media 25,2°C) e quello del 2024 (25,1°C) e i valori degli anni fino al 2021 che erano intorno ai 24,5°C. Un aumento sensibile di circa mezzo grado centigrado che mette a repentaglio la biodiversità marina e che amplifica gli eventi meteorologici più estremi, osserva Legambiente. Di fronte al bilancio emerso da Goletta Verde e dei Laghi, l'associazione torna a ribadire "l’urgenza di approvare un piano nazionale per la tutela delle acque costiere e interne che abbia al centro una governance integrata su più livelli prevedendo piani di adattamento ai cambiamenti climatici; più risorse economiche da destinare al servizio di depurazione per ammodernare gli impianti rispondendo ai più stringenti parametri per il trattamento e riuso delle acque reflue; più controlli da parte di Regioni, Arpa e Comuni sui punti critici e una migliore gestione delle acque interne". “Al governo - commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - chiediamo di definire e approvare al più presto un piano nazionale per la tutela di mare e laghi, investendo su innovazione e sostenibilità per ammodernare i sistemi di depurazione e per diffondere il riuso in agricoltura delle acque depurate. Sullo sviluppo delle rinnovabili in mare, dopo l’approvazione del decreto porti, è urgente stanziare le risorse economiche necessarie per infrastrutturare i due hub cantieristici di Taranto e di Augusta, che potranno garantire anche nuova occupazione green a due aree portuali che hanno sempre avuto a che fare con la logistica delle fonti fossili”.