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(Adnkronos) - 'No' fermo a qualsiasi accostamento con aziende che non rispettino gli animali. E l'impegno a intervenire, escludendole dal parco fornitori, nel caso in cui dovessero essere accertate violazioni. Nicola Levoni, presidente di Levoni Spa, azienda leader nel settore dei salumi, risponde in un'intervista all'Adnkronos ai rilievi dell'associazione 'Essere animali', che ha denunciato il cattivo stato di allevamenti che ritiene siano fornitori del Gruppo. L'imprenditore parla delle strategie per garantire il benessere animale, apre al confronto e sostiene la necessità di un patto per l'intera filiera. Levoni è un’azienda che cresce, anche a livello internazionale. Quanto conta la reputazione del marchio? "Da oltre un secolo portiamo avanti la missione del fondatore, nostro bisnonno Ezechiello Levoni: perseguire l’assoluta eccellenza nella produzione di un ampio assortimento di salumi, senza mai scendere a compromessi sulla qualità, ad ogni livello. Continuiamo a lavorare con serietà ed impegno, prestando sempre attenzione alle esigenze dei nostri clienti e consumatori. È da questo dialogo aperto e attivo che si è generata la fiducia e, di conseguenza, la reputazione del marchio: grazie a ciò che dicono dell’azienda le persone che lavorano con noi, i fornitori, i nostri clienti ed i nostri consumatori. La loro fiducia ed il loro apprezzamento hanno per noi un valore inestimabile ed è grazie ad essi se - in oltre cento anni di storia – siamo cresciuti, arrivando ad investimenti e progetti ambiziosi, come la recente apertura di una sede negli USA, un importante obbiettivo raggiunto a seguito di un lavoro iniziato negli anni 90". Come e quanto investite sul benessere animale? "Sono oltre 60 anni che Levoni s’impegna su questo fronte: anticipando requisiti divenuti nel corso degli anni cogenti a livello comunitario, negli ultimi 3 anni l’azienda ha investito indicativamente il 3% del fatturato di filiera per promuovere standard di biosicurezza più elevati, maggiore spazio, migliori condizioni ambientali e assicurando l’adeguata disponibilità di acqua e alimenti. E ancora, limitando al massimo lo stress durante il trasporto ed eliminando le azioni che generano sofferenza. Tutto questo perché siamo convinti che solo da un animale sano e accudito si possono ottenere salumi di alta qualità, dal gusto tipico e apprezzato in tutto il mondo". Come risponde alle contestazioni dell’associazione animalista Essere Animali? "Levoni ha fatto del Benessere Animale la sua filosofia e si è volontariamente data requisiti molto più restrittivi delle normative in vigore per un selezionato gruppo di allevamenti con cui ha costituito la filiera certificata benessere animale. Non possiamo e non vogliamo accettare alcun accostamento, anche indiretto, con aziende e/o fornitori che non rispettino gli animali e, con essi, i consumatori. Nonostante sia stata fatta da noi una richiesta specifica proprio per far luce su quanto viene contestato, al momento non ci sono stati forniti elementi su queste strutture e dunque non possiamo effettuare verifiche ad hoc. Non dimentichiamo, poi, che le restrizioni biosanitarie imposte a causa della Peste Suina Africana purtroppo non rendono semplici i controlli. Anche per esempio, da parte dell’Ente certificatore. Ma una cosa possiamo dirla con certezza: interverremo subito, una volta identificate le strutture segnalate, per accertare che siano effettivamente fornitrici e, qualora fossero coinvolte come le segnalazioni denunciano, verranno escluse dal nostro parco di fornitori". In che modo è possibile garantire anche per gli allevamenti da cui vi rifornite? "Non possiamo certo garantire per altre aziende, ma possiamo garantire il nostro impegno nel rifornirci da allevamenti che rispettino la nostra filosofia e i nostri standard. Un impegno che confermiamo anche in questo momento così difficile a causa della Peste Suina Africana. Per questo siamo disponibili a dialogare con le associazioni animaliste, per proporre loro di collaborare al nostro progetto di rafforzamento del benessere animale. Inoltre, vogliamo farci promotori di un’iniziativa strategica e multisettoriale per il miglioramento delle condizioni negli allevamenti con gli enti di controllo e altri attori della nostra filiera. L’idea, però, è quella di partire coinvolgendo attivamente le associazioni animaliste in un tavolo di lavoro". A cosa serve il tavolo di lavoro aperto con le associazioni animaliste? "Abbiamo molti obiettivi comuni ed è giunto il momento di superare le contrapposizioni e i conflitti. Il benessere animale non è solo un atteggiamento etico e rispettoso verso gli animali, ma anche una garanzia di qualità e sostenibilità per i consumatori. Sono decenni che ci impegniamo su questo fronte e siamo convinti che coinvolgere nel nostro cammino tutti quelli che vogliono migliorare su questo fronte sia una grande opportunità". Quali procedure e quali controlli si possono mettere in campo per prevenire il rischio di comportamenti scorretti? "Un’imprescindibile base di partenza è il lavoro sinergico tra pubblico e privato, ovvero tra chi deve far rispettare la legge e il mondo produttivo. Siamo tutti chiamati a impegnarci nel seguire un percorso virtuoso che coinvolge anche il benessere animale per giungere ad un futuro migliore e più sostenibile per tutti. Noi in prima persona abbiamo deciso di farci affiancare nel nostro operato da enti di certificazione accreditati. Questi verificano l’applicazione di protocolli precisi, attraverso controlli e verifiche periodiche negli allevamenti da parte di personale formato e qualificato". Quali obiettivi deve avere un ‘Patto etico’ per l’intera filiera? "Più che di Patto etico, parlerei di una sorta di Patto Benessere Animale. Gli obiettivi sono diversi. In primis, arrivare a garantire uno standard condiviso dai vari soggetti della filiera produttiva; superare differenze e contraddizioni che finiscono anche per danneggiare la filiera stessa e porre finalmente al centro il concetto di Benessere animale. Che poi è il nostro impegno da oltre sessant’anni". (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - Airbnb ha sostenuto a lungo l'adozione di una normativa nazionale per regolamentare gli affitti brevi in Italia e ha accolto con favore il nuovo sistema di registrazione delle strutture turistico-ricettive e degli immobili in locazione breve o turistica. La piattaforma ha perciò informato tutti gli host italiani circa l'obbligo di registrazione presso il ministero del Turismo e dell’intenzione di rimuovere nel 2025 gli annunci sprovvisti di codice identificativo nazionale (Cin). Per supportare gli host con gli adempimenti, Airbnb ha attivato una linea di assistenza dedicata in collaborazione con l’associazione Altroconsumo, fornisce notifiche regolari e promemoria tramite l’applicazione, e ha lanciato una campagna per offrire linee guida e risorse aggiuntive. Valentina Reino, head of public policy di Airbnb Italia, ha commentato: “Il Cin rappresenta una soluzione semplificata e più fruibile per gli host rispetto alle normative locali frammentate, e consentirà alle autorità di avere maggiore trasparenza sulle dimensioni dell’ospitalità in casa nelle diverse aree geografiche. Siamo lieti di continuare a collaborare con il Ministero del Turismo in questa fase di transizione dai codici regionali al codice identificativo nazionale, con l’obiettivo comune di un’implementazione agevole a beneficio degli host, delle città e del Paese.” La grande maggioranza degli host italiani sulla piattaforma è composta da famiglie comuni che utilizzano Airbnb per generare un reddito supplementare, con un guadagno medio annuo di circa 4.000 euro nel 2023. Due terzi (67%) degli host affermano che ospitare su Airbnb li aiuta a sostenere il crescente costo della vita e tre quarti (76%) dichiarano che la locazione non è la loro occupazione principale. All'inizio di quest'anno, Airbnb ha introdotto nuovi strumenti per gli host che consentono di trattenere le tasse automaticamente da Airbnb e versarle direttamente all'Agenzia delle Entrate. Airbnb collabora inoltre con diverse città per la tassa di soggiorno e con le regioni che desiderano incentivare il turismo per aiutare a distribuire più equamente i benefici dei viaggi in tutto il Paese.
(Adnkronos) - Per raggiungere gli obiettivi Pnrr occorre valorizzare il più possibile i sottoprodotti di origine agricola e la raccolta della frazione organica (Forsu). Servono per questo misure di semplificazione e snellimento amministrativo che consentano al maggior numero di operatori di cogliere questa importante opportunità di sviluppo. A ciò si affianca la necessità di nuove misure urgenti che favoriscano l’accesso alla rete di distribuzione del biometano prodotto e incrementino il quantitativo di frazione organica raccolta. Sono queste le linee guida per lo sviluppo della filiera del biometano in Italia tracciate dalla Piattaforma Tecnologica Nazionale del Biometano coordinata dal Cic - Consorzio Italiano Compostatori e dal Cib - Consorzio Italiano Biogas nel corso del convegno 'Piattaforma Biometano - le prospettive e le azioni per lo sviluppo del biometano: Pnrr e oltre', svoltosi il 6 novembre a Ecomondo. L’evento ha messo in evidenza il ruolo cruciale delle infrastrutture e dei processi burocratici all’effettiva realizzazione degli impianti per la produzione di biometano ed è stato anche un'occasione per fare il punto sui risultati ottenuti dai bandi del progetto biometano previsto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). In particolare, nell’ultimo bando sono stati ammessi 139 progetti, per una capacità produttiva totale superiore a 62.330 Smc/h, pari a circa 500 milioni di mc l’anno. Un percorso non privo di difficoltà, che, dopo i ritardi accumulati nei primi due bandi dei mesi scorsi, registra oggi una maggiore partecipazione delle aziende, grazie soprattutto agli interventi normativi più recenti che hanno conferito al settore una cornice favorevole agli investimenti. “Sono due gli strumenti, entrambi gestiti dal Gse, che in Italia sostengono lo sviluppo del Biometano: il Dm 2018 e il Dm 2022 - ha dichiarato Paolo Arrigoni, presidente del Gestore dei Servizi Energetici - Con il primo, con 170 impianti qualificati, che a regime garantiranno una produttività annua di oltre un miliardo di Smc, tutti destinati al settore dei trasporti, nel 2023, grazie agli impianti già entrati in esercizio, la produzione di biometano ha raggiunto i 332 milioni di Smc, sestuplicando il valore del 2019 di circa 51,7 milioni di Smc. La seconda misura di stimolo, prevista dal Pnrr, ha visto con le prime 4 procedure competitive l’ammissione di 278 progettualità, per una producibilità totale di altri 1,1 miliardi di Smc/anno, destinati per il 15% ai trasporti e per l'85% agli usi industriali. L'apertura della quinta procedura è prevista per il 18 novembre 2024”. I numeri del biometano - L’Italia è oggi il secondo Paese in Europa per produzione di biogas, con significativi aumenti di capacità anche nel settore del biometano. Le prospettive di crescita del settore trovano conferma anche a livello europeo: i dati Eba riportano 1.548 impianti di biometano, con una crescita del 32% rispetto al 2023. Oltre l'80% degli impianti è ora connesso alla rete del gas, con quasi la metà (49%) collegata alla rete di distribuzione e il 14% a quella di trasporto. Un percorso promettente che si avvicina con forza e impegno agli obiettivi del Piano RePowerEu della Commissione Ue, che mira a 35 miliardi di mc di biometano in Europa entro il 2030, anche se studi recenti suggeriscono un potenziale del settore fino a 150 miliardi di mc entro il 2050. Una traiettoria che si riflette anche nel nostro Paese. Infatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) prevede entro il 2026 ulteriori 2,3 miliardi di Smc di biometano attraverso la realizzazione di nuovi impianti e la riconversione di una parte di quelli esistenti, a cui si aggiunge la linea indicata dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) che vede un target di produzione di 5 miliardi di mc di biometano entro il 2030. In questo contesto un ruolo cruciale sarà giocato dalle infrastrutture. In particolare, si auspica un ulteriore potenziamento delle infrastrutture di distribuzione per accogliere il biometano prodotto localmente, soprattutto nelle aree rurali, dove si concentra gran parte della produzione. Un’infrastruttura più capillare permetterebbe di immettere il biometano nelle reti di distribuzione nazionali, facilitando l’accesso al mercato e riducendo i costi logistici per i produttori. Secondo le proiezioni del Centro Studi Cic, l’Italia ha prodotto nel 2023 circa 220 milioni di metri cubi di biometano dai rifiuti organici. Per garantire un flusso regolare di rifiuto organico verso gli impianti di digestione anaerobica e tendere al target ambizioso di produzione di biometano, è necessario anche incrementare la raccolta differenziata di questa frazione che, in alcune aree d’Italia, è ancora assente o insufficiente nonostante l’obbligo già in vigore dal 2022. Verosimilmente, i quantitativi massimi raggiungibili dal rifiuto organico potrebbero aggirarsi intorno ai 370 milioni di metri cubi/anno al termine del biennio 2024-25. “Il Cic e i suoi associati hanno colto da subito la sfida proposta al settore anni fa, impegnandosi nella produzione di biometano da Forsu e contribuendo attivamente all'economia circolare del Paese e alla sicurezza energetica nazionale - ha dichiarato Lella Miccolis, presidente del Cic - Senza dubbio gli incentivi hanno un ruolo cruciale, per ammodernare gli impianti, crearne ex novo e sostenere gli investimenti ingenti per la produzione di energie rinnovabili da rifiuti e di biometano, ma chiediamo un allineamento dei meccanismi di incentivazione e di adeguamento inflazionistico, per garantire una concorrenza leale tra gli operatori. I prossimi passi saranno fondamentali, per promuovere l’adozione della digestione anaerobica a monte del compostaggio e ottimizzare la produzione di biometano. Inoltre, sarà fondamentale il supporto dei Comuni, per aumentare la quantità di rifiuto organico prodotto: pur essendo obbligatoria la raccolta differenziata della frazione organica dal 2022, registriamo ancora numerosi Comuni che non hanno avviato la raccolta differenziata dell'organico e altri che hanno margini di crescita importanti. Nonostante le difficoltà legate all'aumento dei costi e ai lunghi iter autorizzativi, il settore è pronto a investire ulteriormente, confidando nella continuità del supporto governativo oltre il 2026 per raggiungere gli obiettivi di produzione di biometano”. Secondo i dati del Cib, anche alla luce dello scenario delineato dai bandi del Pnrr, il settore agricolo si conferma un importante motore della transizione ecologica del Paese. Nel 2023 la produzione di biometano da impianti agricoli è stata di circa 600 milioni di metri cubi. Ma al 2030 il settore potrà raggiungere oltre 6 miliardi di metri cubi di biometano agricolo. “Il lavoro sinergico che stiamo portando avanti con il Cic e la Piattaforma Biometano ha posto le basi per un percorso che, nel corso degli anni, ha evidenziato come il settore biometano rappresenti un’opportunità strategica per contribuire alla decarbonizzazione del nostro Paese. Come dimostrato anche dai risultati dei bandi Pnrr in corso, in questo percorso comune il ruolo del settore agricolo, vero driver della transizione, è centrale - ha dichiarato il direttore del Cib, Christian Curlisi - Molto è stato fatto in questi mesi, anche grazie all’attività del Gse, per accelerare i processi e garantire un’ampia partecipazione. Tuttavia, resta fondamentale intervenire con misure concrete che semplifichino i processi e assicurino l'accesso alla rete di distribuzione, così da permettere alle aziende agricole di poter realizzare tutti i progetti previsti entro le stringenti scadenze del Piano e cogliere appieno le opportunità di sviluppo e di investimento disponibili. Per costruire una prospettiva solida per il settore sarà essenziale predisporre al più presto le regole che consentiranno una traiettoria di sviluppo del settore ‘post Pnrr’, definendo un quadro che consenta di guardare con maggiore certezza al futuro, in linea con le stime di sviluppo al 2030 di oltre 6 miliardi di mc di biometano agricolo, rendendo sempre più accessibile il percorso di transizione verso la produzione di energia rinnovabile, a partire dai sottoprodotti agricoli”.