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(Adnkronos) - Dagli endocannabinoidi una possibile terapia per rallentare la progressione della demenza frontotemporale, patologia che ha colpito la star di Hollywood Bruce Willis (69 anni). Un nuovo studio condotto presso la Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma ha dimostrato un miglioramento delle condizioni cliniche - potrebbe rallentare la progressione dei sintomi - nei pazienti trattati con la molecola co-ultraPeaLut rispetto al placebo. I risultati, pubblicati sulla rivista 'Brain Communications', arrivano dal lavoro del gruppo di ricerca diretto da Giacomo Koch, vice-direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia Irccs e ordinario di Fisiologia all'Università di Ferrara. La ricerca, che ha visto come primo autore Martina Assogna, ha dimostrato l'efficacia della palmitoiltanolamide (Pea) ultramicronizzata insieme all'antiossidante flavonoide luteolina (Lut) nel ridurre i sintomi cognitivi e la progressione della malattia in un periodo di 6 mesi. La demenza frontotemporale, ricordano gli esperti, è "una patologia neurodegenerativa che interessa primariamente i lobi frontali e/o temporali del cervello e rappresenta la terza causa di demenza più frequente nella popolazione generale, oltre ad essere la prima causa di demenza neurodegenerativa nella popolazione non anziana con oltre il 70% dei casi che si manifesta tra i 45 e i 65 anni di età. E' una malattia eterogenea caratterizzata dalla presenza di disturbi del comportamento e dalla compromissione di importanti funzioni cognitive dovute alla degenerazione delle aree frontali e temporali per cui i pazienti sviluppano deficit della capacità di ragionamento, della risoluzione dei problemi e nelle interazioni sociali. Inoltre, in alcune forme si osserva un progressivo disturbo principalmente a carico del linguaggio sia sul versante della espressione che della comprensione". L'attore di 'Die Hard' si è ritirato proprio dopo la diagnosi non riuscendo più a comunicare. Come si manifesta la demenza frontotemporale? "A seconda dei sintomi cognitivi e comportamentali predominanti, sono state riconosciute tre principali sindromi cliniche: una che influenza il comportamento e l'interazione sociale dell'individuo (variante comportamentale della Ftd) e due forme di Ftd che interessano invece la sfera del linguaggio, con due tipi di afasia progressiva primaria riscontrabili: la variante agrammatica dell'afasia, che impedisce la corretta produzione del linguaggio, e la variante semantica di afasia, che impedisce la comprensione del linguaggio. Inoltre - spiegano i ricercatori - in tutto lo spettro della Ftd, i sintomi cognitivi e comportamentali possono essere associati a segni extrapiramidali (depressione, rigidità, tremore e altri sintomi) o sovrapporsi alla malattia del motoneurone (ad esempio la sclerosi laterale amiotrofica). I sintomi sono progressivi e non ci sono al momento farmaci in grado di rallentare la progressione della malattia. Attualmente, non esiste un trattamento farmacologico efficace specifico per rallentare la progressione della malattia e le strategie terapeutiche si basano principalmente sull'uso di agenti sintomatici per controllare i sintomi comportamentali". "Recenti scoperte - prosegue l'Irccs Santa Lucia - hanno supportato l'idea che la neuroinfiammazione sia un elemento chiave nel processo che porta a sviluppare la demenza frontotemporale, alimentando l'ipotesi che nuovi farmaci mirati a modulare la neuroinfiammazione cerebrale possano potenzialmente rallentare la progressione della malattia. Negli ultimi anni una nuova molecola chiamata co-ultraPeaLut è emersa come potenziale molecola terapeutica nei disturbi neurodegenerativi correlati allo sviluppo della demenza frontotemporale, come la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), per le sue documentate proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive". In uno studio pilota pubblicato dal gruppo di Koch nel 2020 sono stati indagati gli effetti di 1 mese di somministrazione di co-ultraPeaLut alla dose orale di 700 mg 2 volte al giorno in un campione di 17 pazienti con demenza frontotemporale. Dall'analisi dei risultati è emerso che la co-ultraPeaLut aveva un effetto migliorativo su alcune funzioni cognitive principalmente attraverso la modulazione dell'attività dell'acido γ-amminobutirrico (Gaba), un importante neurotrasmettitore che inibisce la risposta dei neuroni moderando, tra i vari effetti, l'attività oscillatoria corticale ad alta frequenza della corteccia prefrontale". Sulla base di queste evidenze è stato svolto uno studio clinico randomizzato, controllato contro placebo, in doppio cieco, su 50 pazienti affetti da demenza frontotemporale per valutare la sicurezza e l'efficacia della somministrazione di co-ultraPeaLut nei pazienti. Questo trial clinico randomizzato ha studiato gli effetti su pazienti trattati con co-ultraPeaLut al dosaggio orale di 700 mg + 70 mg 2 volte al giorno per 24 settimane. Sia durante che al termine del trattamento è stato indagato l'impatto clinico della molecola sulla gravità della malattia e gli eventuali effetti sui deficit cognitivi, sui sintomi comportamentali, sulle autonomie della vita quotidiana e sui disturbi del linguaggio. "I risultati - riferisce Koch - hanno dimostrato che il trattamento con co-ultraPeaLut ha ridotto la progressione della gravità globale della malattia nei pazienti con demenza frontotemporale. Inoltre, confrontando il co-ultraPeaLut con il gruppo placebo, abbiamo osservato un calo minore nei punteggi delle autonomie della vita quotidiana, suggerendo che il suo utilizzo può avere un ruolo aggiuntivo nel rallentare la compromissione funzionale. Abbiamo anche osservato un vantaggio del trattamento con co-ultraPeaLut nella funzione linguistica". Secondo Silvana Morson, presidente della Aimft, Associazione italiana malattia frontotemporale, "questo studio fornisce un importante segnale per le famiglie dei malati con demenza frontotemporale, aprendo nuovi possibili scenari terapeutici in una patologia complessa che al momento non dispone di trattamenti specifici". Conclude Koch: "Questi risultati sono promettenti soprattutto per una patologia orfana di trattamenti efficaci. Sono necessari ulteriori studi multicentrici di fase 2/3 per confermare la validità clinica di questo approccio terapeutico e per definire meglio i suoi meccanismi d'azione".
(Adnkronos) - "Le donne possono accedere alla pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi più una finestra di attesa di tre mesi, mentre per la pensione di vecchiaia servono 67 anni di età e 20 anni di contributi. Nel sistema contributivo, si può anticipare la pensione a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, ma solo se l’assegno maturato supera una soglia minima. E' previsto uno sconto per le madri: l'importo soglia si riduce con uno o più figli". Così, in un'intervista all'Adnkronos/Labitalia, Anna Maria Bilato, del Collegio di presidenza dell'Inca, il patronato della Cgil, ripercorre le regole pensionistiche per le donne nel 2025. "'Opzione donna', misura sperimentale avviata nel 2004, permette alle lavoratrici - sottolinea - di ritirarsi prima accettando un assegno calcolato interamente col metodo contributivo. I requisiti nel 2025 sono: 61 anni di età (60 per le madri con un figlio, 59 con due o più figli); 35 anni di contributi; appartenenza a determinate categorie (caregivers, invalide al 74%, lavoratrici licenziate)". "Dal 2023 - sottolinea - con requisiti più stringenti, il numero di pensioni liquidate con 'Opzione donna' è crollato da 21.300 nel 2021 a 4.784 nel 2024. 'Opzione donna' non si è rivelata la soluzione al problema dell’allungamento dei requisiti pensionistici introdotti con la riforma Fornero, ma negli anni è stata una via di uscita per le donne, costrette a rinunciare a una grossa parte dell’importo di pensione maturato (perdite stimate dall’Inca mediamente pari a 400 euro netti mensili) nella maggior parte dei casi per assistere un familiare con disabilità. In altri casi, invece, proprio a causa delle grosse perdite, sono state costrette a rinunciare e a rimanere ancora al lavoro fino all’età della pensione di vecchiaia. L’Ape sociale rimane un altro strumento per anticipare la pensione (63 anni e 5 mesi con 30/36 anni di contributi), ma per molte donne raggiungere questi requisiti è difficile, data la frammentarietà dei percorsi lavorativi". ( VIDEO ) "Nel mondo del lavoro, nonostante la nostra Costituzione all'articolo 37 dica che 'La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore', la realtà del 2025 racconta ancora un'Italia segnata da disuguaglianze, anche di genere. Un discorso che vale per le lavoratrici e per tutte le donne. Il divario si manifesta nell'istruzione, nel mercato del lavoro, nelle retribuzioni e nelle pensioni, anche all’interno delle famiglie, con effetti negativi sulla condizione economica e sociale delle donne". "Nell'ambito lavorativo - spiega - l'occupazione per le donne è frammentaria, discontinua e spesso con part time non sempre volontari, ma imposti, dettati dall'esigenza di avere un salario per poter portare avanti la propria vita". "Secondo il Rendiconto di genere 2024 del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps - spiega - le donne rappresentano la maggioranza tra diplomati e laureati, ma le assunzioni femminili si fermano al 42,3%. Le pensionate superano i pensionati (7,9 milioni contro 7,3 milioni), ma ricevono assegni più bassi: nel settore privato, le pensioni di anzianità/anticipate e di invalidità sono inferiori rispettivamente del 25,5% e 32%, mentre per la vecchiaia il gap raggiunge il 44,1%. Le cause sono la discontinuità lavorativa, il lavoro part-time e i salari più bassi, con un impatto diretto sui contributi e sugli importi pensionistici". "Nel settore pubblico - chiarisce - le donne sono più presenti ma meno rappresentate nei ruoli dirigenziali. I requisiti pensionistici, ormai quasi paritari con quelli degli uomini, non compensano le disuguaglianze strutturali". "Guardando al settore del commercio - fa notare Anna Maria Bilato - la presenza femminile riporta un compenso orario di 75 euro contro i 99 euro dei colleghi maschi. Nella sanità e assistenza sociale le donne percepiscono 66 euro all'ora contro 87 euro all'ora degli uomini. Questa situazione si ripercuote su quelle forme di ammortizzatori sociali di cui le donne sono le maggiori utilizzatrici. Il 53% delle domande Naspi, infatti, sono prevalentemente femminili, ma il valore dell'indennità erogato è mediamente inferiore a quello dei maschi perché si riconduce alla retribuzione effettiva: 986 euro mensili delle donne rispetto a 1145 degli uomini". "Nella Relazione del Civ Inps - sottolinea - nei trattamenti pensionistici il numero di donne supera di lunga il numero di pensionati maschi; dal punto di vista economico nei trattamenti delle pensioni anticipate nel settore privato le donne percepiscono mediamente 1.752 euro sulle pensioni di anzianità, contro i 2.350 euro che percepiscono i maschi. Guardando le pensioni di vecchiaia l'importo delle donne è di 760 euro contro 1359 euro percepito dai maschi. Dunque, c'è tanto lavoro ancora da fare e il punto di partenza deve essere la centralità del lavoro. Dobbiamo fare in modo che le donne possano avere più opportunità occupazionali e che venga applicato ciò che dice l'articolo 37 della Costituzione".
(Adnkronos) - Il Gruppo Hera inaugura a Imola (BO), nel cuore della Motor Valley, il primo impianto nel suo genere a livello europeo, in grado di rigenerare la fibra di carbonio su scala industriale. Si chiama Fib3R, un nome all’insegna delle tre R che sono alla base del progetto: recover, reduce, reuse, ovvero recuperare la fibra di carbonio e riutilizzarla, riducendo l’utilizzo di fibra vergine e quindi l’impatto ambientale che sarebbe necessario per produrla. La fibra rigenerata da Fib3R - spiega Hera in una nota - mantiene inalterate le caratteristiche di leggerezza ed elevata resistenza della fibra vergine, garantendo di ottenere - attraverso un procedimento all’avanguardia di pirogassificazione - un prodotto in uscita rigenerato, pronto per essere riutilizzato, ritessuto e/o impregnato, per impieghi altamente performanti a cui questo tipo di materiale è destinato. I settori industriali interessati vanno dall’automotive all’aerospaziale, dalla nautica all’arredo, fino al tessile e alla moda in senso lato. L’Unione Europea ha riconosciuto a Fib3R un contributo di oltre 2,2 milioni di euro nell’ambito del NextGenerationEu per la tecnologia innovativa e la rilevanza strategica dei materiali trattati. L’investimento complessivo previsto dal Gruppo Hera per realizzare l’impianto di Imola ammonta a 8 milioni di euro. Ad oggi, nell’impianto si prevede una produzione di 160 tonnellate di fibra di carbonio riciclata ogni anno, con un risparmio energetico del 75% rispetto alla fibra vergine. “Nel suo genere Fib3R è il primo impianto in Europa per il riciclo della fibra di carbonio, con l’obiettivo di promuovere filiere corte e circolari, in linea con la nostra strategia di rendere i nostri territori più competitivi e resilienti - afferma Orazio Iacono, amministratore delegato del Gruppo Hera - FIib3R rappresenta, inoltre, un esempio concreto di come il Gruppo Hera sia in grado di combinare innovazione tecnologica e sostenibilità sfruttando la cross fertilization tra le competenze all’avanguardia delle varie filiere del Gruppo. Il recupero della fibra di carbonio non solo consente di ridurre l’impatto ambientale di questi scarti, ma crea anche nuove opportunità di mercato in settori strategici dell’industria. Investire in infrastrutture circolari di questo tipo significa aumentare la resilienza delle filiere produttive, ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche e, al contempo, creare valore attraverso modelli di business sostenibili". "Con oltre 100 impianti all’avanguardia e 5 nuove strutture in corso di realizzazione - continua - abbiamo consolidato nel tempo la più grande e moderna piattaforma impiantistica del Paese per il trattamento e recupero di materia, rafforzando il nostro ruolo di operatore di riferimento nel settore e di motore dell’economia circolare in Italia. Il nostro Piano industriale conferma questa strategia con investimenti per 2 miliardi di euro nel periodo 2024-2028 destinati alla rigenerazione delle risorse, un impegno che punta a generare valore per tutti i nostri stakeholder”. L’impianto di Imola è stato messo a punto dalla controllata Herambiente, operatore nazionale nel recupero e trattamento dei rifiuti, che da tempo aveva iniziato a sperimentare il processo di recupero delle fibre di carbonio, in collaborazione con il dipartimento di Chimica Industriale dell’Università di Bologna e con il partner tecnologico Curti Costruzioni Meccaniche. Dopo tre anni di sperimentazione, il Gruppo Hera ha sviluppato industrialmente il progetto e realizzato l’impianto Fib3R. Nell’impianto di Imola - spiega Hera - la rinascita della fibra di carbonio avviene all’interno di un tunnel di 60 metri dove viene realizzato un processo avanzato di pirogassificazione: nella prima fase, quella della pirolisi, viene liberata dalla resina la fibra di carbonio, più resistente al calore, e nella seconda fase avviene la gassificazione che garantisce una fibra rigenerata di altissima qualità, purissima, lucente e sostenibile. La resina decomposta in forma gassosa viene, infatti, riutilizzata per generare parte dell’energia necessaria al processo, massimizzando il recupero energetico. Le polveri rimaste nelle fibre vengono aspirate e inviate al sistema di abbattimento. Il ciclo di riciclo è potenzialmente infinito e il risparmio energetico è molto alto rispetto alla produzione di fibra vergine, altamente energivoro per le alte temperature utilizzate. Inoltre, produrre fibra di carbonio vergine significa impiegare materie prime fossili e aumentare i conferimenti in discarica, visto che gli scarti della lavorazione delle fibre sono destinati quasi esclusivamente allo smaltimento. Non solo: l’unicità di Fib3R sta anche nella totale tracciabilità del materiale trattato. Gli scarti in fibra di carbonio, infatti, entrano nell’impianto all’interno di contenitori dotati di QR code, che riporta la loro carta di identità: caratteristiche tecniche, peso, provenienza. Una volta compiuto il processo, lo stesso materiale tracciato torna al proprietario sotto forma di fibra di carbonio rigenerata e il cerchio si chiude. I compagni di viaggio di Fib3R. Il Gruppo Leonardo ha avviato attraverso la Divisione Aerostrutture la sinergia industriale con il Gruppo Hera supportando all’interno dell’impianto di Imola un progetto di recupero delle fibre di carbonio di rinforzo dei compositi a matrice polimerica utilizzati per la costruzione di parti di aeromobili. Dunque, grazie agli asset di Herambiente e al know-how sviluppato nei laboratori del Gruppo Leonardo, il prezioso materiale verrà riciclato con positive ricadute in termini di sostenibilità e circolarità. In particolare, la Divisione Aerostrutture di Leonardo conferirà a Herambiente parte delle fibre di scarto derivanti dalla costruzione delle componenti di alcuni fra gli aeromobili civili più noti nel settore dell’aviazione commerciale.