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(Adnkronos) - Chiusura di stagione per ‘Da noi… a ruota libera’. Per l’ultima puntata, i ruoli si sono invertiti: al suo fianco Nek e per una volta è stata proprio Francesca Fialdini a mettersi a nudo. La conduttrice ha parlato di fede e ha confidato: “Ad Assisi ho trovato risposte che cercavo da tempo. La fede ha ribaltato le mie priorità. È uno sguardo che illumina gli altri, che restituisce valore e dignità a ciascuno”. Quando all’amore dice: “Certo che c’è, ma non è una favola. È un fatto, qualcosa che si vede, che si sente. Chi ti ama davvero si fa avanti, condivide, si prende cura”. Non è mancato un accenno alle nuove generazioni: “Oggi i più dimenticati sono i giovani. Stanno gridando il loro bisogno d’amore, di essere ascoltati, di contare davvero. Non possiamo più permetterci di ignorarli”. La conduttrice ha poi rivissuto l’inizio della sua avventura in Tv: “Quando arrivò la proposta di Unomattina, non trovavo le parole. Giancarlo Leone (allora direttore di Rai1) mi disse: ‘Va bene così, trasformerai la paura in forza’. Ed è andata proprio così”. In chiusura, l’abbraccio del pubblico e della squadra del programma, che le ha donato una maglietta firmata da tutti.
(Adnkronos) - Un viaggio dell’anima per conoscere i luoghi che, negli Stati Uniti, hanno fatto la storia dei diritti civili. Per non dimenticare quel capitolo buio - mai abbastanza raccontato nei testi delle scuole europee - che è stato la schiavitù e la segregazione degli afro-americani e la lunga lotta per il riscatto e la conquista di pari opportunità. Un tema tuttora scomodo e che ancora oggi segna i volti di tanti cittadini di colore che hanno un posto nella società ma che portano dentro la memoria dei loro avi e di chi ha permesso di conquistarlo. Per ripercorrerlo, e promuovere un turismo della consapevolezza, è nato il Civil Rights trail, un cammino trasversale a diversi Stati americani ma che ha il suo cuore in Alabama, nel ‘profondo’ Sud, lì dove negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso si sono svolti avvenimenti destinati a cambiare il corso della storia. E che proprio in questo 2025 celebrano importanti anniversari. Esattamente 70 anni fa, il 1° dicembre 1955, Rosa Parks, una sarta impiegata nell’azienda tessile di Montgomery, l’attuale capitale dell’Alabama, si rifiutò di cedere il posto in autobus a un bianco, come dettava la ‘prassi’. Un gesto che le valse l’arresto ma che avrebbe portato, il 13 novembre 1956, alla storica sentenza della Corte Suprema che dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nei mezzi pubblici, dopo aver scatenato un altro evento simbolo: il boicottaggio degli autobus di Montgomery che durò 381 giorni. A guidarlo un pastore di colore della chiesa battista arrivato da Atlanta, la capitale della vicina Georgia, altro luogo di ‘pellegrinaggio’ lungo il cammino dei diritti civili: Martin Luther King jr, diventato poi un leader internazionalmente conosciuto nella difesa degli afro-americani. Fu sempre lui, dieci anni dopo, nel marzo 1965, a guidare i manifestanti partiti dalla cittadina di Selma che pacificamente chiedevano il diritto di voto. Ci vollero tre tentativi, e quella violenta repressione che passò alla storia come ‘Bloody Sunday’, per permettere a 25mila persone di percorrere 85 chilometri a piedi e raggiungere Montgomery, dopo aver attraversato un altro luogo diventato iconico, l’Edmund Pettus Bridge. Per ricordare la marcia, che culminò con la firma del Voting Rights Act da parte del presidente Lyndon Johnson, il 6 agosto 1965, in questo 60° anniversario si è svolto il Bridge Crossing Jubilee. In questo doppio ‘Giubileo’ dei diritti civili, il tragitto compiuto dagli attivisti si può percorrere in auto, da turisti, facendo tappa nei centri interpretativi e nei siti storici e simbolici (per tutte le informazioni si può consultare il sito web dell’Alabama Tourism Department https://alabama.travel). Tra i luoghi significativi di Selma, si possono visitare la Brown Chapel African Methodist Episcopal Church, dove i manifestanti si riunirono prima della marcia della ‘Bloody Sunday’, e ascoltare testimonianze dirette da guide volontarie presso il National Voting Rights Museum and Institute. Una volta giunti a Montgomery, un buon punto di partenza per visitare la città sulle tracce della storia è proprio quello dell’arrivo della famosa marcia, dove King pronunciò il celebre discorso ‘How Long, Not Long’: la piazza antistante il Campidoglio dello Stato dell'Alabama. Un imponente edificio bianco in stile neoclassico costruito - dopo una prima versione andata a fuoco - nel 1851 all’indomani della proclamazione di Montgomery capitale dell’Alabama, sul modello del ben più famoso ‘cugino’ di Washington. Da qui è passato l’altro volto della storia americana ‘sudista’, quello della Guerra civile, che si è consumata tra il 1861 e il 1865, che si intreccia a doppio filo al percorso dei diritti civili. A pochi passi, la ‘Casa Bianca’ del Sud, infatti, fu sede della Confederazione degli Stati che diede vita alla sfortunata secessione, con la residenza dell’allora presidente Jefferson Davis. Oggi il Capitol Hill di Montgomery è sede delle istituzioni locali e in parte è visitabile, per ammirare, oltre alle stanze del governatore, il ciclo di murales degli anni Venti che ricoprono la cupola e la doppia scala in legno all’ingresso fabbricata da uno schiavo liberato. Domina da una collina, ‘Goat Hill’, la Dexter Avenue, una delle principali vie della città lungo la quale si trovano luoghi simbolo della sua storia. A cominciare dalla King Memorial Baptist Church, risalente al 1883, a mattoncini rossi, iscritta come gli altri due monumenti istituzionali nel registro dei National Historic Landmarks e in attesa di riconoscimento nel Patrimonio Unesco. Oggi è intitolata a Martin Luther King jr. ed è l’unica chiesa di cui è stato pastore: qui si può vedere il pulpito da cui diffondeva il suo messaggio di speranza e sempre qui si tenne la riunione per lanciare il boicottaggio degli autobus, che di fatto segnò la nascita del Movimento per i diritti civili. Visitabile anche il Dexter Parsonage Museum, nella casa dove King è vissuto con la sua famiglia dal 1954 al 1960, restaurata e recuperata come numerose altre costruzioni che fanno parte della ‘Old town’. Tra gli scorci più fotografati di Dexter Avenue, con Capitol Hill sullo sfondo, sicuramente è Court Square Fountain, piazza con al centro una fontana di ferro costruita nel 1885 nel luogo dove un tempo si tenevano le aste degli schiavi. E proprio all’angolo una targa indica la fermata dove Rosa Parks attese il bus e per ricordarla c’è una statua ad altezza uomo. L’edificio dove lavorava, a pochi passi, oggi è un esempio di riqualificazione architettonica: ospita il Prevail Union Craft Coffee, un coffee shop molto attento alla sostenibilità (nel dehors un murales che ritrae Rosa Parks), oltre a laboratori artigianali e gallerie d’arte, ma anche la testimonianza di quando l’ingresso per i bianchi era separato da quello per i neri. Non sono pochi in città gli esempi di riuso post-industriale, come il Freedom Rides Museum, situato nell'ex Greyhound Bus Station, dove i segregazionisti attaccarono i manifestanti per i diritti civili che protestavano pacificamente contro la separazione dei posti nei trasporti pubblici. Un autobus restaurato degli anni Cinquanta è esposto nel Rosa Parks Museum, dove si può vedere anche il documento con le impronte digitali dell’eroina al momento del suo arresto. Il Museo, per volere della stessa Rosa Parks, è completato da una biblioteca aperta ai giovani ed è gestito dalla Troy University. A Montgomery si trova, poi, il primo importante memoriale negli Stati Uniti costruito per onorare il Movimento per i diritti civili. Un monumento dell’artista Maya Lin, la stessa che ha creato il memoriale dedicato ai veterani del Vietnam a Washington, inaugurato nel 1989, che è un tributo ai caduti per la giustizia, in particolare le vittime dei linciaggi: 24 nomi scolpiti su una parete in granito dove scorre l’acqua, a formare una sorta di fontana che delimita anche l’ingresso al Peace and Justice Memorial Center, dove i visitatori possono approfondire la storia della diseguaglianza razziale negli Stati Uniti. Il centro fa capo alla Eji-Equal Justice Initiative, un’organizzazione no proft basata a Montgomery che si occupa di tramandare l’eredità lasciata dal Movimento ma anche di difendere i diritti civili ancora ai giorni nostri. La Eji ha promosso un altro, più recente memoriale, The National Memorial for peace and Justice, sorto nel 2018 in un ampio spazio all’aperto, concepito come un luogo sacro di memoria: a onorare quanti morirono per difendere i loro diritti contro il terrore razziale, una struttura imponente con i nomi di oltre 4mila vittime di linciaggio scolpiti su colonne appese dall’alto che rappresentano ciascuna una diversa contea degli Stati Uniti in cui gli orrori hanno avuto luogo. Una collina del ricordo, del silenzio e della meditazione, che si trova poco distante da Downtown ed è raggiungibile con lo shuttle gratuito che parte dal Legacy Museum, riaperto nell’attuale location nel 2021. Una vasta ed esaustiva ricostruzione, che accoglie 35mila visitatori al mese, con documenti e pannelli interattivi, per ripercorrere i secoli della schiavitù, dalla deportazione dei neri dall’Africa iniziata nel 1619 fino all’abolizione del traffico nel 1800 e alla Guerra Civile, per raccontare una storia che è proseguita nonostante i divieti costituzionali, tanto da portare al Movimento per i diritti civili negli anni Cinquanta e Sessanta; una narrazione che arriva ai giorni nostri, a sottolineare come quella dell’integrazione sia una vicenda tutt’altro che superata. Tra i documenti più toccanti di questa visita immersiva che invita alla riflessione, gli annunci con cui venivano offerti in vendita all’asta gli schiavi. L’ultima, in ordine di tempo, delle location entrate a far parte dei ‘Legacy Sites’ di Montgomery è il Freedom Sculpture Park, aperto lo scorso anno. In un parco affacciato sul fiume, antica via di comunicazione, e a ridosso della ferrovia che trasportava, oltre alle merci, anche gli schiavi, c’è una raccolta di sculture dedicate ai neri ma anche ai nativi americani. Alla fine del percorso su un grande muro sono impressi i nomi di 4 milioni di schiavi, censiti nel 1870. Completa il tour un visitor center dove si può assistere a un video che racconta l’altra sponda della schiavitù, quella africana, e ricostruire alberi genealogici grazie a tavole interattive. Ad annunciare una novità attesa entro l’anno è Ron Simmons, Ceo di Experience Montgomery (https://experiencemontgomeryal.org), la divisione della Camera di commercio che promuove il turismo: “Nell’ambito delle iniziative di Eji, a ottobre aprirà un albergo vicino al Legacy Museum e sarà concepito come una prosecuzione della visita, con nuove sculture esposte e un corridoio in vetro sopraelevato che sarà il punto di osservazione più alto, e un ristorante che proporrà piatti della cucina afro-americana. Crediamo molto nel potenziale turistico del Civil Rights Trail, che solo qualche anno fa era impensabile. A marzo, quando abbiamo celebrato il Jubilee, alla presenza di personalità ed ex presidenti Usa, gli hotel erano tutti pieni”. Il Civil Rights Trail, dopo Montgomery, porta dritto a Birmingham, che per dimensioni è la più grande città dell’Alabama. Cresciuta nel 1800 grazie allo sviluppo delle estrazioni minerarie e dell’industria pesante, Birmingham ha conosciuto una forte immigrazione e nelle sue fabbriche, accanto agli afro-americani, era impiegata e sfruttata anche manodopera europea. Ancora oggi il suo volto post-industriale domina lo skyline e sono ben presenti le tracce di comunità straniere. Un tessuto socio-economico dove la segregazione era imposta dalla legge, dalle consuetudini e dalle violenze, e che ha costituito terreno fertile per rafforzare il Movimento per i diritti civili. Lo stesso Martin Luther King fu chiamato a Birmingham, dove gli eventi facevano correre in avanti la storia: è qui che, arrestato durante una marcia non violenta, scrisse la famosa ‘Lettera dalla prigione di Birmingham’, considerata uno dei documenti più rilevanti del Movimento per i diritti civili. I luoghi simbolo degli eventi che scandirono il Movimento sono raccolti nel Civil Rights District (tutte le informazioni si possono trovare sul sito web www.inbirmingham.com). Il cuore è rappresentato dalla 16th Street Baptist Church, nata nel 1873 come la prima chiesa ‘nera’ di Birmingham e unico luogo di fatto dove gli afro-americani potevano incontrarsi. Oggi l’imponente edificio a mattoncini rossi è un monumento nazionale e visitandolo si può apprendere la storia di eventi che hanno fatto balzare la città alle cronache internazionali segnando il destino del travagliato percorso dei diritti civili, come la bomba piazzata nel 1963 dal Ku Klux Clan, temuta organizzazione segreta terroristica di stampo razzista, che uccise quattro ragazzine. A loro è dedicata la scultura all’ingresso del Kelly Ingram Park, il parco storico che occupa la piazza che fu teatro di dimostrazioni e di violente repressioni, come racconta Barry McNealy, storico del Birmingham Civil Rights Institute e guida turistica: “Ogni angolo di questo luogo offre uno storytelling; parla di marce di bambini resilienti, di violenze ad opera delle forze dell’ordine che usavano potenti getti d’acqua e cani contro i manifestanti. Le sculture e i mattoni del pavimento stanno qui a ricordarlo”. Di fronte, la visita del Birmingham Civil Rights Institute offre una ricostruzione delle condizioni di vita degli afro-americani, ricreando ambienti e contesti urbani. C’è anche la porta originale della cella in cui fu imprigionato Martin Luther King e una serie di documenti audio e video, fra cui il suo famoso discorso in occasione della marcia su Washington in cui pronunciò la frase diventata simbolo ‘I have a dream’, con cui esprimeva il sogno di una società con pari diritti per bianchi e neri. Quella che fu definita la ‘campagna di Birmingham’ impresse un’accelerazione al Movimento per i diritti civili che portò nel 1964 all’emanazione del Civil Rights Act, che vietò la segregazione razziale. Il viaggio emozionale lungo la strada e la storia dei diritti civili può concludersi spingendosi fuori dai confini dell’Alabama per una tappa ad Atlanta, la città che ha dato i natali a Martin Luther King, nel 1929, e dove le sue spoglie sono tornate dopo l’assassinio a Memphis nel 1968. Ad Atlanta si trova la casa dove la famiglia abitò dal 1926 al 1941, in Auburn Avenue, una delle tante in stile vittoriano che popolano interi viali della città. Ma anche la Ebenezer Baptist Church, la chiesa dove prestava servizio il padre, che aveva lo stesso nome, e dove Martin Luther King fu battezzato. All’interno, se si ha la fortuna di trovarla aperta, si possono ascoltare registrazioni dei suoi sermoni. Sulla stessa via si trova il monumento funebre in marmo, in un luogo fortemente evocativo, al centro di una fontana che simboleggia un fiume che scorre con accanto una fiamma perenne. Adiacente è la Freedom Hall che ospita eventi e mostre. L’intero distretto rappresenta il Martin Luther King National Historical Park, che comprende anche un Visitor Center e un’altra chiesa (per informazioni si può visitare il sito https://discoveratlanta.com). A raccontare l’eredità del Movimento per i diritti civili, in Downtown ad Atlanta, è poi il National Center for Civil and Human Rights, attualmente in ristrutturazione. E un fil rouge lega questa eredità all’impegno personale e politico di Jimmy Carter, 39º Presidente degli Stati Uniti d’America, dal 1977 al 1981, georgiano, scomparso solo qualche mese fa a 100 anni. Un impegno, che gli valse anche il Premio Nobel per la pace, raccontato e testimoniato nella Jimmy Carter Presidential Library and Museum che si può visitare immersi nella quiete di un parco di Atlanta. Un altro luogo della memoria e un must per il turista che voglia ripercorrere la storia e le emozioni del Movimento per i diritti civili. Magari facendo una sosta durante lo scalo all’aeroporto di Atlanta che, grazie ai numerosi voli diretti con l’Italia, è anche la porta d’ingresso per l’Alabama.
(Adnkronos) - "Oggi Venezia si propone come un cluster della conoscenza, una costellazione di imprese, istituzioni e saperi interconnessi. Questo cluster, in fondo, rappresenta la sublimazione di ciò che Venezia è sempre stata: un faro di civiltà, un crocevia di intelligenze. Oggi può tornare ad esserlo, declinando la modernità attraverso università, laboratori, brevetti, cultura e scienza. Una città che non si arrende alla monocultura turistica, ma che si reinventa come capitale globale del sapere sostenibile, in grado di ispirare il mondo con il proprio esempio". Così Renato Brunetta, presidente della Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità / Venice Sustainability Foundation (Vsf) in apertura al primo convegno della Biennale della Sostenibilità 2025, intitolato 'Ricerca, Formazione, Innovazione. Verso un cluster della conoscenza a Venezia', tenutosi all’Arsenale di Venezia. "Tutto questo prende forma anche attraverso la nostra collaborazione con la Biennale, con la quale sono nate la Biennale della Sostenibilità e il padiglione Intelligent Venice, una sorta di autobiografia collettiva della città lunga 1600 anni, per immaginare il futuro, partendo dalla sua grande storia - ha detto - Attraverso le sue attività, Vsf genera soft power, attrae investimenti sostenibili e aggrega realtà diverse in una visione condivisa. È un attore chiave nel rendere Venezia un laboratorio vivente di innovazione e cultura, capace di ispirare il futuro partendo dalle sue radici millenarie".