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(Adnkronos) - Via libera del governo all'ingresso di mezzo milione di migranti regolari in Italia nei prossimi 3 anni. Il Consiglio dei ministri ha infatti approvato oggi, lunedì 30 giugno, il Dpcm sui flussi migratori per il triennio 2026-2028. Il provvedimento disciplina l'ingresso regolare in Italia di lavoratori non comunitari, stabilendo quote e criteri per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro nazionale. L'obiettivo, come si legge nella nota diffusa al termine della riunione, "è di consentire l'ingresso in Italia di manodopera indispensabile al sistema economico e produttivo nazionale e altrimenti non reperibile. Inoltre, con la stabile individuazione di un meccanismo d'immigrazione legale e controllato, si attivano canali di comunicazione fondamentali nel dialogo con i Paesi di origine dei flussi migratori e si costruisce uno strumento per il contrasto a fenomeni di irregolarità nell'ingresso e permanenza nel nostro Paese, nella lotta contro il lavoro sommerso e allo sfruttamento dei lavoratori". Per il solo 2026 sono previsti 164.850 ingressi autorizzati. Complessivamente, nel triennio considerato, le unità ammesse saranno 497.550, articolate in 230.550 per lavoro subordinato non stagionale e autonomo, e 267.000 per lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico. Le quote, prosegue la nota, "sono state determinate tenendo conto dei fabbisogni espressi dalle parti sociali e delle domande di nulla osta al lavoro effettivamente presentate negli anni scorsi, con l'obiettivo di una programmazione che recepisca le esigenze delle imprese e che sia anche realistica". "Resta ferma" infine "la volontà del governo di incentivare gli ingressi fuori quota, anche nella prospettiva di un ridimensionamento del meccanismo del 'click day', che potrà avvenire seguendo un percorso graduale, che riguardi anzitutto i profili professionali più ricercati dai datori di lavoro e che potenzi la formazione dei lavoratori nei Paesi di origine".
(Adnkronos) - Si informano scegliendo gli strumenti digitali che hanno a portata di mano (social media e motori di ricerca) ma in realtà si fidano di più di giornali e telegiornali. Considerano importante l’informazione (68,4%) ma poi la maggioranza dedica meno di mezz’ora al giorno (63,5%) a scoprire cosa succede in Italia e nel mondo. Ammettono però, 8 su 10, di avere difficoltà a capire se una notizia è vera o falsa. Questo il quadro che emerge dalla ricerca demoscopica "Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos" condotta a maggio 2025 da AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione italiana (1.023 interviste su un campione 18-70enni residenti in Italia). Dall'indagine, promossa dall'Istituto nazionale per la comunicazione (Inc), emerge che la maggior parte degli intervistati (63,5%) dedica meno di 30 minuti al giorno all'informazione, con un 30,5% che si limita a 20 minuti o meno. Solo il 13,4% degli italiani si informa per un'ora o più. La Tv si conferma il mezzo più utilizzato regolarmente dagli italiani (70,8%), seguita da familiari, amici e conoscenti (61,6%), dai social network (60,0%) e dagli strumenti di messaggistica con canali dedicati (57,1% - un ‘salto’ in avanti enorme).Gli aggregatori di notizie (46,5%) e i siti/portali internet (42,6%) sono ampiamente utilizzati, superando in diffusione i quotidiani (40,4%) e i periodici/riviste (29,7%), sia cartacei sia online. I podcast e i video, sebbene in crescita (38,1%), non raggiungono ancora la radio (43,7%) e sono sempre più percepiti come intrattenimento a discapito dell’informazione. Quando si tratta di affidabilità, emerge un quadro più complesso. La Tv (42,3%) e i quotidiani (40,8%) sono considerati i più attendibili, quasi a pari merito. I familiari, amici e conoscenti, pur essendo una fonte ampiamente utilizzata, sono ritenuti affidabili solo dal 29% degli intervistati, allineandosi a siti e portali Internet (29,4%) e aggregatori di notizie (29,4%). La percezione di affidabilità di una notizia è fortemente legata a chi la diffonde e a come viene presentata. La maggioranza degli intervistati (45,7%) ritiene più affidabile una notizia data da un divulgatore non giornalista (scienziati, ricercatori, docenti), superando di poco i giornalisti (41,7%) segno di una crescente ricerca di competenze (vere o presunte) e autorevolezza specifiche. In netta minoranza si trovano influencer, youtuber, tiktoker (8,2%) e personaggi pubblici (17,6%). In mezzo alla classifica i rappresentanti delle Istituzioni e i politici (25.6%). La preoccupazione per le fake news è piuttosto diffusa: alla maggioranza degli intervistati capita di leggere una notizia e pensare che possa essere falsa (59,5% a volte, 24,2% spesso). La difficoltà nel capire se una notizia è falsa è percepita come media (così così per il 41,7%, abbastanza 34,2%, solo il 6,9% lo considera molto difficile). In sintesi, solo 4 su 10 ritengono che sia molto o abbastanza difficile. Un'alta percentuale di italiani (83,8%) ammette di aver creduto a notizie false in passato (10,3% più volte e 73,5% qualche volta). Un dato significativo è che il 42% ha condiviso notizie poi rivelatesi false. Di fronte a una notizia che smentisce le proprie convinzioni, la maggioranza tende ad approfondire e verificare con altre fonti, sia che la notizia provenga da giornalisti (64,9%) che da influencer (66,2%). Tuttavia, c'è una netta differenza nella reazione iniziale: se la notizia viene da un giornalista, solo il 7,1% tende a pensare che sia falsa, mentre questa percentuale sale al 24,5% se la fonte è un influencer. Sull'influenza e il controllo dell'informazione, la percezione è che i poteri economici (60,9%) e politici italiani (60,5%) siano i principali responsabili della diffusione di notizie "di parte" o fake news, seguiti dagli interessi delle piattaforme social (55,9%) e dai poteri politici esteri (55,8%). Come emerge dall'indagine, c'è una chiara richiesta di maggiore regolamentazione per tutti i comunicatori online: il 62,3% ritiene che le regole deontologiche dei giornalisti dovrebbero essere applicate a chiunque comunichi sui mezzi di informazione. Tuttavia, quasi la metà (50,1%) crede che anche molti giornalisti non rispettino tali regole. Il controllo delle fake news da parte delle piattaforme è un tema caldo. Il 65,0% degli intervistati ritiene che il gruppo di persone che controlla le notizie dovrebbe essere scelto senza preconcetti, e il 60,8% vede un rischio nel controllo basato solo sugli utenti. Interessante è la percezione di chi determina il flusso delle informazioni online: i giornalisti e i media tradizionali (45,1%) sono ancora visti come i principali attori, seguiti a ruota dalle piattaforme con i loro algoritmi (43,8%). Meno influenti in questo senso i cittadini che condividono contenuti sui social networks (28,0%), istituzioni e governi (27,1%) e – ancor meno - influencer e creator (16,5%). La maggior parte degli utenti (70,0%) è consapevole che siti e portali online mostrano notizie personalizzate in base alle loro abitudini. Questo è percepito come un rischio - sia perché tende a confermare le opinioni preesistenti degli utenti (59,9%) sia perché limita l'ampliamento degli interessi (61,8%) - più che un aiuto nel trovare le notizie rilevanti per loro senza fatica (40,7%). Infine, anche l'introduzione dell'Intelligenza Artificiale nella sintesi delle notizie è vista più come un rischio che come un aiuto: prevalgono i timori di informazioni non corrette (58,4%) e di una minore sollecitazione alla verifica delle fonti (57,0%), rispetto all’aiuto dato agli utenti (37,9%). “La ricerca offre spunti di riflessione cruciali - afferma Pasquale De Palma, presidente e amministratore delegato di Inc - anche per le strategie di comunicazione di brand e organizzazioni. Perché in un mondo dove tante persone trovano difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, il rischio che una fake news, alimentata da algoritmi, intelligenze artificiali e condivisioni inconsapevoli, possa danneggiare la reputazione di un’azienda o di una Ngo, è reale e tangibile. Ed è un rischio che va gestito con attenzione e professionalità”. “Bisogna anche avere il coraggio di dire che la disintermediazione oggi è un rischio per le democrazie, fortemente voluta da poteri politici ed economici e dagli interessi delle piattaforme social, che la guidano e la alimentano, sempre perseguendo un interesse personale che non coincide con la verità” commenta Paolo Mattei, vice presidente di Inc, che ha coordinato il gruppo di lavoro sulla ricerca.
(Adnkronos) - ll Comune di Venezia e Kinto Italia (gruppo Toyota) hanno inaugurato il primo car sharing pubblico di vetture a idrogeno in Italia. Tre Toyota Mirai, vetture elettriche alimentate a idrogeno, verranno posizionate presso il parcheggio multipiano di Piazzale Roma e agli arrivi dell’aeroporto Marco Polo. Le vetture saranno prenotabili via app e potranno essere rifornite presso la stazione di servizio Enilive di San Giuliano a Mestre in circa 5 minuti. Le tre vetture entrano nell’attuale flotta di car sharing che a Venezia conta 50 auto elettriche, oltre 6.000 utenti registrati e più di 63.000 noleggi effettuati che finora hanno permesso di risparmiare oltre 72 tonnellate di CO2 immesse nell’aria. “Questa collaborazione conferma la nostra volontà di investire in una mobilità sempre più pulita, moderna e integrata, in linea con la transizione ecologica che stiamo portando avanti a tutti i livelli. Non ci limitiamo a parlare di transizione energetica: la stiamo realizzando con azioni concrete. Venezia sta diventando un modello di riferimento nazionale, e questo progetto è un altro tassello concreto della Venezia del futuro: sostenibile, accessibile e all’avanguardia” ha detto il sindaco Luigi Brugnaro. ‘’Quello fra il Gruppo Toyota e il Comune di Venezia - ha ricordato Mauro Caruccio, CEO e Chairman di KINTO Italia e CEO di Toyota Financial Services Italia - è un legame profondo e di lunga durata. Il lancio del servizio di car sharing Toyota a Venezia, nel 2018, testimonia come la visione innovativa di entrambe le parti di realizzare una mobilità sostenibile per il Comune di Venezia sia rimasta concreta e coerente negli anni. Dal 2018 il servizio KINTO Share è composto da una flotta interamente elettrificata a basse emissioni, ad oggi 50 vetture, che contribuiscono in modo tangibile a ridurre le emissioni di CO2 ed NOx e rendono gli spostamenti degli utilizzatori estremamente semplici grazie ad un servizio 100% digitale e facile da usare’’. "L’inserimento a Venezia delle vetture elettriche a idrogeno Toyota Mirai segna un ulteriore passo verso una mobilità innovativa e rispettosa dell’ambiente, perché queste vetture hanno come unico prodotto di scarico l’acqua. Al contempo questi veicoli garantiscono, lato utilizzatore, un’esperienza di livello e in linea con quella dei veicoli tradizionali sia in termini di autonomia che di tempi necessari per effettuare il rifornimento. Ringraziamo il Comune di Venezia per averci dato la possibilità di portare il nostro servizio di car sharing ad un livello superiore, facendo ancora una volta da apripista sul territorio nazionale’’. L’avvio di Kinto Share a idrogeno a Venezia avviene al termine di una fase di test iniziata nel 2024, durante la quale le tre vetture Toyota Mirai sono state rese visibili a 10 utenti selezionati, frequenti utilizzatori del servizio, cui è stata data la possibilità di provare a titolo gratuito le vetture con la finalità di avere un sincero riscontro sul gradimento della vettura e dell’accessibilità a questa nuova tecnologia.