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(Adnkronos) - Dalla riapertura delle indagini sull'omicidio di Chiara Poggi, a 18 anni dal delitto, all'assalto alla redazione del quotidiano La Stampa, fino al caso della famiglia nel bosco, sono molti i fatti di cronaca che hanno segnato il 2025. Ecco quelli salienti: Anche nel 2025 ci sono stati numerosi casi di femminicidio. Tra il 1 gennaio e il 30 settembre, secondo i dati del Viminale, sono 73 le donne uccise, 44 per mano del partner o dell'ex partner. Tra i delitti che più scuotono l'opinione pubblica c'è quello di Ilaria Sula. La giovane scompare il 25 marzo. Il suo corpo viene ritrovato in una valigia in fondo a un dirupo nella zona di Capranica Prenestina qualche giorno dopo. Il suo ex fidanzato, Mark Antony Samson, confessa il delitto avvenuto nell'appartamento di via Homs, nel quartiere Africano, a Roma, dove il giovane viveva con i genitori. Ilaria viene uccisa con tre coltellate al collo. Il 12 novembre scorso per Samson è iniziato il processo con giudizio immediato. I giudici della Terza Corte di Assise di Roma gli contestano l'accusa di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione, oltre a quelle dei futili motivi e della relazione affettiva con la vittima e l’occultamento di cadavere. La madre di Samson, Nosr Manlapaz ha patteggiato una pena di due anni per il reato di occultamento di cadavere. A marzo si riaprono le indagini sull'omicidio di Garlasco, a 18 anni dal delitto, con l'iscrizione di Andrea Sempio sul registro degli indagati con l'accusa di omicidio in concorso. Il focus è sull'impronta 33, trovata su un muro vicino alle scale dove venne trovato il corpo di Chiara Poggi, che la procura attribuisce ad Andrea Sempio. Poi c'è il Dna sulle unghie della vittima che secondo le perizie sarebbe compatibile con la linea genetica maschile della famiglia Sempio. Ad aprile sul monte Faito la rottura di un cavo fa precipitare una funivia: il bilancio è di quattro morti e un ferito grave. Il 15 maggio per l'incidente vengono iscritte 25 persone nel registro degli indagati. Tra questi ci sono anche l'amministratore di Eav, Umberto De Gregorio, tecnici e funzionari Ansfisa, che hanno effettuato i controlli alla funivia, e ancora referenti della società Franz Parth & Co, che si sono occupati della manutenzione e del rifacimento delle "teste fuse'". Secondo l'accusa, sarebbe stato certificato falsamente il corretto funzionamento della funivia. Le indagini, coordinate dalla Procura di Torre Annunziata, abbracciano gli ultimi anni di manutenzioni e controlli all'impianto di risalita che dal centro di Castellammare di Stabia collegava con quota 1131 metri. Il 18 aprile la Corte d'Assise di Appello di Bologna conferma l'ergastolo in secondo grado per i genitori di Saman Abbas e condanna all'ergastolo i due cugini che erano stati assolti in primo grado rideterminando la pena per lo zio da 14 a 22 anni. Riconosciute anche le aggravanti di premeditazione e futili motivi. Secondo la sentenza quindi Saman Abbas è stata uccisa da tutta la famiglia. Il 7 giugno nel parco di Villa Pamphili a Roma vengono trovati i cadaveri di Anastasia Trofimova, uccisa per soffocamento, e della figlioletta di 11 mesi Andromeda, per strangolamento. In carcere per il duplice omicidio c'è Francis Kaufmann, il 46enne americano, padre della bambina, rintracciato in Grecia diversi giorni dopo il ritrovamento dei corpi e poi trasferito in Italia. Il 30 giugno, una forte scossa di terremoto si verifica nella zona dei Campi Flegrei e in diverse parti di Napoli: la magnitudo di 4.6, la più alta registrata negli ultimi 40 anni nell'area flegrea. Non ci sono danni a persone. A Bacoli crolla un costone sull'isolotto Pennata. Ad agosto viene sgomberato il centro sociale Leoncavallo a Milano. A dicembre è il turno di un altro centro sociale storico, l'Askatasuna di Torino. La situazione a Gaza ha forti ripercussioni nelle piazze italiane: le manifestazioni si svolgono in tutto il Paese nel corso di tutto l'anno. In particolare a inizio ottobre, dopo il blocco della Global Sumud Flotilla da parte di Israele, le proteste a sostegno del popolo palestinese esplodono numerose in tutta Italia: da Roma a Bologna, da Torino a Brescia, fino a Milano e Napoli. Il 14 ottobre tre carabinieri, Valerio Daprà, Marco Piffari e Davide Bernardello, muoiono e 18 tra agenti di polizia e militari rimangono feriti nell'esplosione durante lo sgombero di un casolare a Castel d'Azzano in provincia di Verona. In carcere finisce Maria Luisa Ramponi, 59 anni, la donna che ha innescato l’esplosione. I due fratelli, Franco e Dino, entrambi illesi e arrestati poco dopo dai carabinieri nei pressi del casolare, non erano nella casa nel momento esatto dell’esplosione. Lo stesso giorno Filippo Turetta rinuncia al processo d'Appello per il femminicidio di Giulia Cecchettin. In una lettera inviata a vari organi giudiziari esprime pentimento e la condanna all'ergastolo in primo grado a suo carico diventa sentenza definitiva. Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre un ordigno esplode davanti casa del giornalista Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, a Campo Ascolano, comune di Pomezia, alle porte di Roma. La deflagrazione distrugge l'auto del giornaliste e danneggia quella della figlia parcheggiate proprio davanti casa. Sull'attentato sono in corso le indagini. L'episodio viene considerato un grave attacco alla libertà di stampa. Il 28 novembre durante la giornata di sciopero nazionale dei giornalisti per il rinnovo del contratto di lavoro e a difesa della qualità dell’informazione democratica, libera e plurale un centinaio di manifestanti fanno irruzione nella redazione centrale del quotidiano La Stampa in via Lugaro a Torino. I manifestanti in parte a volto scoperto e in parte con passamontagna forzano la porta della sede al grido di 'Giornalista terrorista, sei il primo della lista', invadono la redazione, imbrattando muri con scritte e buttando all’aria libri e carte preziose. Il gesto viene subito bollato come un gravissimo attacco alla libertà di stampa, alla democrazia e al diritto dei cittadini di essere informati. Per l'assalto vengono identificate e denunciate trentaquattro persone. A novembre esplode a livello nazionale il caso della famiglia nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti: madre e padre, Catherine e Nathan Trevallion Birmingham, di origine anglo-australiana, vivono in un casolare isolato nei boschi, con i loro tre bambini, una di otto anni e due gemelli di sei. I genitori hanno sempre difeso la decisione di crescere i figli, immersi nella natura, optando per l’istruzione domestica con l’aiuto di un’insegnante privata molisana ma in base a una decisione del Tribunale per i minorenni dell’Aquila i bimbi vengono trasferiti con la madre in una struttura protetta. La vicenda attira l'attenzione dei media nazionali e dei social, dove oltre 13mila persone firmano una petizione online a sostegno della famiglia. La scelta dei genitori di vivere lontano dai centri urbani, senza collegamenti a elettricità, acqua e gas, scatena un acceso dibattito tra chi sostiene lo stile di vita alternativo e chi lo critica. Anche la politica si divide sul caso tra i favorevoli e i contrari alla decisione dei giudici. A portare la vicenda all’attenzione della procura minorile dell’Aquila era stato, lo scorso anno, un ricovero ospedaliero dei bambini a seguito di un’intossicazione da funghi. Un controllo dei carabinieri nella casa aveva portato a una segnalazione che aveva comportato la sospensione della potestà genitoriale, senza però interrompere l’affidamento dei minori alla famiglia. Il 19 dicembre un altro colpo di scena nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, a quarantadue anni dalla sparizione, avvenuta il 22 giugno del 1983. Nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma viene iscritta sul registro degli indagati una donna con l'accusa di false informazioni al pubblico ministero. Si tratta di un'ex allieva della scuola di musica frequentata anche da Emanuela Orlandi, L.C., che all'epoca dei fatti, era di qualche anno più grande di Emanuela e cantava con lei nel coro. La donna sarebbe stata indicata da alcuni testimoni come l'ultima ad aver visto Emanuela prima della scomparsa. Il nuovo impulso alle indagini è arrivato dall’approfondimento di elementi e testimonianze in particolare sulle ore precedenti alla scomparsa.
(Adnkronos) - Un 2025 che per illycaffè si chiude "con 690 milioni di fatturato, con un +10% rispetto al 2024, nonostante l'aumento del 50% del costo della materia prima". E' quanto annuncia in un'ampia intervista ad Adnkronos/Labitalia Cristina Scocchia, ad dello storico marchio del caffè made in Italy, sottolineando che il 2026 che si prospetta "ancora più difficile per i costi elevati della materia prima, ma guardiamo con ottimismo per aumentare ancora i fatturati". E nel 2026 si va anche verso l'inizio della produzione negli Usa di una parte del prodotto destinato a quel mercato, e la soluzione, annuncia la manager, "potrebbe essere quella di firmare un accordo di partnership negli Usa con un produttore locale perché questo riduce i tempi". Cristina Scocchia, siamo arrivati al termine di questo 2025, un anno complesso per il mondo da diversi punti di vista. Per le tensioni geopolitiche e le guerre, per le difficoltà che l'hanno attraversato. Ma per illycaffè che anno è stato il 2025 e quali i numeri che avete raggiunto? E' stato un anno molto complesso a livello macroeconomico e geopolitico. E in particolare lo è stato per il mercato del caffè, perché il costo della materia prima, il cosiddetto caffè verde, soprattutto per l’arabica che è la qualità che noi scegliamo, è aumentato a livello mondiale del 50%. Quindi è ovvio che quando hai, da una parte il contesto macroeconomico e geopolitico che comunque riduce il potere d'acquisto delle famiglie, dall'altra come settore specifico e come industria ti trovi a lottare con una materia prima in aumento del 50%, ovviamente la montagna da scalare è abbastanza alta. Nonostante tutto questo però noi siamo estremamente soddisfatti di questo 2025 perché chiuderemo a circa 690 milioni di fatturato, quindi siamo vicini a quella che è la milestone di 700 milioni di euro e questo rappresenta una crescita del 10% rispetto al 2024. La cosa importante è che questa crescita a doppia cifra è una crescita che abbiamo raggiunto in maniera strategica, ovvero diffusa in tutti i mercati e in tutti i Paesi. L'Italia, che è il nostro Paese più importante e rappresenta il 30% dell'azienda, è cresciuta dell'11% circa, se non succede nulla di male in queste ultime giornate dell'anno, e gli Stati Uniti, che per noi sono il secondo mercato più rilevante, sono cresciuti tra il 19 e il 20%, a secondo di come andrà il Natale. L'Europa, che avevo dichiarato ad inizio anno essere per noi una nuova priorità sta crescendo di oltre 22%. Numeri importanti quindi che alzano anche le aspettative per il 2026. Con questi numeri realizzati nel 2025 cosa vi aspettate dal 2026, quali sono i progetti per il prossimo anno? Purtroppo noi ci aspettiamo che il 2026 sia ancora più difficile dal punto di vista del costo della materia prima. E questo perché nonostante il presidente Trump abbia rimosso lo scorso novembre i dazi del 15% sul caffè, la bolla inflazionistica non si è ridotta. E Trump ha fatto anche un'altra cosa: ha cancellato i dazi del 50% che gravavano sulle importazioni negli Stati Uniti di alcuni prodotti brasiliani, tra cui il caffè verde. Il Brasile è il più grande produttore al mondo di caffè, gli Stati Uniti sono il più grande consumatore al mondo di caffè e quindi il fatto che il caffè verde venisse importato negli Stati Uniti con questo dazio del 50% aveva creato una bolla inflazionistica importante che aveva spinto e mantenuto per mesi il costo del caffè verde a circa 400 centesimi per libbra. Quando tutti questi dazi sono stati rimossi ci siamo augurati che ci fosse una rapida discesa del costo della materia prima, ma purtroppo questo non è avvenuto. C'è stata sì la discesa, siamo contenti di vedere che dopo tante, troppe settimane, a oltre 400, ora siamo intorno ai 350-360 centesimi per libbra, ma stiamo comunque parlando di quasi tre volte il costo storico, che tra il 2015 e il 2021 era tra i 100 e i 130 centesimi per libra. Ovviamente un tale aggravio di costi sarà impattante anche sul 2026, perché noi stiamo già comprando adesso quelle che sono le scorte dell'anno prossimo. Il processo di produzione dalla tostatura all’immissione sul mercato dura infatti dai 6 ai 9 mesi. Quindi molti dei costi che avremo nel 2026 sono determinati dagli acquisti di caffè verde che stiamo facendo in questo momento. Di conseguenza ci aspettiamo un 2026 comunque con dei costi elevati, ma la crescita che abbiamo realizzato quest'anno, che è una crescita organica data dalla conquista di nuovi clienti e nuovi consumatori, ci fa guardare con ottimismo all'anno che verrà. Pensiamo che nonostante il prezzo del caffè verde rimarrà presumibilmente alto, comunque riusciremo a continuare a crescere a livello di fatturati e ritornare a crescere anche a livello di profitto. Questo aumento dei costi secondo lei, almeno per quanto riguarda voi, si riverserà anche sul costo per il consumatore finale o continuerete, come avete fatto, a cercare di ridurre al minimo questi impatti? Noi continueremo a cercare di ridurre al minimo l'impatto sui consumatori finali, però è purtroppo necessario adeguare il listino. Perché? Perché il costo della materia prima è veramente troppo alto, perché le aziende possano, non solo illycaffè, assorbire in toto questi aumenti di costi di produzione. C'è un limite a quanto puoi comprimere la marginalità dell'azienda, oltre a questo limite l'azienda perde competitività perché non ha più risorse da investire in innovazione, in persone, in crescita a livello internazionale. Quindi così come abbiamo fatto l'anno scorso, anche nel 2026, rivedremo e ritoccheremo verso l'alto il listino ma lo faremo in maniera contenuta, accettando di trattenere sulle nostre spalle una parte dell'incremento della materia prima e riversando a valle sul consumatore finale una porzione contenuta, quanto necessario per avere dei margini che siano sani. Quindi ci potranno essere degli aumenti del costo della tazzina di caffè anche al bar? Quelli non dipendono da noi. Noi ritocchiamo i listini verso la grande distribuzione organizzata piuttosto che verso i nostri clienti, degli hotel, dei bar e dei ristoranti. L’aumento che il barista e il ristoratore decidono di fare sul consumatore finale è una decisione loro, indipendente. Però è logico pensare che se vedono aumentare i propri costi anche i baristi e i ristoratori debbano a loro volta aumentare il prezzo che richiedono ai clienti finali, perché anche loro devono avere una marginalità che sia sana. Sono anche loro degli imprenditori che danno lavoro e che hanno necessità di generare comunque un business sano. Prima dello stop del 13 novembre come hanno impattato i dazi Usa sul vostro business? State ancora riflettendo sull'apertura di uno stabilimento di produzione in Usa? I dazi al 15% hanno avuto un impatto significativo per noi tra aprile e la fine dell'anno, perché comunque anche quando sono stati aboliti a metà novembre gli stock da vendere sul mercato americano avevano già attraversato la dogana e pagato il dazio al 15%. Quindi sul 2025 non abbiamo avuto benefici dalla loro rimozione. Ci aspettiamo però, se le cose resteranno così, un impatto positivo e significativo sul 2026. Per quanto riguarda la nostra volontà di andare comunque a produrre una parte di quello che vendiamo sul mercato americano direttamente in Usa questa rimane. Perché come ho dichiarato anche in passato la nostra volontà di avere un presidio produttivo locale era ed è indipendente dalla presenza dei dazi, anche se ovviamente questi hanno accelerato i tempi. E' una decisione strategica che va al di là della contingenza perché gli Stati Uniti rappresentano il 20%, quindi un quinto dell'azienda ed è importante avere lì un presidio produttivo. Abbiamo valutato molte opzioni e alla fine abbiamo deciso che la soluzione migliore per noi potrebbe essere quella di firmare un accordo di partnership con un produttore locale perché questo riduce i tempi. Invece comprare il terreno, costruire la fabbrica, metterci dentro le linee di montaggio, fare training agli operai per essere a regime dopo due anni, due anni e mezzo, sarebbe stata una soluzione di troppo lungo termine. L'accordo di partnership con un partner locale, bravo e di qualità, ci permetterebbe all'inizio dell'anno prossimo di iniziare a produrre tra il 15 e il 20% dei prodotti dedicati al mercato americano direttamente in loco, riducendo i costi di logistica e l'impatto ambientale e poi ci permetterebbe anche di essere più vicini ai gusti dei consumatori americani perché producendo in loco hai una presa più diretta con quello che è il consumatore locale. Voi avete sempre sottolineato che il cuore dell'azienda rimane in Italia, con gli investimenti che state realizzando a Trieste. A che punto sono? Gli investimenti a Trieste non solo sono stati confermati ma sono stati incrementati. Spenderemo infatti oltre 130 milioni e siamo già ad un buon tasso di realizzazione. Quest'estate durante la pausa estiva, proprio in agosto, abbiamo installato una nuova linea di montaggio per produrre il nostro prodotto più iconico che è il barattolino da 250 grammi e stiamo lavorando a spron battuto per completare i lavori della nuova e tosteria che inaugureremo nei prossimi mesi. Raddoppieremo la capacità di tostatura perché grazie alle crescite molto sostenute negli ultimi tre anni eravamo arrivati a saturazione degli impianti. E grazie alla crescita dello stabilimento abbiamo avuto la possibilità anche di ampliare l'organico assumendo direttamente nel 2025 circa 100 persone su Trieste. Questo credo che sia il segno più concreto di quanto siamo made in Italy, di quanto noi continuiamo ad investire e a generare lavoro nel nostro Paese. Per quanto riguarda la quotazione in Borsa, che novità ci sono alla luce di tutte queste cose che abbiamo messo in campo, la difficoltà, ma anche la volontà di continuare a investire sia in Italia che all'estero? Noi continuiamo a credere che la quotazione in Borsa sia una possibilità concreta per illycaffè. Detto questo è chiaro che ci vogliono due condizioni. Da una parte l'azienda deve avere un track record di risultati importanti e questi negli ultimi quattro anni non sono mancati quindi dal punto di vista interno nostro saremmo pronti, però ci vuole anche un mercato che sia pronto. Ci vogliono le condizioni endogene, ma anche quelle esogene. A livello di condizioni esogene, proprio il contesto macroeconomico, geopolitico e soprattutto il prezzo del caffè verde ancora così alto, ci fanno pensare che il 2026 non sia l'anno giusto per la quotazione. Quindi il progetto c'è e rimane, però la conferma del se e quando, verrà presa nel momento in cui finalmente il caffè verde scenderà. Cosa che noi auspichiamo succeda entro la fine del 2026, entro quella data speriamo di poter confermare se e quando si realizzerà questa IPO di cui appunto abbiamo parlato. Dal suo punto di vista come giudica la manovra economica e il comportamento del governo in vista di questo 2026, con quello che si sta mettendo in piedi anche come sostegno alle imprese? Io credo che la gestione prudente e oculata del bilancio pubblico a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni abbia dato dei risultati concreti. Lo spread è sceso ai minimi, che è un segno di fiducia nei confronti del nostro Paese e quindi è un indicatore importante per quanto riguarda l'attrazione di investimenti esteri in Italia. Vediamo che i rating continuano a premiare il nostro Paese, anche questa è un'iniezione di fiducia e quindi io credo che questa gestione oculata e prudente stia dando i propri frutti. Poi ovviamente tutto ciò che può essere fatto a sostentgo della competitività e degli investimenti è benvenuto. Il problema delle aziende è che gli investimenti richiedono delle uscite di cassa oggi per ricavi e profitti futuri. E quindi è ovvio che tutto ciò che può essere messo in campo per aiutare le aziende ad investire di più ne aumenterà competitività e di conseguenza la capacità di generare lavoro. E come giudica invece l'atteggiamento dell'Unione Europea verso le imprese? Noi ci chiediamo, giustamente, cosa può fare l'Italia per le imprese italiane ma a me piacerebbe che anche l’Europa facesse la sua parte. Noi nel mercato europeo ci crediamo, ci investiamo, però a me personalmente piacerebbe vedere un'Europa che diventa molto più concreta e parla molto di più di industrial deal. Mi piacerebbe vedere un'Europa che mette ingenti risorse in comune e le investe su alcune priorità chiave, come ad esempio il recupero del gap tecnologico che abbiamo a livello di digitale e in particolare di intelligenza artificiale. Mi piacerebbe un'Europa molto attiva sulla riduzione del costo dell'energia, perché questo è un fattore competitivo importantissimo. Se noi aziende europee, e ovviamente anche le italiane, continuiamo a pagare l'energia due, tre volte quello che fanno i nostri competitors in altri Paesi del mondo, non saremo mai in una condizione di giocarcela alla pari. Da ultimo vorrei vedere un’Europa che si impegna sul fronte della semplificazione. La burocrazia, le norme che sono diverse in ogni Paese e spesso in contrasto, rappresentano dei 'dazi' per le aziende molto più grandi di quelli che ci aveva imposto Trump. Certe volte è più difficile esportare nei paesi europei che non dall'altra parte del mondo. Su questi tre fronti, secondo me, l'Europa deve fare la differenza e la deve fare ora che il contesto macroeconomico è così complesso, ora che è tornato il protezionismo. Serve una wake up call. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - Mundys mette in campo una nuova società Benefit dedicata alla lotta al cambiamento climatico. Neya, questo il nome del nuovo asset controllato al 100%, sarà focalizzata sulla selezione e adozione di iniziative prevalentemente “nature based” per la rimozione del carbonio, con l’obiettivo di produrre crediti CO2 utili per la decarbonizzazione delle infrastrutture di trasporto nelle quali opera Mundys, a livello globale. Sono limitate, ad oggi, le società nate in Europa con l’obiettivo della rimozione di CO2; ciò ha motivato la scelta di Mundys di avviare questa iniziativa sperimentale, allo scopo di verificare la solidità di questa innovativa branca di business. Il valore del mercato internazionale dei crediti di carbonio nel 2024 è stato di circa 115 miliardi di dollari, per il 2030 le stime prevedono circa 300 miliardi di dollari, con possibilità di crescita fino a oltre 500 miliardi. E’ in questo contesto che Neya si inserisce con la propria missione per la rimozione permanente di CO2 dall’atmosfera, attraverso soluzioni come il rimboschimento e la gestione sostenibile di foreste e terreni agricoli, promuovendo la sostenibilità ambientale e sociale. Neya diventa immediatamente operativa in Madagascar con la promozione di un progetto di riforestazione per 500 ettari lungo le coste a Nord dell’isola (nelle zone di Sofia e Melaky). Il ripristino delle piantagioni in aree deforestate localmente negli ultimi decenni contribuirà alla rimozione di CO2, grazie alla particolare tipologia di piante prescelte. Le mangrovie, infatti, sono foreste costiere tropicali formate da alberi e arbusti capaci di vivere in acque salmastre tipicamente lungo le coste, le foci dei fiumi e le lagune. Hanno radici aeree che spuntano dal fango o dall’acqua e sono fondamentali perché proteggono le coste dall’erosione e dalle tempeste, ospitano molte specie di pesci, uccelli e crostacei, e immagazzinano grandi quantità di carbonio. Il progetto, denominato “Ma Honko”, si avvale di un’azienda locale che genererà occupazione sul territorio nello spirito di produzione di valore lungo la filiera, al centro della strategia di business sostenibile della visione di Mundys. L’attività detiene i requisiti per ottenere la certificazione Gold Standard, ente internazionale che attesta la qualità e la credibilità dei progetti che riducono le emissioni di gas serra, assicurando al contempo benefici sociali e ambientali misurabili. I crediti di carbonio generati, nel tempo, potranno così contribuire a compensare le emissioni delle infrastrutture di Mundys, a loro volta in corso di progressiva riduzione grazie all’esecuzione del framework di sostenibilità messo in campo dalla Capogruppo. Una strategia, quella ESG di Mundys, trasparente e responsabile e che le ha appena nuovamente fatto conseguire – per il terzo anno consecutivo – il livello A-list, massimo score rilasciato da CDP (ex Carbon Disclosure Project), rating internazionale di riferimento per la valutazione delle performance climatiche e ambientali su oltre 25.000 aziende. Lungo la roadmap di sostenibilità della Capogruppo sono molti i traguardi segnati fin qui, anche in termini di leadership innovativa, solco nel quale Neya sembra segnare il prossimo passo. Mundys è stata, infatti, tra le prime società in Italia a dotarsi di un Climate Action Plan per promuovere la transizione energetica e la decarbonizzazione delle attività economiche lungo tutta la catena del valore in ambito aeroportuale, autostradale e dei servizi di mobilità, ponendosi obiettivi chiari e concreti, tra i quali l’azzeramento delle emissioni nette dirette (Scope 1 & 2) entro il 2040.