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(Adnkronos) - Nuova arma nella battaglia contro le chiamate indesiderate e le truffe telefoniche. L'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha avviato una consultazione pubblica, che avrà durata di 45 giorni, sulla proposta di modifica del Piano di numerazione, ''volta a introdurre l’utilizzo di numerazioni brevi come numero chiamante per chiamate e/o messaggi, anche destinati ad attività di teleselling e telemarketing''. L'Agcom intende quindi introdurre numeri brevi a tre cifre per riconoscere subito le chiamate commerciali e potenzialmente moleste. Un'operazione che ''si rende necessario in un contesto di mercato caratterizzato da modalità aggressive di contatto della clientela per teleselling e telemarketing, collegate a tentativi di frode''. Tali condotte, sono molto spesso collegate alla pratica del Cli spoofing finalizzata a rendere non rintracciabile l’autore della frode, oltre a eludere le norme nazionali sulla privacy e sul registro delle opposizioni. L’Autorità, nell’ambito della propria azione regolatoria e di vigilanza finalizzata ad ''assicurare la trasparenza delle offerte di servizi di comunicazione elettronica a tutela degli utenti'', con due delibere ha adottato una serie di misure di contrasto allo spoofing proveniente dall’estero mediante chiamate da numeri fissi e mobili italiani, stabilendo l’obbligo di bloccare le chiamate illecite (fatte salve quelle di utenti in roaming all’estero). Ha, inoltre, chiarito le responsabilità di controllo e correzione in capo agli operatori, quando ricevono chiamate voip originate nel territorio nazionale. Queste disposizioni sono divenute pienamente operative dal 19 novembre scorso, facendo registrare risultati estremamente positivi. Se l'esito della consultazione darà quindi esito positivo, la rivoluzione che travolgerà il settore del telemarketing potrebbe arrivare già nei primi mesi del 2026. L'introduzione della numerazione a tre cifre renderà immediatamente possibile per l'utente riconoscere le chiamate commerciali o provenienti da call center e soprattutto difendersi da quelle provenienti dall'estero, intensificatesi negli ultimi mesi, con le truffe telefoniche che si sono evolute utilizzando il cosiddetto, e già citato, spoofing. Lo spoofing è l'ultima frontiera della truffa telefonica. Si tratta di una tecnica utilizzata per ingannare fingendosi qualcun altro o, in questo caso, fingendosi un altro numero. I call center stranieri falsificano quindi il prefisso, facendo apparire sul display del malcapitato un numero italiano, così da avere maggiori probabilità di risposta da parte dell'utente. La truffa, in ogni caso, può avvenire in varie modalità: per email, inviando quindi un messaggio con un indirizzo falso, che però assomiglia a un ente reale e può quindi trarre facilmente in inganno un occhio non attento; falsificando l'indirizzo IP, facendo quindi sì che sembri che il traffico arrivi da un altro computer. In Italia, come detto, negli ultimi mesi è suonato forte l'allarme per il boom di chiamate provenienti da prefissi stranieri. La truffa, in questo caso, avviene spesso promettendo posti di lavoro o facili guadagni, ed è volta ad hackerare i dispositivi dei malcapitati, a rubare i loro dati personali o a estorcere denaro. La maggior parte delle volte a rispondere non sono persone fisiche ma voci elettroniche o registrate, mentre i messaggi arrivano su app di messaggistica come WhatsApp o Telegram. Oltre al messaggio di testo in allegato si trovano link che rimandano a pagine che possono contenere virus o portare i truffatori ad accedere ai dispositivi o ai dati personali. La soluzione però, per non cadere in queste trappole, è semplice: non rispondere e bloccare ogni numero sospetto, sia cellulare o fisso. Prefissi come +44, +46 o +31, tra i più frequenti e appartenenti rispettivamente a Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi, possono essere 'indizi' fondamentali per riconoscere potenziali truffe. Mai, inoltre, richiamare in caso di chiamata persa o squillo volutamente breve. Si tratta infatti di un tipo diverso di truffa, volto a far spendere un'enormità del credito cellulare dell'utente e appropriarsi direttamente della cifra in questione, oppure ad attivare abbonamenti a pagamento indesiderati.
(Adnkronos) - Un incontro speciale, carico di significato umano, quello che si è svolto questa mattina in Vaticano, nel corso dell’udienza privata tra i consulenti del lavoro e il Santo Padre. Un’occasione per sottolineare il ruolo sociale della categoria, fortemente impegnata nel favorire l’inserimento socio-lavorativo delle persone più fragili e nel promuovere un lavoro sicuro, dignitoso e inclusivo. Valori e funzioni che trovano spazio nel volume 'Lavoro, persone, comunità. I consulenti del lavoro nel Giubileo della Speranza', donato a Papa Leone XIV. Progressi e limiti dell’inclusione nel mercato del lavoro italiano sono al centro anche della fotografia scattata per l’occasione dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro in un focus sui diversi segmenti della popolazione che vivono situazioni di fragilità, sulle motivazioni che ostacolano l’inclusione e sui risultati ottenuti finora. I dati che emergono dalla nota evidenziano segnali incoraggianti sul fronte del mercato occupazionale. Il numero dei Neet si è ridotto di quasi 1 milione di unità negli ultimi anni, pur restando ancora oltre 2 milioni di giovani esclusi da percorsi di lavoro o formazione. Miglioramenti, seppur graduali, si registrano anche per le persone con disabilità, il cui tasso di occupazione è cresciuto nel tempo (il 41,8% risulta occupato) così come sono aumentate le iniziative di formazione e lavoro rivolte agli ex detenuti. Accanto a questi elementi positivi, permane un’area di inclusione debole, legata al lavoro sommerso e alla povertà educativa e lavorativa, che richiede interventi mirati per rafforzare qualità e stabilità dell’occupazione. Ed è proprio in questo contesto che il ruolo dei consulenti del lavoro assume una valenza strategica. “L’incontro con il Santo Padre è stato un momento di grande valore umano e simbolico, che ha contribuito a rafforzare il nostro ruolo sociale, ricordandoci come il lavoro debba essere prima di tutto uno strumento di dignità, inclusione e servizio verso i più fragili: è questa la missione che ogni giorno anima il nostro impegno nel sostenere lavoratori e imprese, nel contrastare le disuguaglianze e nel costruire opportunità per chi è ai margini del mercato del lavoro”, ha commentato il presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca. “Cerchiamo di costruire il domani garantendo il diritto alla pensione ai colleghi. Lavoriamo anche per garantire assistenza e aiuto sulla previdenza, sulla sanità e a tutte quelle attività che garantiscono il benessere e le prospettive future dei consulenti”. A dirlo Sergio Giorgini, presidente Enpacl, nel corso dell’evento ‘Costruire il domani-etica, valori, sostenibilità, legalità’, promosso dal Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, dall’Enpacl, dalla Fondazione studi e dalla Fondazione Lavoro. “Questo è un Governo stabile che sta producendo risultati positivo dal punto di vista dell’occupazione. Credo che sia importante, in tutte le scelte che facciamo, mantenere il rigore della competenza e dei valori etico-professionali; aspetti questi che fanno la differenza”. A dirlo Marina Calderone, ministro del Lavoro e delle politiche sociali, nel corso dell’evento. “Non c’è inclusione senza lavoro; aver bisogno di un sostegno non è una condizione da cui non si può uscire, anzi - avverte - un sostegno serve per poi entrare nel mercato del lavoro”. “Diminuiscono gli infortuni nel settore strettamente lavorativo - osserva - ma aumentano quelli in itinere. E proprio su questo dobbiamo lavorare. Con il decreto sicurezza che oggi approviamo ci prenderemo cura dei superstiti minori che hanno perso un genitore sul lavoro, pagando borse di studio per essere accompagnati serenamente nel mercato del lavoro. Il 2026 - assicura - ci porterà un ulteriore impegno per la realizzazione di norme che non devono essere però attuate con gli occhiali del passato”. “Oggi - sostiene Fabrizio D’Ascenzo, presidente Inail - è una giornata storica perché si sono incastrate tre questioni fondamentali: conversione in legge del decreto sicurezza, la pubblicazione del nuovo bando Isi e l’evento organizzato dai consulenti del lavoro mi dà l’occasione di parlarne. I consulenti del lavoro conoscono benissimo l’attività dell’Inail; con la categoria abbiamo stipulato una convenzione per collaborare su formazione e informazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Noi cerchiamo di fare in modo che con la prevenzione, il prima, si possa evitare il dopo. La nostra ricerca ci consente di ottenere tecnologie utilissime per la prevenzione. L’Ia generativa consente di ottenere qualcosa in più che noi autonomamente non possiamo ottenere però va governata. Lo strumento ci consente di evitare che il prima possa condizionare il dopo nella vita di una persona”. “Bisogna investire nel lavoro per far sì che le persone con disabilità nel nostro Paese diminuiscano. Incentiviamo le imprese a dedicare 1 ora per attività sul posto di lavoro dei dipendenti, defiscalizzando quell’ora”. A dirlo Francesco Vaia, Autorità garante nazionale diritti persone con disabilità. “La disabilità - spiega - nasce dalla genetica, dall’infortunistica che non è solo sul lavoro, ma anche sulla strada e domestica, e dall’invecchiamento non attivo. Oggi il mondo del lavoro è la più grande infrastruttura dinamica esistente sia sul pubblico che sul privato e su questo bisogna intervenire per aiutare il mondo dei disabili”. La povertà educativa rappresenta una delle principali dimensioni strutturali di fragilità nel mercato del lavoro italiano, in quanto incide in modo persistente sulla capacità delle persone di accedere, mantenere e valorizzare un’occupazione, amplificando il rischio di esclusione lavorativa e di inclusione debole anche in presenza di crescita dell’occupazione. Quasi il 40% degli italiani tra i 20 e 64 anni che hanno al massimo un livello di istruzione medio restano fuori dal mercato del lavoro perché inattivi, mentre un altro 10% circa non riesce ad accedere ad un’occupazione, pur ricercandola. Emerge dalla nota, presentata oggi dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, 'Progressi e limiti dell'inclusione del mercato del lavoro italiano'. Il livello di inclusione dei soggetti a bassa scolarità risulta sensibilmente inferiore rispetto alle fasce di popolazione con livelli di istruzione più elevati, tra le quali diminuisce sia la propensione all’inattività (è del 26,9% tra i diplomati e del 14,9% tra i laureati) che la difficoltà di inserimento occupazionale (il tasso di disoccupazione è del 6,2% tra i diplomati e 3,4% tra i laureati). Si tratta di un fenomeno fortemente caratterizzato dal punto di vista geografico: al Sud, non solo la quota di soggetti a bassa scolarità è più alta del resto d’Italia (tra i 25 e 64 anni arriva al 45,6% contro il 37,5%), ma il rischio di esclusione dal mercato del lavoro è decisamente superiore: è inattivo il 50,1% della popolazione a bassa scolarità (contro valori medi di poco superiori al 30% nelle altre macroaree) mentre il 16,7%, pur cercando lavoro, non riesce a trovarlo (contro un valore che oscilla dal 5,8% nel Nord Ovest, 5,2% nel Nord Est e 6,8% nel Centro). Per quanto la povertà educativa resti un elemento di forte criticità nel nostro Paese, negli ultimi anni, le maggiori opportunità create da un mercato del lavoro estremamente dinamico, che ha visto anche nel Mezzogiorno crescere i livelli occupazionali, hanno favorito una maggiore efficacia delle politiche volte all’inclusione dei segmenti di più difficile collocazione. Il tasso di inattività, infatti, è ritornato sui livelli pre-Covid, dopo avere registrato tra 2020 e 2022 un incremento significativo (42,2 nel 2020) mentre quello di disoccupazione è diminuito dal 14,4 del 2018 al 13,2 del 2021, fino all’attuale 9,6% con un decremento particolarmente marcato nell’ultimo triennio. In parte collegato ma non sovrapponibile, è il fenomeno dei Neet. Questo, se da un lato può rappresentare l’esito diretto di percorsi di povertà educativa, caratterizzati da bassi livelli di istruzione, competenze di base insufficienti e transizioni scuola–lavoro fragili o interrotte, dall’altro include situazioni riconducibili a fattori ulteriori, quali la debolezza della domanda di lavoro locale, la precarietà dei percorsi di ingresso nel mercato del lavoro, i carichi familiari, le condizioni di salute o lo scoraggiamento prolungato. Un fenomeno che pur restando strutturale - sono ancora 2 milioni 79 mila i giovani di 15-34 anni non inseriti in percorsi di lavoro o istruzione, pari al 17,3% delle popolazione in tale fascia d’età - ha tuttavia registrato negli ultimissimi anni un drastico ridimensionamento, riconducibile in parte al rafforzamento della domanda di lavoro in alcuni settori a elevata intensità occupazionale, in parte all’espansione e alla maggiore focalizzazione delle politiche pubbliche rivolte ai giovani - in particolare sul versante dell’orientamento, della formazione professionalizzante e delle politiche attive - che hanno contribuito a intercettare una quota di giovani precedentemente inattivi o scoraggiati. A questi elementi si aggiungono fattori demografici, come la riduzione delle dimensioni delle coorti giovanili, che ha attenuato la pressione sull’ingresso nel mercato del lavoro, e un progressivo adattamento dei percorsi formativi alle esigenze produttive. L’insieme di tali fattori ha contribuito a ridurre di quasi un milione il numero dei Neet, passati da 3.011 mila del 2018 agli attuali 2.079 mila, e a portare l’incidenza dal 24,6% al 17,3%, grazie soprattutto alla riduzione di quanti erano alla ricerca di lavoro (passati da 1 milione 123 mila a 630 mila, per una contrazione del 43,8%) e, in misura meno rilevante, degli inattivi (ridotti da 1.889 mila a 1 milione 449 mila, per una contrazione del 23,3%). A beneficiare maggiormente del dinamismo del mercato è stata la componente più giovane, dove l’incremento delle opportunità occupazionali ha favorito l’uscita da una condizione di esclusione non ancora 'cronicizzata': le fasce d’età 20-24 anni e 25-29 anni sono quelle in cui si sono registrati i miglioramenti più significati, con una riduzione dell’incidenza dei Neet sulla popolazione di circa 9 punti percentuali tra 2018 e 2024. Di contro, tra i 30-34enni, la riduzione è stata molto meno sensibile (circa 5 punti percentuali), registrandosi proprio in questa fascia d’età l’incidenza più alta di giovani esclusi da qualsiasi forma di impegno lavorativo o formativo (23,2% contro il 21,5% dei 25-29enni, 17,8% dei 20-24enni e 6% dei 15-19enni). In Italia ci sono condizioni di fragilità specifiche che determinano forme di esclusione più difficili da contrastare. Al contrario della povertà educativa che configura una fragilità di natura cognitiva e formativa, che incide soprattutto sulla capacità di utilizzare il lavoro come leva di mobilità e stabilità (limitando l’accesso a occupazioni qualificate, riducendo l’adattabilità ai cambiamenti produttivi e aumentando il rischio di precarietà e povertà lavorativa), ma non preclude necessariamente l’ingresso nel mercato del lavoro in senso assoluto, le fragilità specifiche tendono a richiedere interventi di tipo compensativo, protettivo o di accompagnamento intensivo, in grado di supportare un’inclusione al lavoro che difficilmente il soggetto interessato può realizzare in autonomia. E' il caso degli ex detenuti, dove la condizione di detenzione produce una discontinuità biografica e occupazionale accompagnata da stigma, perdita di reti sociali e talvolta restrizioni formali, che determinano una situazione di emarginazione dal lavoro difficile da scardinare. Quello degli ex detenuti è un universo non quantificato dalle statistiche ufficiali, ma che nell’ultimo anno (giugno 2024-giugno 2025) si è alimentato di quasi 30 mila unità. Tra 2013 e 2023, secondo la relazione al Parlamento del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, sono state più di 370 mila le persone uscite in libertà. L’uscita dal carcere avviene frequentemente in assenza di un lavoro, con reti sociali deboli o compromesse e con un accesso limitato ai servizi per l’impiego. In questi casi, la combinazione di stigma, vincoli amministrativi, problemi abitativi e, talvolta, condizioni di salute o dipendenze pregresse rende estremamente difficile un reinserimento occupazionale rapido e stabile. Ancora di più se il periodo di detenzione è stato caratterizzato dalla sospensione di qualsiasi tipo di attività lavorativa. (segue) Secondo un rapporto del Cnel del 2025 'Recidiva zero' solo il 34,3% dei detenuti è coinvolto in attività lavorative. Un dato molto basso, che tuttavia risulta in crescita negli ultimi anni, considerato che nel 2004 la percentuale era del 26,6%. Fra le tipologie di lavoro in cui sono impegnati i lavoranti detenuti, si osserva una concentrazione nei servizi d’istituto (il 70,7% è impegnato in questa tipologia), mentre il 5,4% lavora in istituto per conto di cooperative o imprese, il 5,3%, essendo in regime di semilibertà, lavora in proprio o per conto di datori di lavoro esterni e il 5% si occupa della manutenzione dei fabbricati. Anche la frequenza di attività formative rappresenta un’opportunità per il successo del futuro reinserimento, ma i numeri mostrano come gli spazi di attivazione siano ancora molto ampi. Il rapporto evidenzia infatti come il 31,3% sia stato coinvolto nella frequenza di percorsi di istruzione di primo e secondo livello nell’anno scolastico 2023-2024, anche se il conseguimento dei titoli di studio presenta un tasso di successo limitato pari al 56,9% per chi ha frequentato i corsi di secondo livello, mentre per il primo livello la quota di promossi si è fermata al 34,6% (anno scolastico 2023-2024). Segnali più positivi emergono con riferimento alla partecipazione ai corsi di formazione professionale, che segnano un incremento dei detenuti partecipanti, passati dal 4,1% del 2019 al 7,2% del 2024. Edilizia, orientamento al lavoro, giardinaggio e agricoltura sono le altre tipologie di corsi che hanno riscontrato il maggior numero di iscritti, con tassi di successo in tutti e tre i casi superiori al 90%. (segue) Anche la disabilità si configura come una condizione personale che comporta limitazioni funzionali e la necessità di adattamenti organizzativi che il mercato del lavoro non sempre è in grado di offrire. E in grado di determinare situazioni di esclusione particolarmente gravose per le persone le cui prospettive di inclusione professionale restano ancora fortemente limitate nel nostro Paese. Secondo le elaborazioni di Fondazione Studi su dati Istat, su 100 persone tra i 15 e 64 anni che, pur presentando disabilità gravi, sono in condizione di poter lavorare, solo il 41,8% lavora mentre il 21% non riesce ad inserirsi nel mercato del lavoro, pur ricercando un’occupazione. Si tratta di un universo stimabile in circa 150/170 mila persone che risultano escluse dal mercato a causa della permanenza di limiti strutturali, fisici, logistici e soprattutto culturali che ne precludono sistematicamente le chances di inclusione. Peraltro, malgrado negli ultimi anni si siano registrati importanti miglioramenti sotto il profilo dell’inclusione formativa e sociale delle persone che presentano disabilità, il rapporto con il lavoro rappresenta per questa parte di popolazione una dimensione ancora critica, pur in presenza di qualche positivo segnale. Rispetto al 2013, la quota di occupati tra persone con disabilità grave in condizione di poter lavorare è aumentata, passando dal 35,4% all’attuale 41,8%, con una crescita particolarmente significativa negli ultimi tre anni, grazie al positivo andamento del mercato, che ha generato nuove opportunità anche per questo segmento di offerta. Va tuttavia evidenziata al contempo la persistenza di barriere rilevanti nell’accesso al lavoro, considerato che la quota di persone che non riescono ad accedere ad un’occupazione, pur desiderando lavorare, resta elevata e sostanzialmente stabile nei dieci anni considerati. Nel mercato del lavoro c'è un’area di confine, che potrebbe essere definita di inclusione debole, in cui l’accesso all’occupazione è formalmente possibile ma strutturalmente instabile e precario. In questa situazione, il lavoro non svolge pienamente la sua funzione di inclusione sociale ed economica: la continuità occupazionale è fragile, il potere contrattuale ridotto e le opportunità di mobilità limitate. Riguarda lavoratori che, pur essendo presenti nei circuiti produttivi, rimangono esposti a un elevato rischio di esclusione, in cui il confine tra lavoro regolare e lavoro irregolare tende a farsi poroso e le condizioni di debolezza contrattuale tendono a tradursi in fragilità economica. Il lavoro sommerso rappresenta l’area di più evidente di manifestazione, dove le tante forme in cui si può configurare l’irregolarità del rapporto danno conto di una condizione occupazionale, oltre che non legale dal punto di vista formale, estremamente debole sotto il profilo sostanziale. Una condizione che ancora accomuna una quota estremamente rilevante di lavoratori, stimabile secondo Istat in quasi 3 milioni di unità di lavoro, pari al 12,7% del totale. Va tuttavia evidenziato come nell’ultimo decennio, e in particolare a partire dal 2020, il fenomeno abbia registrato una flessione dovuta in primis agli effetti della regolarizzazione del 2020, ma anche al miglioramento delle condizioni di accesso all’occupazione. Il dinamismo della domanda, unito alla scarsità crescente dell’offerta di manodopera, ha avuto un effetto positivo nelle condizioni di ingaggio di molti lavoratori: il tasso di irregolarità si è infatti ridotto dal 14,8% del 2018 al 12,7%, mentre il numero degli irregolari (sempre espresso in unità di lavoro) è passato da 3,5 milioni a 3 milioni circa per una contrazione superiore al 15%. Restano tuttavia ambiti di attività in cui l’irregolarità fa più difficoltà a scardinare la logica sistemica che ne è alla base. E' il caso del settore domestico, dove l’Istat conta 55 irregolari ogni 100 occupati, alloggio e ristorazione (24), il settore dei servizi artistici e dell’intrattenimento (22), agricoltura e pesca (18). In parte legati al sommerso sono i fenomeni di povertà lavorativa, che tuttavia fanno riferimento ad uno spettro molto più ampio di situazioni, in cui il lavoro, pur essendo presente, non consente di raggiungere un livello di reddito e di sicurezza economica sufficiente a garantire condizioni di vita dignitose. Essa riguarda lavoratori formalmente occupati, spesso con contratti regolari, che tuttavia sperimentano bassi salari, discontinuità occupazionale, part-time involontario o una combinazione di più fattori che rendono il reddito da lavoro insufficiente. In questa prospettiva, la povertà lavorativa non coincide con l’assenza di lavoro né con l’irregolarità giuridica dell’occupazione, ma rappresenta una forma di inclusione debole, in cui il lavoro perde la sua funzione di protezione sociale. Considerando il rischio di povertà tra gli occupati, Istat stima che nel 2024 la quota di famiglie in condizione di povertà assoluta con persona di riferimento occupata fosse pari al 7,9%, un valore più basso rispetto all’anno precedente, quando tale indicatore si collocava all’8,1%, ma superiore rispetto al 2018, quando si attestava al 6,1%. Il rischio, secondo le stime Istat, è più elevato tra le famiglie con titolare un lavoratore dipendente (8,7%), in particolare se operaio o assimilato (15,6%) rispetto a quelle in cui il capofamiglia ha un lavoro indipendente (5,2%). In via generale, il rischio povertà associato ad un occupato è superiore a chi è ritirato dal lavoro (5,8%).
(Adnkronos) - Un fondo di 60mila euro per il pagamento di bollette di luce e gas e la promozione di un percorso di educazione e consapevolezza per i consumi: nasce 'Energia in Franciacorta', il progetto realizzato grazie all’accordo tra Banco dell’energia, Fondazione Lgh, Cogeme Spa e Associazione Riuso 3, ente attuatore dell’iniziativa 'Banco del riuso', un servizio orientato alla solidarietà e alla condivisione, al non spreco, al riutilizzo degli oggetti e delle risorse e alla promozione delle capacità individuali, con il coinvolgimento di 11 Comuni del Sud Ovest bresciano. Il progetto si propone l’obiettivo di sostenere i nuclei familiari a rischio di povertà, anche energetica, grazie al contributo di Fondazione Lgh, fondazione del gruppo A2A attiva in Lombardia, tra i fondatori della Fondazione Banco dell’energia. 'Energia in Franciacorta' rientra nel filone 'Energia in periferia', promosso da Banco dell’energia per supportare le famiglie in situazioni di vulnerabilità energetica, residenti nelle zone più periferiche delle città italiane e nei piccoli comuni. Uno strumento sempre più importante, se si guarda ai numeri del fenomeno in Italia che, secondo i dati Oipe - Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica 2023, interessa 2,36 milioni di famiglie, pari a circa il 9% del totale, un dato in rapida crescita. “Affrontare la povertà energetica significa riconoscere che l’accesso all’energia è una condizione essenziale per la dignità e l’autonomia delle persone. Come Fondazione Banco dell’energia lavoriamo per far sì che nessuno sia escluso, sostenendo le famiglie nei momenti di maggiore fragilità. La collaborazione con i nostri partner ci permette di trasformare questo impegno in risultati concreti, offrendo ai territori strumenti capaci di generare valore sociale nel lungo periodo”, spiega Silvia Pedrotti, Responsabile Fondazione Banco dell’energia. Banco dell’energia condivide con Cogeme l’obiettivo di sostenere persone e famiglie appartenenti a fasce sociali deboli attraverso iniziative solidali di tipo economico, attività educative e realizzazione di modelli di intervento legati alla promozione e allo sviluppo di energie rinnovabili; Riuso 3 nasce con finalità sociali per favorire lo scambio di beni, servizi e attività tra le persone, creando un modello orientato alla solidarietà e alla condivisione, al non spreco e al riutilizzo di oggetti e risorse: da qui l’accordo per rispondere al bisogno di singoli e famiglie vulnerabili che vivono sul territorio della Franciacorta e dell’ovest bresciano, coinvolgendo anche i Servizi Sociali di 11 amministrazioni, tutte aderenti dal 2018 al progetto 'Banco del riuso' (Berlingo, Castegnato, Cazzago San Martino, Castrezzato, Cologne, Iseo, Lograto, Maclodio, Paderno Franciacorta, Passirano, Rovato) con l’obiettivo di consolidare un network territoriale già costituito e impegnato in attività solidali sul territorio. Oltre al pagamento diretto delle bollette, saranno organizzati eventi formativi rivolti agli operatori per fornire loro le competenze necessarie per informare e sensibilizzare le famiglie beneficiare sui temi dell’efficientamento e del risparmio energetico e a tal fine verranno create e coordinate le figure dei Ted - Tutor per l’Energia Domestica. “Siamo particolarmente fieri, come Fondazione Lgh e co-fondatori di Banco dell’energia, di poter sostenere un nuovo progetto volto a contrastare la povertà energetica nei territori in cui operiamo - afferma Giorgio Bontempi, presidente di Fondazione Lgh - La povertà energetica è una realtà che tocca molte famiglie, e il progetto ‘Energia in Franciacorta’ ne è una risposta concreta, in grado di offrire un sostegno immediato e allo stesso tempo proporre un percorso formativo che aiuti le persone a diventare protagoniste consapevoli delle proprie scelte energetiche. Non parliamo di semplice assistenza, ma di un accompagnamento strutturato che mira a rafforzare le competenze e la capacità di gestione, generando un impatto positivo e duraturo sulla qualità della vita”. “Siamo nati nel territorio e per il territorio da più di cinquant’anni e questa mission la traduciamo nel nostro agire quotidiano. Fare servizi di pubblica utilità significa avere uno sguardo che va oltre le dinamiche classiche del fare impresa: significa creare un impatto positivo per le nostre comunità, a maggior ragione se il nostro operato va ad aiutare le famiglie in condizione di 'fragilità sociale'. Per questo abbiamo raccolto con grande convinzione questa iniziativa integrando la dotazione economica prevista e veicolandola ai comuni legati ad uno dei nostri progetti più emblematici, ovvero il 'Banco del riuso', grazie al supporto della nostra Fondazione”, afferma Giacomo Fogliata, presidente Cogeme Spa. “Pochi mesi fa abbiamo presentato uno dei primi report di valutazione d’impatto e abbiamo dimostrato che restituiamo al territorio tre volte tanto, rispetto a quanto abbiamo in dotazione. ‘Energia in Franciacorta’ ci permette di rafforzare ulteriormente questi risultati e di integrare l’offerta socio ambientale già in essere grazie ai Banchi del riuso e l’Associazione Riuso 3”, dice Gabriele Archetti, presidente Fondazione Cogeme ets.