INFORMAZIONIDuccio Abolaffio |
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(Adnkronos) - I dazi di Donald Trump ancora bruciano, con ricadute ancora difficili da calcolare, mentre l’accordo con il Paesi Mercosur viene rimandato a tempi migliori. Ora, arrivano anche i dazi cinesi sulle importazioni di latte e formaggi dall'Unione europea. Non è certo una fase facile per la politica commerciale del Vecchio Continente. Se finora le preoccupazioni maggiori sono arrivate dall'altra sponda dell'Atlantico, oggi la nuova sfida protezionista arriva dalla Cina, che ha deciso, come annunciato dal Ministero del Commercio, l'imposizione a partire da domani di dazi provvisori che vanno dal 21,9% al 42,7% sulle importazioni di una serie di prodotti lattiero-caseari originari dell'Unione Europea. Questa decisione fa seguito ai risultati di un’indagine preliminare secondo cui i sussidi ricevuti per questi prodotti europei hanno causato "danni sostanziali" all'industria lattiero-casearia cinese. La Commissione Europea "prende atto con preoccupazione" della mossa della Cina, ha risposto il vice portavoce capo dell'esecutivo Ue Olof Gill, durante il briefing con la stampa a Bruxelles. La Commissione ha proseguito, "ritiene che l'inchiesta si basi su affermazioni discutibili e prove insufficienti e che le misure siano pertanto ingiustificate. Al momento la Commissione sta esaminando la decisione preliminare e fornirà commenti alle autorità cinesi. La scadenza per la conclusione dell'inchiesta sull'imposizione di eventuali misure definitive è il 21 febbraio del prossimo anno. La Commissione valuterà tutte le informazioni disponibili in conformità con le norme Wto". A Bruxelles, ha aggiunto Gill, "stiamo facendo tutto il necessario per difendere gli agricoltori e gli esportatori dell'Ue, nonché la politica agricola comune, dall'uso sleale degli strumenti di difesa commerciale da parte della Cina. La Commissione ha già preso provvedimenti all'Organizzazione Mondiale del Commercio contro l'avvio di questa inchiesta sui prodotti lattiero-caseari da parte della Cina. Come sempre, la Commissione adotterà tutte le misure necessarie per difendere i diritti dei produttori europei", ha concluso. Il valore dell’export di formaggi italiani in Cina è triplicato negli ultimi 5 anni e la decisione di Pechino rischia di pesare sulle potenzialità di crescita del settore sul mercato asiatico. È l’ennesimo episodio di una guerra commerciale che sta danneggiando il settore agroalimentare, hanno denunciato Coldiretti e Filiera Italia. Cosa dicono i dati, di quale mercato potenziale si sta parlando? Le vendite di formaggi italiani in Cina hanno raggiunto nel 2024 un valore di 71 milioni di euro, con un aumento del 207% rispetto al 2020, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. I formaggi sono il secondo prodotto agroalimentare italiano esportato in Cina dopo il vino con l’export di cibo tricolore che ha superato nel 2024 i 600 milioni di euro in valore. Se i numeri sono ancora limitati, il percorso di crescita degli ultimi anni evidenzia le potenzialità del mercato cinese, che non è autosufficiente dal punto di vista del lattiero caseario e che sembra sempre più interessato al segmento dell’alta qualità, a partire dai formaggi freschi, dove il Made in Italy può essere protagonista. La notizia dei dazi cinesi si inserisce in un contesto già complicato. Pesano le scelte protezioniste degli Stati Uniti di Trump e inizia a estendersi a macchia d’olio l’effetto contagio della politica commerciale aggressiva americana. Lo schema che oggi replica Pechino è lo stesso adottato a Washington: le tariffe sono uno strumento per rispondere a una minaccia presunta e il rischio di un campo di gioco globale in cui si giochi tutti contro tutti e sempre più concreto. Anche l’accordo tra l’Europa e i Paesi Mercosur è stato messo in stand by. La firma dell'accordo, prevista inizialmente per sabato scorso, è slittata a gennaio per via delle perplessità di Francia e Italia, che chiedono ulteriori garanzie per il settore agricolo. Olof Gill, a nome della Commissione Ue, ha mostrato comunque un cauto ottimismo. "Ora stiamo collaborando con questi Stati membri per esaminare i dettagli e comprendere queste preoccupazioni, per vedere quali ulteriori passi devono essere intrapresi, per raggiungere l'accordo all'inizio del nuovo anno. Abbiamo cercato di raggiungere questo accordo con i nostri partner del Mercosur per 25 anni. Penso che poche settimane in più siano gestibili". Con i dazi degli Usa, e ora con quelli della Cina, un accordo sul mercato sudamericano sarebbe un segnale in controtendenza, con una parziale ma significativa rivincita del multilateralismo sul dilagare della tentazione protezionista. (di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - EY-Parthenon rinnova il sostegno al 'Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year', iniziativa di AIfi che dal 2004 valorizza il ruolo del Private Equity e del Venture Capital nella crescita delle imprese italiane. Il premio riconosce le eccellenze che guidano l’evoluzione del settore, promuovendo competitività e innovazione. Il private equity si conferma leva strategica per l’innovazione e la competitività del tessuto produttivo e imprenditoriale. Non solo un semplice strumento finanziario, ma un acceleratore della competitività e dell’internazionalizzazione delle imprese. Lo dimostra la XXII edizione del 'Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year', organizzato da Aifi con il supporto di EY-Parthenon, che dal 2004 celebra le operazioni di successo nel settore. Il 18 dicembre, a Milano, sono state premiate 19 realtà finaliste, selezionate da una giuria composta da esperti industriali, finanziari e accademici. Le aziende, attive in settori che spaziano dall’alimentare al farmaceutico, condividono una forte vocazione alla crescita: circa la metà ha compiuto il salto da player regionale a protagonista nazionale o internazionale, confermando il ruolo del private equity come acceleratore di sviluppo e innovazione. Il Premio Demattè fotografa anche le nuove tendenze: attenzione crescente alle Pmi innovative e alle imprese tra 20 e 50 milioni di fatturato, oltre a un interesse in espansione verso Centro e Sud Italia, territori ricchi di storie imprenditoriali ad alto potenziale. Marco Ginnasi, Private Equity Leader EY-Parthenon, Italia, commenta: “Le operazioni premiate dal Dematté dimostrano come il private equity sia in grado di trasformare imprese locali in player nazionali e internazionali. Nel 2025 il 45% dei player è rappresentato da fondi e il 48% delle operazioni è avvenuto tramite portfolio companies: partnership solide e investimenti mirati hanno accelerato crescita, innovazione e passaggi generazionali". “Per gli operatori di private capital, il premio Dematté rappresenta molto più di un indicatore di performance: è la conferma di un approccio che mette al centro la costruzione di valore reale e duraturo. Non si premia solo il successo finanziario, ma la capacità di trasformare le aziende, rafforzarne la cultura, accelerarne l’apertura verso nuovi mercati e nuove competenze. Questo riconoscimento racconta l’evoluzione di un settore in cui gli investitori non sono più semplici fornitori di capitale, ma catalizzatori di crescita, innovazione e visione imprenditoriale”, afferma Innocenzo Cipolletta, presidente AIFI. Secondo l’EY-Parthenon Bulletin, nel 2025 i fondi di private equity e infrastrutturali hanno partecipato a 615 operazioni su target italiane, per un valore complessivo di 23,5 miliardi di euro. Non solo capitale: i fondi portano competenze strategiche, digitalizzazione e sostenibilità, trasformando il private equity in una partnership di lungo periodo. “Il private equity è oggi una leva fondamentale per la competitività del sistema produttivo che, oltre a fornire risorse finanziarie, porta competenze e capacità di accelerare processi di trasformazione che altrimenti richiederebbero anni. È un catalizzatore di crescita per l’economia reale”, dichiara Umberto Nobile, Private Equity Leader EY Italia. Leggi l’articolo completo.
(Adnkronos) - Sentimenti di ansia, sfiducia e rabbia nei confronti del futuro. Così l’emergenza climatica impatta sulla salute mentale e sul benessere psicologico, in particolare dei giovani italiani. È quanto emerge dall'indagine sull’ecoansia, condotta su un ampio campione di giovani italiani tra i 18 e i 35 anni, realizzata dall’Istituto Europeo di Psicotraumatologia e Stress Management (Iep) per conto di Greenpeace Italia e ReCommon, con la collaborazione di Unione degli universitari (Udu) e Rete degli studenti (RdS), e pubblicata sul Journal of Health and Environmental Research. I dati sono stati raccolti tra giugno e novembre 2024 con un questionario diffuso dalle associazioni studentesche in scuole e università italiane e online, compilato da 3.607 persone. Dalle risposte emerge che il 41% dei giovani intervistati associa il tema del cambiamento climatico a sentimenti di ansia per il futuro, il 19% a una sensazione di rabbia e frustrazione, il 16% ad impotenza e rassegnazione. Solo l’1% ha risposto affermando di sentirsi responsabile o di avere dei doveri nei confronti del Pianeta. Infine, per il 44% l’ansia generata dal cambiamento climatico ha un effetto negativo sul benessere psicologico nella vita di tutti i giorni. "Il cambiamento climatico non è solo un problema ambientale ma è diventato a tutti gli effetti una crisi emotiva e valoriale che interessa profondamente i giovani italiani, incidendo sul modo in cui immaginano il futuro, sulle decisioni quotidiane e persino sulle relazioni sociali - spiega Rita Erica Fioravanzo, presidente dello Iep - Per tutelare i giovani, dobbiamo riconoscere la gravità del loro disagio e affrontarlo insieme alle cause strutturali del cambiamento climatico". L'analisi evidenzia forti collegamenti tra l’ecoansia e un maggiore disagio psicologico generale, evidente non solo tra i giovani che sono stati colpiti direttamente da eventi climatici estremi, come alluvioni e ondate di calore, ma anche tra coloro che possiedono semplicemente una consapevolezza della minaccia climatica. Particolarmente colpiti risultano i giovani che vivono al Sud e nelle Isole, i quali presentano in media sia più preoccupazione per gli effetti della crisi climatica, sia in alcuni casi sintomi psicologici più intensi, come ad esempio insoddisfazione, ruminazione e ansia. Dall’analisi emerge che l'impatto del cambiamento climatico sul disagio psicologico è prevalentemente indiretto ed è mediato da tre fattori psicologici: l'ecoansia, il pessimismo nei confronti del futuro e, soprattutto, la mancanza di scopo nella vita. L’analisi delle risposte conferma la presenza diffusa di forte sfiducia, rabbia e frustrazione, sentimenti che sembrano prevalere nettamente sulla percezione della propria capacità individuale di poter contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici. "L’emergenza climatica incide drasticamente sulla nostra vita, con impatti ambientali già molto visibili. Questa indagine mostra che è anche una questione di salute mentale, che non possiamo continuare a ignorare - dichiara Simona Abbate della campagna Clima di Greenpeace Italia - Chiediamo al governo di riaccendere la speranza nel futuro agendo contro le cause della crisi climatica e facendo pagare ai suoi principali responsabili, le aziende del gas e del petrolio, i danni che stanno causando con le loro emissioni, oltre a garantire un supporto concreto alla salute delle persone, inclusa quella mentale, minacciata dagli effetti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici".