(Adnkronos) - "L’Europa che si affaccia sul confine della guerra dei dazi desta un misto di preoccupazione e amarezza. Non perché stia sbagliando qualcosa. Piuttosto perché non inventa niente. Risulta prevedibile, quasi canonica. Ripete se stessa, nel bene e nel male. Accampa le sue ragioni con la consueta ragionevolezza. Si conferma per quel che è - nel bene e nel male. Ma risulta incapace di affrontare la crisi innescata da Trump con quel colpo d’ala che ci si aspetterebbe. O che almeno si vorrebbe auspicare. E’ nella natura delle grandi (liberal)democrazie europee reagire alle crisi con senso della misura. Quella misura che per l’appunto è il loro pregio. Il problema però a questo punto è la dismisura altrui. E cioè il fatto che lo sconvolgimento che Trump sta determinando rende all’improvviso obsolete le buone e serie maniere con cui i nostri paesi hanno affrontato il loro lungo e felice dopoguerra, fino alla caduta del muro di Berlino e oltre. E’ piuttosto ovvio che non fa parte di noi salire sul ring e combattere al modo dei campioni di wrestling. E neppure arrenderci e consegnarci con animo zelante e servile a chi vuole umiliarci e sottometterci. Le due risposte più estreme che si possono dare al presidente americano non rientrano insomma nel nostro lessico. Né la guerra, né la resa. Due estremi tra i quali si snoda in queste settimane il tortuoso e difficile percorso che la commissione presieduta da UVL è costretta a intraprendere. Fin qui si può perfino convenire. E’ ovvio infatti che non si può subire l’affronto trumpiano scatenando una furia polemica che potrebbe portare alla rottura di quel (poco) che resta dell’alleanza atlantica d’antan. Ed è altrettanto e direi perfino più ovvio che non ci si può sottomettere senza cercare di far valere le nostre ragioni e i nostri costumi con quel minimo di vigore polemico che le circostanze impongono. In altre parole, non si tratta di piegarci ai voleri della Casa Bianca e tantomeno di dichiarare l’ennesima morte cerebrale della cara vecchia Nato. In una parola, né la resa, né la rissa. Il fatto è però che quando le strade più canoniche sono sbarrate occorrerebbe cercare di tracciare un nuovo percorso. Ed è qui che l’Unione Europea latita. Poiché nessuno dei paesi che la incarnano e la guidano, nessuno dei soci fondatori, sembra voler tentare un colpo d’ala. E cioè mettere in campo, -subito, di gran carriera- un progetto che ridisegni l’architettura allargando l’area delle competenze comuni e restringendo la riserva del diritto di veto. Dare il segnale che anche l’Europa è capace di reagire, sa come adattare il percorso alle circostanze, come porre rimedio alla sua stessa lentezza, come risvegliare il suo spirito unitario, come radunare le sue forze una volta che le cose abbiano preso una brutta piega. I meccanismi dell’Unione a 27 sono notoriamente rigidi e scoraggiano ogni fuga in avanti. Questo è chiaro, fin troppo. Il diritto di veto resta lì come l’icona di un’Europa che non vuole rischiare. Ma una volta che il rischio s’è fatto così incombente, e perfino drammatico, sarà pure possibile tentare una sortita. E cioè chiedere ai leader dei quattro, cinque paesi più strategici di redigere, almeno loro, un progetto comune. O almeno di annunciare la comune intenzione di portare a buon fine anche solo due, tre misure di quelle che contano. Una comune iniziativa sul terreno delle nuove ricerche e scoperte, una comune politica di difesa, un trattamento comune dei rapporti con l’alta tecnologia di importazione. In una parola, la fine dell’ordine sparso. E magari anche la fine di quelle piccole rivalità che appaiono risibili (oltre che dannose) al cospetto del baratro che abbiamo di fronte. Forse basterebbe anche meno. Purché guardasse un po’ più in là. Una dichiarazione d’intenti che risultasse solenne e impegnativa e che sancisse l’intenzione dei paesi leader di mettere in comune le loro leadership sul proscenio globale. Arrivando perfino -esagero, lo so- ad immaginare che l’Unione possa avere prima o poi un solo seggio, condiviso dai paesi di cui sopra, nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Un segno di unità che a questo punto è l’unica risposta efficace che possiamo dare al trambusto nel quale il mondo di Trump ha fatto precipitare il mondo che pensavamo fosse il nostro". (di Marco Follini)
(Adnkronos) - Amazon rinnova il suo impegno a sostegno nell’istruzione femminile nelle discipline Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), annunciando le vincitrici della settima edizione di Amazon Women in Innovation. Giunto al settimo anno, il programma unisce il sostegno economico al mentoring professionale per contribuire allo sviluppo della nuova generazione di leader donne nel settore tecnologico-scientifico. Le vincitrici del 2025, selezionate per il loro talento e potenziale, sono: Giorgia Orrù, studentessa di Ingegneria Elettronica, Informatica e delle Telecomunicazioni presso l’Università degli Studi di Cagliari; Giorgia Spanò, studentessa di Ingegneria Digitale e Informatica presso il Politecnico di Milano; Fabiana Curzietti, studentessa di Ingegneria Informatica presso l’Università di Napoli Federico II; Adriana Grippi, studentessa di Ingegneria Informatica presso l’Università degli Studi di Palermo; Aurora Litardi, studentessa di Ingegneria Informatica presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Jana Ehab Mohamed Salaheldin Mahmoud, studentessa di Ingegneria Informatica presso il Politecnico di Torino; l’Università di Catania annuncerà prossimamente la studentessa vincitrice. Amazon fornirà alle vincitrici borse di studio della durata di tre anni, che includono un contributo annuale di 6.000 euro. Ogni studentessa sarà inoltre affiancata da una mentor, una manager Amazon che le guiderà nel loro sviluppo personale e professionale. “Con Amazon Women in Innovation vogliamo sostenere il talento femminile nelle discipline Stem, contribuendo concretamente a ridurre il divario di genere nella tecnologia e nell’innovazione. Crediamo che fornire opportunità concrete e strumenti pratici, come borse di studio e mentorship, sia fondamentale per guidare le nuove generazioni verso un futuro professionale in cui le loro competenze, idee e passioni possano fiorire”, ha detto Rita Malavasi, responsabile Relazioni Istituzionali di Amazon.it. “È particolarmente gratificante vedere le nostre laureate non solo avere successo professionale, ma diventare loro stesse promotrici, ispirando la prossima generazione di leader tecnologiche in Italia”, ha aggiunto. Lanciato nel 2018, il programma Amazon Women in Innovation ha supportato 33 studentesse in tutta Italia, incluse le vincitrici di quest’anno. Il programma offre alle partecipanti un’opportunità di arricchire gli studi universitari ed è stato un trampolino di lancio per molte giovani studentesse, supportandole nel loro percorso accademico e aiutandole a costruire carriere nelle tecnologie emergenti. Jihad Founoun, vincitrice della quarta edizione della borsa di studio per il Politecnico di Milano, si è iscritta a un prestigioso programma internazionale di doppia laurea magistrale in Data Science tra il Politecnico e Kth Stoccolma, con l’obiettivo di specializzarsi nei sistemi di raccomandazione e contribuire alla ricerca nel campo. Elisa Cacace, vincitrice a Roma Tor Vergata nel 2022, è entrata nel mondo del lavoro come sviluppatrice software dopo la laurea in Ingegneria Informatica, e sta attualmente proseguendo gli studi magistrali. Beatrice Proietti, vincitrice della borsa di studio nel 2023 per l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, afferma: “La mentorship è stata fondamentale: mi ha aiutato a chiarire i miei obiettivi e a capire meglio come affrontare il futuro nel mondo della tecnologia”. La borsa di studio Women In Innovation, rivolta alle giovani studentesse in ambito Stem, si inscrive nel più ampio impegno di Amazon per il supporto all’educazione e all’istruzione. Nel 2024, Amazon ha infatti annunciato l’obiettivo di formare 200.000 studenti e studentesse in ambito Stem entro la fine del 2026 in Italia, sottolineando il suo impegno nel promuovere l’alfabetizzazione tecnologica e preparare la prossima generazione al mercato del lavoro in continua evoluzione. L’iniziativa include diversi programmi, tra cui: Amazon Future Engineer, che mira a fornire accesso gratuito a risorse di formazione Stem; Aws re/Start, sviluppato con la scuola di coding Develhope, che mira a contrastare la disoccupazione giovanile nel Sud Italia offrendo corsi di formazione cloud gratuiti; e altre iniziative Aws con particolare attenzione a Cloud, Intelligenza Artificiale e Machine Learning, come Aws Academy e AWS Educate.
(Adnkronos) - L’energia solare potrebbe presto trovare una nuova e sorprendente applicazione: il fondo del mare. Una ricerca pubblicata sulla rivista Energy & Environmental Materials ha, infatti, dimostrato che le celle solari a perovskite possono funzionare in modo efficiente anche in ambiente acquatico, aprendo la strada a tecnologie energetiche innovative per l’uso subacqueo. Lo studio è frutto della collaborazione tra il Consiglio nazionale delle ricerche – coinvolto con l’Istituto di struttura della materia (Cnr-Ism) e l’Istituto per i processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf) - l’università di Roma Tor Vergata e la società BeDimensional Spa, leader nella produzione di materiali bidimensionali. Sotto i 50 metri di profondità, solo la luce blu-verde riesce a penetrare efficacemente: le celle solari a perovskite, già note per la loro efficienza e versatilità, si sono dimostrate particolarmente adatte a sfruttare questa luce residua. I test condotti con una specifica perovskite di composizione FAPbBr₃, hanno mostrato prestazioni sorprendenti: immerse nei primi centimetri d’acqua, queste celle producono più energia rispetto a quando sono esposte all’aria. “Merito delle caratteristiche ottiche dell’acqua e del suo effetto rinfrescante, che migliora l’efficienza del dispositivo”, spiega Jessica Barichello, ricercatrice del Cnr-Ism che ha coordinato lo studio. “Un ulteriore test di durata ha verificato anche l’aspetto ambientale: grazie all’efficace incapsulamento, basato su un adesivo polimerico idrofobico sviluppato da BeDimensional, dopo 10 giorni di immersione in acqua salata, le celle solari hanno rilasciato quantità minime di piombo, ben al di sotto dei limiti imposti per l’acqua potabile”. “Grazie alla collaborazione con il Cnr-Ism e BeDimensional e alla tecnologia disponibile nel nostro laboratorio Chose, abbiamo validato l’intero processo per l’applicazione del materiale fotovoltaico in perovskite in ambienti subacquei dove vengono sfruttate efficacemente le sue proprietà. Una nuova sperimentazione per noi - commenta Fabio Matteocci, professore associato del dipartimento di Ingegneria elettronica dell’università di Roma Tor Vergata - dal momento che il nostro studio parte dallo sviluppo di nuovi dispositivi fotovoltaici semitrasparenti tramite processi industriali facilmente scalabili per applicazione su edifici”. Oggi troviamo pannelli solari su tetti, serre, edifici, persino nello spazio, ma l’ambiente marino è ancora una frontiera poco esplorata. “Questo lavoro pionieristico non solo mostra che le perovskiti possono operare anche in condizioni umide, ma apre nuove possibilità per l’utilizzo sostenibile dello spazio subacqueo, sempre più impiegato in attività come l’agricoltura marina, l’invecchiamento del vino e altre applicazioni innovative”, conclude Barichello.