(Adnkronos) - L’intelligenza artificiale sta trasformando radicalmente il panorama della disinformazione. David Puente, vicedirettore e responsabile del progetto fact-checking del giornale online “Open”, osserva con l’Adnkronos che oggi deve confrontarsi con un nemico molto più potente, rapido e, spesso, invisibile. "La vera difficoltà è che con l’AI si possono creare contenuti difficili da tracciare”, spiega. “Le immagini generate artificialmente non hanno una fonte primaria riconoscibile, rendendo quasi impossibile risalire al 'paziente zero'". Se in passato si poteva smascherare una bufala tornando all’origine di una foto o di un video, ora i contenuti sono sintetici, e spesso sono già virali quando scatta l’allarme sulla loro veridicità. Le guerre a Gaza e in Ucraina sono il campo di battaglia perfetto per mistificatori e propagandisti: “Ma una cosa è quando Chef Rubio ha fatto circolare immagini di bambini uccisi in Siria spacciandoli per palestinesi, o quando Mosca diffonde video in cui si vedrebbero bandiere russe sventolare dai palazzi di Odessa, ma in realtà sono stati girati a Chabarovsk, nell’Estremo Oriente russo. Altra cosa è dover combattere con immagini generate dal nulla”. Certo, in alcuni dei video fatti con l’AI le persone hanno sei dita, o si accartocciano quando escono dal centro della scena, o hanno sui vestiti scritte e numeri inventati. “Ma la qualità migliora ogni settimana, e quasi tutti guardano i filmati dal telefono su piccoli schermi e senza notare dettagli su cui si sofferma chi cerca l’autenticità”, aggiunge Puente, che non vede una soluzione neanche nelle (vagheggiate) norme che dovrebbero imporre i watermark, gli ‘stampi’ sulle immagini, per certificarne l’origine sintetica: “Quei bollini possono essere coperti, sfocati, ritagliati. E neanche i metadati sono una garanzia: un video creato con Sora di OpenAI o Veo di Google ha delle ‘tracce’ per risalire alla sua origine, ma se quel video viene salvato nuovamente registrando lo schermo, si perde ogni tracciabilità”. La fondazione creata dal defunto Yevgeny Prigozhin, capo della Wagner, ha diffuso falsi dossier contro l’Ucraina, in cui si sosteneva che Kiev stesse selezionando geneticamente soldati per creare nuove generazioni di forze armate da schierare contro i russi. “Una bufala totale, ma il video originale, girato da un ginecologo che filmava le sue pazienti, aveva un watermark, poi coperto. Era stato anche tagliato per cambiare le proporzioni del filmato, cosa che rende ancora più complesso risalire alla fonte”. C’è lo strumento delle Community Notes, adottate già da X e ora da Facebook e Instagram, con cui chiunque, registrandosi con determinate credenziali, può segnalare contenuti e contribuire alla moderazione collettiva. "Il problema – racconta Puente – è che a volte la nota viene presa per buona anche prima di essere votata dagli utenti registrati. Si innesca un effetto domino: se conferma ciò in cui la gente già crede, viene subito considerata vera, anche se è sbagliata". E così un piccolo esercito di sedicenti debunker finisce per alimentare la confusione. Un recente caso riguarda una foto che secondo Grok (il chatbot di Elon Musk) era di una bambina yazida in Siria nel 2014, quando in realtà era un’immagine recente da Gaza. L’errore non solo è diventato virale, ha creato un testacoda: la manipolazione sta nella smentita e non nel contenuto originale. La facilità con cui oggi si possono generare foto e video realistici ha alzato l’asticella. "Non è solo la qualità dell’immagine – osserva Puente – ma il fatto che non esistano riferimenti nel passato: se una foto AI rappresenta un bambino ferito, ma quel bambino non esiste, come fai a verificarla?" A questo si aggiunge la difficoltà tecnica: gli strumenti disponibili online per scoprire contenuti generati artificialmente, spesso, danno risultati fallaci. "Una mia foto del 2006 scannerizzata è stata identificata al 100% come creata con l’AI. Lo stesso per la figurina di Baggio ai Mondiali del ’94!". E’ un problema di pixel, di sfondi sfocati e dunque poco credibili, ma principalmente di macchine prodigiose che hanno ancora molti limiti. Il dilemma non risparmia neanche le fonti tradizionalmente più affidabili. "Ci sono stati casi in cui agenzie fotografiche hanno diffuso materiale errato. Un video attribuito a bombardamenti in Pakistan, in realtà girato in Palestina, è finito sui telegiornali". Altro esempio: “Dopo il 7 ottobre mi sono arrivate da più persone in Medio Oriente le immagini di una fossa comune. Secondo loro era l’esercito israeliano che ci riversava cadaveri palestinesi. Invece risaliva al conflitto siriano. Immagina cosa sarebbe successo se fosse stata accreditata in quel modo. La verità è che in certi casi bisogna avere il coraggio di arrivare secondi, fermarsi un attimo, fare altre verifiche. Cosa che spesso non piace alle testate che devono stare sempre sul pezzo”. Uno degli aspetti più pericolosi dell’AI applicata all’informazione è l’illusione di imparzialità. "Un’AI allenata in Russia cosa dirà sugli ucraini? Che Zelensky è un cocainomane e i soldati sono tutti nazisti”. Bias culturali e politici sono trasmessi agli algoritmi, con i chatbot che creano contenuti apparentemente neutri ma in realtà profondamente orientati. "A me una volta mi danno del pro-pal e il minuto dopo del filosionista. Ma anche i fact-checker sono umani, fanno errori, e purtroppo vengono etichettati a seconda delle convenienze del momento". Nonostante le difficoltà, il lavoro dei fact-checker resta centrale. "Siamo sempre di più, anche se in un mondo ideale il nostro mestiere non esisterebbe. Ci siamo strutturati in network internazionali, collaboriamo tra colleghi. Ci aiutiamo a vicenda per tracciare la provenienza delle bufale e cercare di rallentare la loro diffusione. Ci diamo regole etiche, creiamo delle procedure standard di verifica per limitare al minimo gli errori. Ma io non voglio che la gente mi dica 'mi fido di te'. Neanche io devo fidarmi troppo di me stesso, o finirei nella stessa trappola” (di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - "Per quanto riguarda le imprese agricole campane, l’impatto potrebbe variare in modo significativo in base alle modalità di applicazione del dazio. Se l’imposizione riguarda il valore del prodotto alla partenza e non il prezzo finale al consumo, la ricaduta lungo la filiera potrebbe risultare più attenuata del previsto. Parliamo infatti di un comparto, quello agroalimentare, che si fonda su produzioni ad alto valore aggiunto, esito di processi di trasformazione, qualità certificata e forte legame con il territorio. Elementi che creano un significativo scarto tra il prezzo all’origine e quello finale e che possono contribuire ad ammortizzare, almeno in parte, l’effetto della misura". Così, con Adnkronos/Labitalia, Fabrizio Marzano, presidente di Confagricoltura Campania, commenta l'accordo Usa-Ue su dazi al 15% per l'export europeo. "Naturalmente, in presenza di produzioni meno strutturate, con lavorazioni minime e margini ridotti, un’imposizione del 15 per cento -continua- risulterebbe più difficile da sostenere. Ma l’agricoltura campana ha costruito negli anni un’identità solida, fondata su qualità, sicurezza alimentare e distintività, che consente oggi di affrontare con maggiore flessibilità le dinamiche del mercato internazionale". Secondo Marzano "oltre alla gestione dell’emergenza, l’introduzione di nuovi dazi apre anche un fronte strategico che va affrontato con decisione: rafforzare la capacità di esportazione del sistema agricolo nazionale. Troppe imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, continuano ad affrontare i mercati esteri senza una visione strutturata e senza strumenti adeguati, perdendo occasioni importanti di crescita e consolidamento. Diventa quindi fondamentale investire in formazione, accompagnamento all’internazionalizzazione, aggregazione dell’offerta e promozione di filiere integrate. In questo scenario, sarebbe utile coinvolgere anche le Camere di Commercio in un tavolo condiviso, che metta insieme istituzioni e rappresentanze imprenditoriali per costruire percorsi comuni e strategie di lungo periodo. Solo così potremo trasformare anche una difficoltà in un’occasione di sviluppo per l’intero comparto agricolo”, conclude.
(Adnkronos) - “Il Programma Emtn è molto importante perché sancisce il ritorno a raccogliere capitali in Italia, rafforzando il mercato dei capitali italiani che negli ultimi anni ha sofferto l'emorragia verso mercati esteri. L'Italia non ha nulla da invidiare agli altri paesi. Riteniamo che il rimpatrio in Italia sia la mossa giusta negli interessi di Iren e del sistema economico italiano”. Sono le dichiarazioni di Luca Dal Fabbro, presidente di Iren, alla ‘Ring the Bell Ceremony’ organizzata a Palazzo Mezzanotte da Iren per celebrare la costituzione del nuovo Programma Emtn (Euro Medium Term Notes). Iren ha rinnovato il proprio Programma incrementando l’ammontare massimo da 4 a 5 miliardi di euro. Il Prospetto informativo relativo al Programma è stato approvato da Consob e ha ottenuto il giudizio di ammissibilità alla quotazione sul Mercato telematico delle obbligazioni (Mot) da parte di Borsa Italiana. Un ruolo importante è riservato alla sostenibilità. “Il denaro che raccogliamo sul mercato - prosegue Dal Fabbro - serve per aumentare gli investimenti sulla resilienza ambientale, sul rafforzamento delle reti idriche, sull'efficientamento del parco termoelettrico, il fotovoltaico, l'eolico. Alimentiamo progetti che devono essere sostenibili e che aumentano la resilienza ambientale. Siamo convinti che si tratti di un buon investimento che, da un lato, offre rendimento agli azionisti e dall’altro rende l’azienda più solita. Investire nella sostenibilità non è un peso, ma una grande opportunità di rendere le aziende più solide”. Nella scelta di procedere all’emissione di nuovi titoli obbligazionari ha influito la semplificazione burocratica e normativa: “È stato fatto un grandissimo lavoro di semplificazione da parte di Borsa Italiana e Consob - aggiunge - questo è uno degli elementi che ci ha indotto a investire. Faccio i complimenti al team di Consob e di Borsa Italiana. Grande lavoro a beneficio di emittenti come la nostra e di tutte le imprese italiane. L’Italia deve tornare a fare industria, nel nostro Paese abbiamo una iper finanziarizzazione del sistema italiano, ma facendo industria ci saranno soldi per alimentare la finanza”. Infine una considerazione sul nucleare: “Il nucleare è un orizzonte molto lungo. Per fare una centrale nucleare ci vogliono tra i 10 e i 15 anni. Il suggerimento che darei a chi parla di nucleare è di sopravvivere nei prossimi 5-10 anni facendo quello che è possibile e in parallelo studiare le migliori forme per produrre energia elettrica sostenibile e sicura., con tutte le fonti, nessuna esclusa” conclude Dal Fabbro.