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(Adnkronos) - "La Russia avanza su tutto il fronte". Vladimir Putin lo dice e lo ripete da giorni descrivendo un quadro della guerra in Ucraina estremamente favorevole a Mosca. Le comunicazioni del presidente russo rientrano evidentemente in una strategia che mira ad aumentare la pressione sull'Ucraina e sui partner occidentali di Kiev per incidere in maniera significativa sui negoziati. Ma la Russia sta davvero avanzando ovunque? Le conquiste rese note negli ultimi 10 giorni da Putin e dai vertici militari vengono smentite, almeno parzialmente dall'Ucraina in un muro contro muro costruito con annunci e smentite di parte. Non mancano, però, elementi forniti da osservatori e analisti esterni al conflitto in senso stretto. Nelle ultime ore, emergono le valutazioni dell'intelligence militare britannica che mette in dubbio le rivendicazioni russe sulla conquista di Siversk e Pokrovsk, nell'est dell'Ucraina: al momento non ci sono prove sufficienti per confermare che le due città strategiche siano sotto il controllo di Mosca. Per quanto riguarda Siversk, il ministero della Difesa del Regno Unito definisce "probabilmente inesatta" l'affermazione russa secondo cui la città sarebbe completamente occupata. Secondo Londra, reparti di fanteria russi sarebbero presenti nel centro urbano, anche grazie alla copertura offerta dalla nebbia, mentre le forze ucraine continuerebbero a combattere nella parte occidentale della città, che svolge un ruolo di "schermo" contro l'avanzata russa verso Sloviansk e Kramatorsk. Ancora più netta la valutazione su Pokrovsk, ritenuta "quasi certamente" ancora contesa. Il ministero britannico afferma che le forze ucraine mantengono una capacità limitata di condurre incursioni su piccola scala nel settore settentrionale della città, ostacolando il pieno controllo russo e rallentando il consolidamento delle posizioni. Londra conclude infine evidenziando che le forze russe continuano a subire pesanti perdite lungo il fronte, stimando "probabile" che nel solo 2025 abbiano registrato circa 395.000 vittime, tra morti e feriti. Alle informazioni fornite da Mosca fanno eco gli aggiornamenti delle forze armate ucraine: si tratta di elementi non direttamente verificabili e pertanto hanno un peso relativo nella definizione dello scenario complessivo. La porzione settentrionale di Pokrovsk, situata nella regione di Donetsk, rimane saldamente sotto il controllo delle Forze di Difesa ucraine secondo il 7° Corpo di Risposta Rapida delle Forze di Assalto Aereo. "Il nemico è incapace di sfondare le difese ucraine a nord di Pokrovsk e ricorre all'artiglieria termobarica", la sintesi di Kiev, secondo cui "i propagandisti russi hanno annunciato per la quarta volta negli ultimi un mese e mezzo la presunta cattura dell'intera città di Pokrovsk, tentando di trasformare le aspirazioni in realtà fattuale. Il loro unico argomento si basa su materiale fotografico e video proveniente dalla porzione centrale della città. Il nemico ha trascurato la cosa principale: questa provocazione informativa funziona solo per coloro per i quali la televisione è cibo. E Pokrovsk è solo un nome sconosciuto su una mappa". La situazione è a dir poco fluida anche nell'area di Kupyansk, città nell'oblast di Kharkiv menzionata ripetutamente da Mosca negli ultimi giorni. Anche in questo settore del fronte come evidenzia l'Institute for the study of war (Isw), think tank americano che monitora il conflitto quotidianamente, le forze armate ucraine avrebbero recuperato terreno. Le unità russe dispiegate in particolare nella porzione settentrionale di Kupiansk e nelle zone limitrofe si trovano in una condizione di isolamento operativo, con problemi per l'invio di rinforzi e per la fornitura di un supporto logistico completo. Viktor Tregubov, Capo del Dipartimento Comunicazioni del Quartier Generale delle Forze Congiunte, in un'intervista esclusiva rilasciata a un corrispondente di Ukrinform dichiara che "da più di un giorno le truppe russe sono bloccate nella parte settentrionale della città. Si tratta più delle periferie della città che della città stessa. Sì, indubbiamente, al momento, le truppe russe nella città non possono ricevere rinforzi. Ci sono più di 100 militari. Tuttavia, non sono in grado di condurre alcuna operazione attiva lì".
(Adnkronos) - “In Italia manca un recupero della produttività. Il nostro Paese cresce perché si lavora di più. Resta rilevante la questione salariale: la retribuzione oraria reale nel primo semestre del 2025 è del 5% inferiore al 2019, quando già veniva da anni di invarianza. Il tema salariale è legato a quello della produttività”. Lo spiega Gabriele Barbaresco, direttore Area Studi di Mediobanca, all’incontro stampa organizzato da Centromarca oggi a Milano, per illustrare dinamiche e prospettive economiche del comparto largo consumo e dell’industria di Marca per il 2026. Restando in tema di produttività, Barbaresco fa sapere che “nell'ultimo triennio il Pil pro capite italiano è cresciuto dello 0,8% medio annuo solo grazie agli aumenti di occupazione e orario di lavoro, in assenza dei quali la produttività oraria lo avrebbe fatto cadere dell'1,3%. Tale dato – spiega – è a sua volta integralmente dovuto alla produttività totale dei fattori, che rispecchia le inefficienze del sistema Paese. Pesano anche l'aumento occupazionale in settori a basso valore aggiunto e il fenomeno del lavoro improduttivo: nel 2023-24 nella manifattura l'occupazione è salita del 2% a fronte di un calo del 5,3% della produzione. Eppure – continua – si stima un fabbisogno lavorativo al 2028 tra 3,1 e 3,6 milioni di persone, con un 80%-90% da puro replacement. I contratti di lavoro con difficoltà di reperimento sono passati dal 26% (2018) al 50% (2023)”. Ma da cosa dipende questa difficoltà? “I due terzi dal labour shortage, ossia le candidature deserte – illustra Barbaresco – Un fenomeno che costa circa 2,5 punti di Pil. Rimaniamo una manifattura votata all'export, il cui successo si fonda su tre driver: qualità, specializzazione e competenza tecnica – approfondisce – Siamo invece penalizzati dal costo dei beni intermedi e da quello dell'energia (+20% tra 2020 e 2025)”. “All'interno dei nostri punti di forza si nascondono anche insidie, tra le quali la medtech. Vedo però una call to action che si articola su due punti: il primo è il decisore politico, a cui si chiede di favorire la crescita dei settori a maggiore valore aggiunto e garantire l'autonomia strategica – illustra – Il secondo è chiedere al ceto imprenditoriale di intraprendere con convinzione la transizione digitale, intendendola come un investimento e non come un costo, e passando dalla mera adozione alla sua assimilazione, in modo che diventi uno strumento di miglioramento organizzativo e del mindset aziendale”. “Altra leva è il rafforzamento delle logiche di filiera – dice – per contenere la sempre maggiore distanza tra imprese leader e imprese lagger. Spetta alle imprese leader collocarsi nei segmenti pregiati delle Cgv (Catene globali del valore) e veicolare conoscenza alla rete della fornitura nazionale. Qualità e competenze produttive sono garantite dal nostro capitalismo familiare, ma esso oggi è chiamato a un percorso di crescita inorganica (M&A), modernizzazione della governance e crescita degli investimenti intangibili". "I fondi di Private Equity (PE) possono giocare un ruolo fondamentale: essi sono oggi portatori di proposte imprenditoriali votate alla crescita rispetto al loro precedente ruolo di puri efficientatori. Ritorna, su questo tema, il ruolo cruciale dell’uso a fini produttivi del cospicuo risparmio privato”, conclude.
(Adnkronos) - A2A ha presentato oggi il suo primo Piano di Transizione Climatica che definisce target, leve operative e strumenti finanziari per guidare il percorso di decarbonizzazione del Gruppo verso l’obiettivo del Net Zero al 2050. Il documento strategico, pensato come strumento dinamico e trasparente, verrà aggiornato annualmente in parallelo e assoluto coordinamento con il Piano Industriale, così da riflettere costantemente l’evoluzione degli scenari energetici e macroeconomici. “La mitigazione dei cambiamenti climatici rappresenta una condizione imprescindibile per la stabilità dei sistemi ambientali, sociali ed economici. Dal 2000 a oggi, gli eventi climatici estremi hanno generato danni per oltre 3.600 miliardi di dollari e le stime indicano che i costi dell’inazione potrebbero raggiungere i 1.200 trilioni di euro, quasi il doppio degli investimenti necessari a rispettare gli Accordi di Parigi.” – ha dichiarato Roberto Tasca, Presidente di A2A - “In questo scenario, i piani di transizione climatica delle imprese rivestono un ruolo essenziale nella mobilitazione dei capitali: permettono di valutare preventivamente i rischi, individuare nuove opportunità di investimento, rafforzare la fiducia del mercato e favorire un migliore accesso al credito, contribuendo alla riduzione dei costi di finanziamento. Essi costituiscono inoltre la base delle strategie di finanza sostenibile, un ambito nel quale il nostro Gruppo è stato pioniere, con l’emissione del primo European Green Bond e del primo Blue Bond in Italia. Iniziative che confermano come la transizione verso modelli di business più responsabili possa generare valore finanziario per l’azienda e per tutti gli stakeholder''. “La crisi climatica richiede visione, coerenza e la capacità di agire con responsabilità nel lungo periodo. Affrontiamo questa sfida facendo leva sulle nostre competenze industriali, sull’innovazione tecnologica su cui stiamo investendo e su un modello di business che integra dimensione ambientale, economica e sociale.” - ha dichiarato Renato Mazzoncini, Amministratore Delegato di A2A - “Il nostro obiettivo è chiaro: raggiungere il Net Zero su tutti gli Scope emissivi entro il 2050. Il Piano di Transizione Climatica chiarisce come intendiamo farlo, definisce tappe intermedie ambiziose e amplia la nostra visione oltre l’orizzonte del Piano Industriale al 2035, pur nella consapevolezza che, per gli scenari in grande cambiamento, dovremo costantemente aggiornare traiettoria e azioni. In questo quadro, abbiamo già previsto circa 7 miliardi di investimenti dedicati a specifiche leve di decarbonizzazione: 5 per la Transizione Energetica e 2 per l’Economia Circolare''. Il Piano si fonda su uno scenario energetico che prevede per l’Italia il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050, con un ruolo rilevante delle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO₂ (CCS) e una crescita della domanda elettrica legata all’elettrificazione dei consumi a cui si aggiunge il recente sviluppo dei data center. Nel Transition Plan l’upside di richiesta di energia da parte di questi hub digitali non è ancora stata fattorizzata; se le previsioni degli scenari nazionali più recenti verranno confermate, sarà necessario definire, dal prossimo aggiornamento, un nuovo approccio alla produzione elettrica che garantisca un carico baseload costante e sicuro. La strategia del Gruppo ruota attorno a due pilastri: 1. Elettrificazione dei consumi, sostenuta da un forte incremento delle fonti rinnovabili e dal contributo del gas naturale in impianti termoelettrici ad alta efficienza nel breve-medio periodo; 2. Economia circolare, attraverso la valorizzazione dei rifiuti e degli scarti come materia o energia, contribuendo così a una significativa riduzione delle emissioni del Paese. L’obiettivo finale è una riduzione di almeno il 90% della carbon footprint del Gruppo entro il 2050 rispetto al 2023, con compensazione delle sole emissioni residue tramite crediti di rimozione certificati. Il Piano conferma inoltre: riduzione del 50% delle emissioni dirette entro il 2035 e dell’80% entro il 2040 (rispetto al 2017); riduzione del 61% dell’intensità emissiva (gCO₂e/kWh) entro il 2035 (baseline 2017); azzeramento delle emissioni Scope 2 legate all’acquisto di energia entro il 2026; riduzione delle emissioni Scope 3 lungo la supply chain (-30%), nelle attività upstream dei vettori energetici (-60%) e nell’uso del gas da parte dei clienti (-22%) al 2035 (baseline 2023). La supply chain rappresenta una leva determinante del percorso: per questo il Gruppo ha avviato il progetto Scope 3, dedicato al supporto dei fornitori nell’implementazione di strategie di riduzione delle emissioni. Complessivamente, i circa 7 miliardi di capex al 2035 saranno allocati in particolare per: 3,4 miliardi allo sviluppo della produzione da fonti rinnovabili; 1 miliardo a soluzioni di cattura della CO2 per impianti Waste-to-Energy, recupero di calore industriale e dai data center per le reti di teleriscaldamento, elettrificazione della flotta dedicata alla raccolta rifiuti e sviluppo della produzione da bioenergie. Il Piano è sostenuto da strumenti di finanza sostenibile, come il primo European Green Bond del Gruppo e il primo Blue Bond in Italia. L’obiettivo è portare al 100% la quota di debito ESG entro il 2035 (attualmente all’82%). Elemento imprescindibile della strategia è la Just Transition: il Gruppo garantirà percorsi di reskilling e upskilling a tutto il personale coinvolto nelle attività che evolveranno nel contesto della decarbonizzazione, con programmi formativi dedicati e iniziative per attrarre nuove competenze. Parallelamente, A2A prosegue nel dialogo con i territori attraverso iniziative di ascolto, engagement e formazione rivolte a cittadini, imprese e scuole, promuovendo una transizione equa, inclusiva e condivisa.