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Università, Marinozzi (Ucbm): "Specializzandi ortopedia in sala operatoria dal primo anno"

(Adnkronos) - "La scuola di specializzazione in ortopedia e traumatologia del Campus Bio-Medico di Roma nasce 25 anni fa grazie alla volontà del professor Vincenzo Denaro ed è stata successivamente ampliata dal professor Rocco Papalia, attuale direttore". ...

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Consulenti del lavoro, una professione al servizio dei più fragili

(Adnkronos) - Un incontro speciale, carico di significato umano, quello che si è svolto questa mattina in Vaticano, nel corso dell’udienza privata tra i consulenti del lavoro e il Santo Padre. Un’occasione per sottolineare il ruolo sociale della categoria, fortemente impegnata ...

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Ambiente, dalle foreste ai ghiacciai: studio sui servizi ecosistemici dell'Alta Valtellina

(Adnkronos) - Opere di bonifica e rimboschimento, casette-nido per gli uccelli, un catasto dei ghiacciai Alpini. Il Gruppo Sanpellegrino rinnova il proprio impegno per la tutela dell’acqua, degli habitat montani e della biodiversità in Alta Valtellina ...

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Università, Marinozzi (Ucbm): "Specializzandi ortopedia in sala operatoria dal primo anno"

(Adnkronos) - "La scuola di specializzazione in ortopedia e traumatologia del Campus Bio-Medico di Roma nasce 25 anni fa grazie alla volontà del professor Vincenzo Denaro ed è stata successivamente ampliata dal professor Rocco Papalia, attuale direttore". L’attività chirurgica, "con oltre 2mila interventi protesici l’anno – anca, ginocchio, spalla e caviglia – consente agli specializzandi di entrare in sala operatoria già dal primo anno di formazione. È un elemento che ci differenzia da molte altre scuole e che permette ai giovani medici di acquisire fin da subito familiarità con quella che sarà la loro vita professionale". Lo ha detto Andrea Marinozzi, professore associato dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, intervenendo, oggi a Roma, al primo incontro annuale del team di ricerca in ortopedia e traumatologia dell’Ateneo. Il docente ha sottolineato l’impegno sul fronte dell’urgenza-traumatologia e del rispetto degli standard regionali di qualità, in particolare nel trattamento delle fratture di femore entro le 48 ore. "Solo nell’ultimo anno abbiamo trattato quasi 300 fratture di femore nei tempi previsti. È un lavoro complesso che richiede un forte gioco di squadra tra ortopedici, anestesisti, cardiologi e internisti, ma che garantisce ai pazienti cure tempestive e di qualità”.

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Consulenti del lavoro, una professione al servizio dei più fragili

(Adnkronos) - Un incontro speciale, carico di significato umano, quello che si è svolto questa mattina in Vaticano, nel corso dell’udienza privata tra i consulenti del lavoro e il Santo Padre. Un’occasione per sottolineare il ruolo sociale della categoria, fortemente impegnata nel favorire l’inserimento socio-lavorativo delle persone più fragili e nel promuovere un lavoro sicuro, dignitoso e inclusivo. Valori e funzioni che trovano spazio nel volume 'Lavoro, persone, comunità. I consulenti del lavoro nel Giubileo della Speranza', donato a Papa Leone XIV. Progressi e limiti dell’inclusione nel mercato del lavoro italiano sono al centro anche della fotografia scattata per l’occasione dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro in un focus sui diversi segmenti della popolazione che vivono situazioni di fragilità, sulle motivazioni che ostacolano l’inclusione e sui risultati ottenuti finora. I dati che emergono dalla nota evidenziano segnali incoraggianti sul fronte del mercato occupazionale. Il numero dei Neet si è ridotto di quasi 1 milione di unità negli ultimi anni, pur restando ancora oltre 2 milioni di giovani esclusi da percorsi di lavoro o formazione. Miglioramenti, seppur graduali, si registrano anche per le persone con disabilità, il cui tasso di occupazione è cresciuto nel tempo (il 41,8% risulta occupato) così come sono aumentate le iniziative di formazione e lavoro rivolte agli ex detenuti. Accanto a questi elementi positivi, permane un’area di inclusione debole, legata al lavoro sommerso e alla povertà educativa e lavorativa, che richiede interventi mirati per rafforzare qualità e stabilità dell’occupazione. Ed è proprio in questo contesto che il ruolo dei consulenti del lavoro assume una valenza strategica. “L’incontro con il Santo Padre è stato un momento di grande valore umano e simbolico, che ha contribuito a rafforzare il nostro ruolo sociale, ricordandoci come il lavoro debba essere prima di tutto uno strumento di dignità, inclusione e servizio verso i più fragili: è questa la missione che ogni giorno anima il nostro impegno nel sostenere lavoratori e imprese, nel contrastare le disuguaglianze e nel costruire opportunità per chi è ai margini del mercato del lavoro”, ha commentato il presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca. “Cerchiamo di costruire il domani garantendo il diritto alla pensione ai colleghi. Lavoriamo anche per garantire assistenza e aiuto sulla previdenza, sulla sanità e a tutte quelle attività che garantiscono il benessere e le prospettive future dei consulenti”. A dirlo Sergio Giorgini, presidente Enpacl, nel corso dell’evento ‘Costruire il domani-etica, valori, sostenibilità, legalità’, promosso dal Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, dall’Enpacl, dalla Fondazione studi e dalla Fondazione Lavoro. “Questo è un Governo stabile che sta producendo risultati positivo dal punto di vista dell’occupazione. Credo che sia importante, in tutte le scelte che facciamo, mantenere il rigore della competenza e dei valori etico-professionali; aspetti questi che fanno la differenza”. A dirlo Marina Calderone, ministro del Lavoro e delle politiche sociali, nel corso dell’evento. “Non c’è inclusione senza lavoro; aver bisogno di un sostegno non è una condizione da cui non si può uscire, anzi - avverte - un sostegno serve per poi entrare nel mercato del lavoro”. “Diminuiscono gli infortuni nel settore strettamente lavorativo - osserva - ma aumentano quelli in itinere. E proprio su questo dobbiamo lavorare. Con il decreto sicurezza che oggi approviamo ci prenderemo cura dei superstiti minori che hanno perso un genitore sul lavoro, pagando borse di studio per essere accompagnati serenamente nel mercato del lavoro. Il 2026 - assicura - ci porterà un ulteriore impegno per la realizzazione di norme che non devono essere però attuate con gli occhiali del passato”. “Oggi - sostiene Fabrizio D’Ascenzo, presidente Inail - è una giornata storica perché si sono incastrate tre questioni fondamentali: conversione in legge del decreto sicurezza, la pubblicazione del nuovo bando Isi e l’evento organizzato dai consulenti del lavoro mi dà l’occasione di parlarne. I consulenti del lavoro conoscono benissimo l’attività dell’Inail; con la categoria abbiamo stipulato una convenzione per collaborare su formazione e informazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Noi cerchiamo di fare in modo che con la prevenzione, il prima, si possa evitare il dopo. La nostra ricerca ci consente di ottenere tecnologie utilissime per la prevenzione. L’Ia generativa consente di ottenere qualcosa in più che noi autonomamente non possiamo ottenere però va governata. Lo strumento ci consente di evitare che il prima possa condizionare il dopo nella vita di una persona”. “Bisogna investire nel lavoro per far sì che le persone con disabilità nel nostro Paese diminuiscano. Incentiviamo le imprese a dedicare 1 ora per attività sul posto di lavoro dei dipendenti, defiscalizzando quell’ora”. A dirlo Francesco Vaia, Autorità garante nazionale diritti persone con disabilità. “La disabilità - spiega - nasce dalla genetica, dall’infortunistica che non è solo sul lavoro, ma anche sulla strada e domestica, e dall’invecchiamento non attivo. Oggi il mondo del lavoro è la più grande infrastruttura dinamica esistente sia sul pubblico che sul privato e su questo bisogna intervenire per aiutare il mondo dei disabili”. La povertà educativa rappresenta una delle principali dimensioni strutturali di fragilità nel mercato del lavoro italiano, in quanto incide in modo persistente sulla capacità delle persone di accedere, mantenere e valorizzare un’occupazione, amplificando il rischio di esclusione lavorativa e di inclusione debole anche in presenza di crescita dell’occupazione. Quasi il 40% degli italiani tra i 20 e 64 anni che hanno al massimo un livello di istruzione medio restano fuori dal mercato del lavoro perché inattivi, mentre un altro 10% circa non riesce ad accedere ad un’occupazione, pur ricercandola. Emerge dalla nota, presentata oggi dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, 'Progressi e limiti dell'inclusione del mercato del lavoro italiano'. Il livello di inclusione dei soggetti a bassa scolarità risulta sensibilmente inferiore rispetto alle fasce di popolazione con livelli di istruzione più elevati, tra le quali diminuisce sia la propensione all’inattività (è del 26,9% tra i diplomati e del 14,9% tra i laureati) che la difficoltà di inserimento occupazionale (il tasso di disoccupazione è del 6,2% tra i diplomati e 3,4% tra i laureati). Si tratta di un fenomeno fortemente caratterizzato dal punto di vista geografico: al Sud, non solo la quota di soggetti a bassa scolarità è più alta del resto d’Italia (tra i 25 e 64 anni arriva al 45,6% contro il 37,5%), ma il rischio di esclusione dal mercato del lavoro è decisamente superiore: è inattivo il 50,1% della popolazione a bassa scolarità (contro valori medi di poco superiori al 30% nelle altre macroaree) mentre il 16,7%, pur cercando lavoro, non riesce a trovarlo (contro un valore che oscilla dal 5,8% nel Nord Ovest, 5,2% nel Nord Est e 6,8% nel Centro). Per quanto la povertà educativa resti un elemento di forte criticità nel nostro Paese, negli ultimi anni, le maggiori opportunità create da un mercato del lavoro estremamente dinamico, che ha visto anche nel Mezzogiorno crescere i livelli occupazionali, hanno favorito una maggiore efficacia delle politiche volte all’inclusione dei segmenti di più difficile collocazione. Il tasso di inattività, infatti, è ritornato sui livelli pre-Covid, dopo avere registrato tra 2020 e 2022 un incremento significativo (42,2 nel 2020) mentre quello di disoccupazione è diminuito dal 14,4 del 2018 al 13,2 del 2021, fino all’attuale 9,6% con un decremento particolarmente marcato nell’ultimo triennio. In parte collegato ma non sovrapponibile, è il fenomeno dei Neet. Questo, se da un lato può rappresentare l’esito diretto di percorsi di povertà educativa, caratterizzati da bassi livelli di istruzione, competenze di base insufficienti e transizioni scuola–lavoro fragili o interrotte, dall’altro include situazioni riconducibili a fattori ulteriori, quali la debolezza della domanda di lavoro locale, la precarietà dei percorsi di ingresso nel mercato del lavoro, i carichi familiari, le condizioni di salute o lo scoraggiamento prolungato. Un fenomeno che pur restando strutturale - sono ancora 2 milioni 79 mila i giovani di 15-34 anni non inseriti in percorsi di lavoro o istruzione, pari al 17,3% delle popolazione in tale fascia d’età - ha tuttavia registrato negli ultimissimi anni un drastico ridimensionamento, riconducibile in parte al rafforzamento della domanda di lavoro in alcuni settori a elevata intensità occupazionale, in parte all’espansione e alla maggiore focalizzazione delle politiche pubbliche rivolte ai giovani - in particolare sul versante dell’orientamento, della formazione professionalizzante e delle politiche attive - che hanno contribuito a intercettare una quota di giovani precedentemente inattivi o scoraggiati. A questi elementi si aggiungono fattori demografici, come la riduzione delle dimensioni delle coorti giovanili, che ha attenuato la pressione sull’ingresso nel mercato del lavoro, e un progressivo adattamento dei percorsi formativi alle esigenze produttive. L’insieme di tali fattori ha contribuito a ridurre di quasi un milione il numero dei Neet, passati da 3.011 mila del 2018 agli attuali 2.079 mila, e a portare l’incidenza dal 24,6% al 17,3%, grazie soprattutto alla riduzione di quanti erano alla ricerca di lavoro (passati da 1 milione 123 mila a 630 mila, per una contrazione del 43,8%) e, in misura meno rilevante, degli inattivi (ridotti da 1.889 mila a 1 milione 449 mila, per una contrazione del 23,3%). A beneficiare maggiormente del dinamismo del mercato è stata la componente più giovane, dove l’incremento delle opportunità occupazionali ha favorito l’uscita da una condizione di esclusione non ancora 'cronicizzata': le fasce d’età 20-24 anni e 25-29 anni sono quelle in cui si sono registrati i miglioramenti più significati, con una riduzione dell’incidenza dei Neet sulla popolazione di circa 9 punti percentuali tra 2018 e 2024. Di contro, tra i 30-34enni, la riduzione è stata molto meno sensibile (circa 5 punti percentuali), registrandosi proprio in questa fascia d’età l’incidenza più alta di giovani esclusi da qualsiasi forma di impegno lavorativo o formativo (23,2% contro il 21,5% dei 25-29enni, 17,8% dei 20-24enni e 6% dei 15-19enni). In Italia ci sono condizioni di fragilità specifiche che determinano forme di esclusione più difficili da contrastare. Al contrario della povertà educativa che configura una fragilità di natura cognitiva e formativa, che incide soprattutto sulla capacità di utilizzare il lavoro come leva di mobilità e stabilità (limitando l’accesso a occupazioni qualificate, riducendo l’adattabilità ai cambiamenti produttivi e aumentando il rischio di precarietà e povertà lavorativa), ma non preclude necessariamente l’ingresso nel mercato del lavoro in senso assoluto, le fragilità specifiche tendono a richiedere interventi di tipo compensativo, protettivo o di accompagnamento intensivo, in grado di supportare un’inclusione al lavoro che difficilmente il soggetto interessato può realizzare in autonomia. E' il caso degli ex detenuti, dove la condizione di detenzione produce una discontinuità biografica e occupazionale accompagnata da stigma, perdita di reti sociali e talvolta restrizioni formali, che determinano una situazione di emarginazione dal lavoro difficile da scardinare. Quello degli ex detenuti è un universo non quantificato dalle statistiche ufficiali, ma che nell’ultimo anno (giugno 2024-giugno 2025) si è alimentato di quasi 30 mila unità. Tra 2013 e 2023, secondo la relazione al Parlamento del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, sono state più di 370 mila le persone uscite in libertà. L’uscita dal carcere avviene frequentemente in assenza di un lavoro, con reti sociali deboli o compromesse e con un accesso limitato ai servizi per l’impiego. In questi casi, la combinazione di stigma, vincoli amministrativi, problemi abitativi e, talvolta, condizioni di salute o dipendenze pregresse rende estremamente difficile un reinserimento occupazionale rapido e stabile. Ancora di più se il periodo di detenzione è stato caratterizzato dalla sospensione di qualsiasi tipo di attività lavorativa. (segue) Secondo un rapporto del Cnel del 2025 'Recidiva zero' solo il 34,3% dei detenuti è coinvolto in attività lavorative. Un dato molto basso, che tuttavia risulta in crescita negli ultimi anni, considerato che nel 2004 la percentuale era del 26,6%. Fra le tipologie di lavoro in cui sono impegnati i lavoranti detenuti, si osserva una concentrazione nei servizi d’istituto (il 70,7% è impegnato in questa tipologia), mentre il 5,4% lavora in istituto per conto di cooperative o imprese, il 5,3%, essendo in regime di semilibertà, lavora in proprio o per conto di datori di lavoro esterni e il 5% si occupa della manutenzione dei fabbricati. Anche la frequenza di attività formative rappresenta un’opportunità per il successo del futuro reinserimento, ma i numeri mostrano come gli spazi di attivazione siano ancora molto ampi. Il rapporto evidenzia infatti come il 31,3% sia stato coinvolto nella frequenza di percorsi di istruzione di primo e secondo livello nell’anno scolastico 2023-2024, anche se il conseguimento dei titoli di studio presenta un tasso di successo limitato pari al 56,9% per chi ha frequentato i corsi di secondo livello, mentre per il primo livello la quota di promossi si è fermata al 34,6% (anno scolastico 2023-2024). Segnali più positivi emergono con riferimento alla partecipazione ai corsi di formazione professionale, che segnano un incremento dei detenuti partecipanti, passati dal 4,1% del 2019 al 7,2% del 2024. Edilizia, orientamento al lavoro, giardinaggio e agricoltura sono le altre tipologie di corsi che hanno riscontrato il maggior numero di iscritti, con tassi di successo in tutti e tre i casi superiori al 90%. (segue) Anche la disabilità si configura come una condizione personale che comporta limitazioni funzionali e la necessità di adattamenti organizzativi che il mercato del lavoro non sempre è in grado di offrire. E in grado di determinare situazioni di esclusione particolarmente gravose per le persone le cui prospettive di inclusione professionale restano ancora fortemente limitate nel nostro Paese. Secondo le elaborazioni di Fondazione Studi su dati Istat, su 100 persone tra i 15 e 64 anni che, pur presentando disabilità gravi, sono in condizione di poter lavorare, solo il 41,8% lavora mentre il 21% non riesce ad inserirsi nel mercato del lavoro, pur ricercando un’occupazione. Si tratta di un universo stimabile in circa 150/170 mila persone che risultano escluse dal mercato a causa della permanenza di limiti strutturali, fisici, logistici e soprattutto culturali che ne precludono sistematicamente le chances di inclusione. Peraltro, malgrado negli ultimi anni si siano registrati importanti miglioramenti sotto il profilo dell’inclusione formativa e sociale delle persone che presentano disabilità, il rapporto con il lavoro rappresenta per questa parte di popolazione una dimensione ancora critica, pur in presenza di qualche positivo segnale. Rispetto al 2013, la quota di occupati tra persone con disabilità grave in condizione di poter lavorare è aumentata, passando dal 35,4% all’attuale 41,8%, con una crescita particolarmente significativa negli ultimi tre anni, grazie al positivo andamento del mercato, che ha generato nuove opportunità anche per questo segmento di offerta. Va tuttavia evidenziata al contempo la persistenza di barriere rilevanti nell’accesso al lavoro, considerato che la quota di persone che non riescono ad accedere ad un’occupazione, pur desiderando lavorare, resta elevata e sostanzialmente stabile nei dieci anni considerati. Nel mercato del lavoro c'è un’area di confine, che potrebbe essere definita di inclusione debole, in cui l’accesso all’occupazione è formalmente possibile ma strutturalmente instabile e precario. In questa situazione, il lavoro non svolge pienamente la sua funzione di inclusione sociale ed economica: la continuità occupazionale è fragile, il potere contrattuale ridotto e le opportunità di mobilità limitate. Riguarda lavoratori che, pur essendo presenti nei circuiti produttivi, rimangono esposti a un elevato rischio di esclusione, in cui il confine tra lavoro regolare e lavoro irregolare tende a farsi poroso e le condizioni di debolezza contrattuale tendono a tradursi in fragilità economica. Il lavoro sommerso rappresenta l’area di più evidente di manifestazione, dove le tante forme in cui si può configurare l’irregolarità del rapporto danno conto di una condizione occupazionale, oltre che non legale dal punto di vista formale, estremamente debole sotto il profilo sostanziale. Una condizione che ancora accomuna una quota estremamente rilevante di lavoratori, stimabile secondo Istat in quasi 3 milioni di unità di lavoro, pari al 12,7% del totale. Va tuttavia evidenziato come nell’ultimo decennio, e in particolare a partire dal 2020, il fenomeno abbia registrato una flessione dovuta in primis agli effetti della regolarizzazione del 2020, ma anche al miglioramento delle condizioni di accesso all’occupazione. Il dinamismo della domanda, unito alla scarsità crescente dell’offerta di manodopera, ha avuto un effetto positivo nelle condizioni di ingaggio di molti lavoratori: il tasso di irregolarità si è infatti ridotto dal 14,8% del 2018 al 12,7%, mentre il numero degli irregolari (sempre espresso in unità di lavoro) è passato da 3,5 milioni a 3 milioni circa per una contrazione superiore al 15%. Restano tuttavia ambiti di attività in cui l’irregolarità fa più difficoltà a scardinare la logica sistemica che ne è alla base. E' il caso del settore domestico, dove l’Istat conta 55 irregolari ogni 100 occupati, alloggio e ristorazione (24), il settore dei servizi artistici e dell’intrattenimento (22), agricoltura e pesca (18). In parte legati al sommerso sono i fenomeni di povertà lavorativa, che tuttavia fanno riferimento ad uno spettro molto più ampio di situazioni, in cui il lavoro, pur essendo presente, non consente di raggiungere un livello di reddito e di sicurezza economica sufficiente a garantire condizioni di vita dignitose. Essa riguarda lavoratori formalmente occupati, spesso con contratti regolari, che tuttavia sperimentano bassi salari, discontinuità occupazionale, part-time involontario o una combinazione di più fattori che rendono il reddito da lavoro insufficiente. In questa prospettiva, la povertà lavorativa non coincide con l’assenza di lavoro né con l’irregolarità giuridica dell’occupazione, ma rappresenta una forma di inclusione debole, in cui il lavoro perde la sua funzione di protezione sociale. Considerando il rischio di povertà tra gli occupati, Istat stima che nel 2024 la quota di famiglie in condizione di povertà assoluta con persona di riferimento occupata fosse pari al 7,9%, un valore più basso rispetto all’anno precedente, quando tale indicatore si collocava all’8,1%, ma superiore rispetto al 2018, quando si attestava al 6,1%. Il rischio, secondo le stime Istat, è più elevato tra le famiglie con titolare un lavoratore dipendente (8,7%), in particolare se operaio o assimilato (15,6%) rispetto a quelle in cui il capofamiglia ha un lavoro indipendente (5,2%). In via generale, il rischio povertà associato ad un occupato è superiore a chi è ritirato dal lavoro (5,8%).

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Ambiente, dalle foreste ai ghiacciai: studio sui servizi ecosistemici dell'Alta Valtellina

(Adnkronos) - Opere di bonifica e rimboschimento, casette-nido per gli uccelli, un catasto dei ghiacciai Alpini. Il Gruppo Sanpellegrino rinnova il proprio impegno per la tutela dell’acqua, degli habitat montani e della biodiversità in Alta Valtellina illustrando i primi risultati dello studio dei servizi ecosistemici e gli interventi implementati negli ultimi anni in queste aree colpite dalla tempesta Vaia nel 2018. L’eccezionale evento atmosferico aveva infatti abbattuto circa 115 ettari di foresta solo nel Comune di Valdisotto e, per la maggior parte, nella zona di Cepina dove di trova lo stabilimento di Levissima. (Video) I progetti di riforestazione sviluppati da Sanpellegrino insieme al Comune di Valdisotto, al Consorzio Forestale Alta Valtellina e all’Università degli Studi di Milano, avviati nel 2023, segnano un importante risultato, nel solco di un intervento più ampio che proseguirà fino al 2027 con ulteriori opere di bonifica, rimboschimento e bioingegneria del suolo per ridurre la caduta di massi e frane e limitare l’erosione. Dal 2028 al 2033 è inoltre prevista una terza fase dedicata alla manutenzione del bosco rigenerato dopo questi interventi. Parallelamente, il Gruppo Sanpellegrino, con il supporto dell’Università degli Studi di Milano e del Consorzio Forestale dell’Alta Valtellina, ha analizzato le opere effettuate nel biennio 2024-2025 - ed eseguito una valutazione dei servizi ecosistemici - ovvero i benefici che la natura fornisce e che contribuiscono alla stabilità ambientale ed al benessere dell’uomo. I primi risultati, presentati oggi, hanno evidenziato, attraverso indicatori ambientali ed economici, i danni provocati da Vaia e i benefici ripristinati grazie agli interventi di riqualificazione. In particolare, i 115 ettari di foresta danneggiata nel Comune di Valdisotto hanno portato a una perdita dello stock di legname superiore a 28mila metri cubi. Grazie alle prime tranche di lavori, ad oggi, sono stati fatti interventi su 51 ettari di bosco di cui: 18 ettari di recupero di piante schiantate o colpite dal bostrico (un coleottero la cui proliferazione è stata favorita dalla marcescenza degli alberi caduti), 9 ettari di rimboschimenti e 24 ettari di interventi preventivi. Sono stati rimossi 4.500 metri cubi di legno compromesso e piantati 15mila alberi appartenenti a otto specie differenti. Secondo lo studio sui servizi ecosistemici realizzato dall’Università degli Studi di Milano, le opere di riforestazione condotte nelle aree più colpite della zona di Cepina (Comune Valdisotto) consentiranno un aumento del valore della provvigione pari a 260mila euro: nello specifico passerà da 1.140.000 euro a 1.400.000 euro (calcolato sull’ultimo dato disponibile del prezzo del legname). Tutti questi interventi, valutati secondo indicatori scientifici, porteranno benefici quantificabili nel tempo, tra i quali anche un incremento del volume di acqua rigenerata stimato in circa 1,4 milioni di metri cubi (2023-2035). È in corso, inoltre, un’indagine sui servizi turistici dell’area di Bormio, basata su oltre 300 questionari, che consentiranno di valutare la percezione del territorio da parte di residenti e visitatori, il valore dei servizi socioeconomici, principalmente legati al turismo e la disponibilità a contribuire economicamente alla preservazione di questo habitat. Un altro progetto, messo in campo da Sanpellegrino, è quello delle 'Casette nido', realizzato in collaborazione con l’Università degli studi di Milano, il Consorzio Forestale Alta Valtellina e il Parco Nazionale dello Stelvio, per contribuire alla tutela della biodiversità ornitologica nelle aree colpite da Vaia. La tempesta aveva compromesso in modo significativo anche la presenza di specie insettivore come la cincia nera, che nidifica esclusivamente in cavità presenti in alberi maturi. Per favorire la ricolonizzazione naturale, sono state installate 40 casette-nido attualmente monitorate dai ricercatori attraverso 50 punti di ascolto, che hanno permesso di osservare già le prime covate. In aggiunta, sono state posizionate 10 casette-nido dedicate alla civetta nana, un rapace simbolo delle alte quote e specie a rischio. Da oltre 17 anni Sanpellegrino, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e le istituzioni locali della Valtellina, sostiene la tutela degli ambienti montani locali. Questa collaborazione ha portato, negli anni, alla realizzazione del primo catasto di tutti i ghiacciai Alpini - con dati e informazioni sui 903 ghiacciai presenti sulle nostre montagne - e alla realizzazione di un programma di studio della criosfera. Le ricerche sono partite dal bacino glaciale Dosdè-Piazzi, da cui sgorga l’acqua Levissima, e dal 2014 le attività di campo includono anche il Ghiacciaio dei Forni, nel Parco dello Stelvio. “Proteggere i territori in cui sgorgano le nostre acque minerali è da sempre parte integrante del nostro impegno, ma oggi tutelare la biodiversità, minacciata dai cambiamenti climatici, come l'evento atmosferico estremo di Vaia, richiede uno sforzo ancora più grande. Continuiamo quindi ad adottare un approccio scientifico, lavorando insieme ai nostri partner per rigenerare i cicli idrologici e gli ecosistemi locali. Ci impegniamo, inoltre, a mettere a sistema, con le istituzioni e le realtà dei territori in cui siamo presenti, le esperienze già avviate, come il progetto per i ghiacciai - che portiamo avanti da più di 17 anni - il progetto Vaia, e a costruire insieme nuove partnership volte a sviluppare soluzioni innovative per affrontare le sfide future, ha dichiarato Ilenia Ruggeri, direttore generale del Gruppo Sanpellegrino. “L’obiettivo del Parco nazionale dello Stelvio è quello di rendere gli ecosistemi più resilienti, affinché siano in grado di assorbire gli impatti - ambientali, sociali o economici, che inevitabilmente attraversano un territorio vivo. La ricerca e le iniziative di sensibilizzazione, supportate anche da Levissima, nella nostra lunga collaborazione, ci consentono oggi di intervenire con misure calibrate sui luoghi e sui loro limiti ecologici e di trovare infine un equilibrio tra tutela, fruizione e sviluppo economico e locale”, ha affermato Franco Claretti, direttore Parco Nazionale dello Stelvio. “La Tempesta Vaia ha messo in evidenza la vulnerabilità degli ecosistemi forestali nei confronti dei sempre più frequenti eventi meteorologici estremi, rendendoci più consapevoli delle sfide future che i gestori forestali dovranno affrontare e inducendoci a ripensare le strategie di intervento tradizionali - ha aggiunto Michele Franzini, dottore Forestale del Consorzio Forestale Alta Valtellina - Il sostegno del Gruppo Sanpellegrino ci sta permettendo di affrontare con continuità questo percorso così importante, mentre la collaborazione con l’Università degli Studi di Milano sta orientando le nostre scelte, aiutandoci a definire con rigore scientifico delle azioni mirate per affrontare dei fenomeni così complessi”. “Con Levissima proseguiamo una collaborazione sui ghiacciai della Lombardia, e non solo, attiva da 17 anni, per misurare gli effetti del cambiamento climatico sulla loro riduzione e condizioni superficiali, grazie a stazioni meteo automatiche, droni e satelliti, utili anche per ricostruzioni 3D e mappatura dei rischi ambientali. Oggi questa esperienza sostiene una nuova sfida: stimare il valore economico dei servizi ecosistemici dell’Alta Valtellina, dalle foreste alla criosfera. Un lavoro innovativo che colma un vuoto scientifico e offre dati concreti per decisioni territoriali più consapevoli", ha dichiarato Antonella Senese, Università degli Studi Milano.

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