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(Adnkronos) - Importante colpo esterno per il Genoa di De Rossi che si impone 2-1 contro l'Udinese in Friuli, grazie al gol nel finale di Norton-Cuffy, dopo il vantaggio nel primo tempo firmato da Malinovskiy su calcio di rigore e il momentaneo pareggio di Piotrowski. Grazie a questo successo i rossoblu salgono a 14 punti, togliendosi dalla zona pericolosa, mentre i bianconeri restano fermi a 18. L'Udinese crea ma non è abbastanza pericolosa nel primo tempo, con la squadra di Runjaic che prova ad attaccare il Genoa e riesce anche ad andare in vantaggio al 9' ma la rete di Davis viene annullata per fuorigioco. Poco dopo però Okoye stende in area Colombo e dal dischetto al 34' Malinovskyi porta avanti il Genoa. L'Udinese al 51' ha una doppia opportunità per il pareggio, sempre con Bertola ma è bravo Leali a chiudere lo specchio della porta. Il gol dei bianconeri arriva al 65': Solet apre per Rui Modesto che serve in area Piotrowski che con il piattone infila la palla sotto l'incrocio dei pali per l'1-1. La gara si accende e al 69' grande occasione per il Genoa con Colombo che ad un passo dalla porta ci prova di testa ma è attento Okoye che allunga la mano ed evita il gol. All'83' in ripartenza il Genoa trova il nuovo vantaggio: veronica di Messias in mezzo al campo e apertura per Ekuban che prova a ridare palla in area al brasiliano che cicca il tiro da sotto porta ma di fatto libera Norton-Cuffy che tutto solo non sbaglia, con il pallone che tocca il pallo e termina in porta per l'1-2 rossoblu. L'Udinese prova subito a reagire e all'85' arriva il colpo di testa di Buksa che però non trova lo specchio della porta. Nel recupero ci prova dal limite Lovric ma Leali respinge e fa gioire i tifosi del Genoa.
(Adnkronos) - Il gender pay gap in Italia resta una distanza difficile da colmare. Gli ultimi dati dell’Osservatorio Inps lo certificano con chiarezza: nel 2024, nel settore privato non agricolo, le donne hanno percepito in media 19.833 euro, contro i 27.967 euro degli uomini, con una differenza di circa il 29%. Una forbice che non accenna a restringersi e che anticipa l’urgenza di un cambio di passo, anche alla luce della nuova Direttiva europea 2023/970, destinata a entrare in vigore dal 2026. Di fronte a un divario che resta strutturale, la nuova cornice europea punta a scardinare le asimmetrie retributive con strumenti di trasparenza e obblighi che coinvolgeranno direttamente i datori di lavoro. La direttiva introduce infatti un insieme articolato di misure che ridefinirà il modo in cui le imprese costruiscono, comunicano e rendicontano le proprie politiche retributive, chiedendo alle aziende un ripensamento profondo dei processi interni e dei criteri con cui vengono stabiliti salari, avanzamenti e ruoli. Boris Martella, Counsel di Norton Rose Fulbright, sottolinea come “la direttiva Ue 2023/970, che dovrà essere adottata dagli Stati membri entro il 7 giugno 2026, imporrà l’adozione di sistemi retributivi trasparenti e non discriminatori, con l’obiettivo di garantire la parità salariale tra donne e uomini per lo stesso lavoro o per lavori di pari valore ed evitare trattamenti salariali differenti non giustificati da criteri oggettivi". "In particolare, le aziende - chiarisce - dovranno garantire una maggiore trasparenza nelle retribuzioni, sin dalla pubblicazione degli annunci, prevedendo sistemi retributivi basati su criteri oggettivi e neutri rispetto al genere, nonché rivedendo i processi di selezione e promozione, mappando i ruoli secondo criteri chiari e oggettivi, predisponendo policy retributive conformi e pianificando attività di rendicontazione periodica sul gender pay gap". "Al contempo, la direttiva - prosegue - riconosce diritti di informazione alle rappresentanze sindacali, nonché ai singoli lavoratori, al fine di rendere il sistema maggiormente partecipativo e trasparente. Le aziende, pertanto, dovranno revisionare e aggiornare le proprie policy e adottare una serie di misure volte al rispetto dei suddetti principi, la cui violazione sarà soggetta a specifiche sanzioni. Tuttavia, il corretto adempimento di tali obblighi non presuppone la mera adozione di atti formali, ma richiede una profonda rivoluzione culturale che preveda la sensibilizzazione dei soggetti coinvolti e l’effettivo superamento dei vecchi sistemi retributivi e di carriera, spesso troppo oscuri e reconditi, con l’introduzione di sistemi chiari, oggettivi e conoscibili da tutti gli interessati, per garantire davvero una parità di trattamento indipendentemente dal genere”. L’esigenza di rendere misurabile, trasparente e giuridicamente certo il concetto di “lavoro di pari valore” è centrale anche per Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent, che ricorda come il principio della parità di retribuzione sia attualmente ostacolato dalla mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi e dalla mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore. “I datori di lavoro - commenta - potranno retribuire in modo diverso i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore solo sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere e privi di pregiudizi come le competenze, l’impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro. Il principio della parità retributiva contempla sia lo stipendio sia le componenti complementari e variabili della retribuzione. La direttiva auspica una trasparenza nei livelli retributivi e nelle progressioni di carriera e invita i datori di lavoro a essere proattivi agendo nel rispetto delle misure sulla trasparenza retributiva per affrontare la natura sistemica della discriminazione retributiva. Sarà fondamentale la formazione per le persone della funzione Hr su parità di retribuzione, valutazione e classificazione del personale”. Un’altra leva decisiva riguarda la conoscenza interna dei livelli retributivi. Gaspare Roma, partner di De Berti Jacchia, osserva che la direttiva “rafforza la tutela antidiscriminatoria in materia di parità salariale, introducendo specifici obblighi informativi in capo ai datori di lavoro, al fine di consentire ai lavoratori non solo di avere libero accesso (in modo chiaro e trasparente) ai dati retributivi in azienda, ma anche di poter comprendere i criteri, oggettivi e condivisi, per la determinazione delle politiche salariali aziendali". "Le imprese, dunque, dovranno in primis effettuare una mappatura interna dei loro livelli salariali, per valutare possibili aree di disuguaglianze, introducendo anche idonei strumenti per garantire la trasparenza informativa in favore dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali”, rimarca. Se la direttiva fornisce un quadro normativo, la sua piena attuazione passa dalla trasformazione culturale delle organizzazioni. Secondo Daniele Arduini, ceo & co-founder di Kampaay, partner tecnologico per l’event management, “i dati Inps fotografano una realtà che richiede un cambio di passo culturale, prima ancora che normativo". "La direttiva Ue del 2026 sulla trasparenza salariale - continua - sarà uno strumento necessario, ma le aziende innovative non possono aspettare una legge per riconoscere il valore delle persone". "In Kampaay - ricorda - viviamo una situazione particolare, figlia del nostro Dna ibrido. Siamo una realtà tecnologica, un settore storicamente a trazione maschile, che opera nel mondo degli eventi, dove la presenza femminile è fortissima. Questo incontro tra mondi diversi ha creato un ecosistema dove l'equilibrio di genere non è stato imposto da quote rosa o calcoli a tavolino, ma è emerso come conseguenza naturale della ricerca del talento". "Oggi la nostra popolazione aziendale - fa notare - è a prevalenza femminile e, dato ancora più rilevante, questo si riflette nei ruoli decisionali. Escludendo i founder, la maggioranza del nostro Management Team (Head of) è composta da donne che guidano dipartimenti strategici. Per noi la parità salariale non è un esercizio di stile, ma una logica di business: retribuiamo l'impatto e la complessità del ruolo, non il genere di chi lo ricopre. In un'azienda in forte crescita come la nostra, dove spesso convivono funzioni molto diverse tra loro, dallo sviluppo software al creative management, la sfida è proprio quella di mantenere un allineamento retributivo basato sul valore generato. Ed è quello che facciamo ogni giorno: garantire che a parità di impatto corrisponda parità di trattamento, creando un ambiente dove la leadership femminile è la norma, non l'eccezione". A ricordare la profondità del cambiamento necessario è anche Laura Basili, co-founder insieme a Ilaria Cecchini di Women at Business, piattaforma innovativa di matching professionale al femminile, per la quale i dati Inps sono “lo specchio di un Paese che continua a sottovalutare il talento femminile". "Se oggi le donne guadagnano quasi il 30% in meno degli uomini, significa - avverte - che c’è ancora un enorme potenziale inespresso, una ricchezza che l’Italia non sta mettendo a valore. La direttiva europea sulla trasparenza salariale è un passo importante, ma non basterà una norma a colmare il divario se non cambia l’atteggiamento culturale dentro le aziende e nella società. Per Women at Business, la vera sfida sta nel superare i pregiudizi che la generano: riconoscere il lavoro delle donne, sostenere i loro percorsi di carriera, favorire leadership inclusive e ambienti in cui il merito sia davvero ciò che conta. La parità retributiva è una responsabilità collettiva e una condizione necessaria perché l’Italia possa crescere, innovare e competere”.
(Adnkronos) - “Noi viviamo secondo natura, allevando i nostri animali al pascolo”. Luca Quirini, classe ’94, fondatore dell’Azienda Agricola Quira, ha ricevuto il Good Farmer Award per il suo modello di allevamento incentrato sul benessere animale e sulla tutela del territorio ligure. “Siamo pastori da marzo a dicembre: transumiamo dalla Valle Sturla alle vette della Val d'Aveto fino a 1500 metri, portando al pascolo i nostri bovini di razza cabannina, autoctona della Liguria”, ha raccontato. Gli animali si nutrono solo di erba e, d’inverno, di fieno biologico acquistato in zona: “È un vivere secondo natura, con la linea vacca-vitello”. Sul dibattito sulla zootecnia, Quirini afferma: “Oggi non è più possibile non farla in maniera sostenibile: i costi di produzione dell’allevamento intensivo non rendono più. La nostra è una scelta etica, ma è anche un modello che dà benessere al territorio e agli animali, e permette una continuità economica al mestiere”.