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(Adnkronos) - La via proposta da Ursula von der Leyen per utilizzare i beni congelati alla Russia per sostenere l'Ucraina genera seri "dubbi", perché comporta "rischi enormi" per gli Stati membri e potrebbe rivelarsi un "boomerang". Tentare di "sottomettere" il Belgio, costringendolo a dare via libera al progetto, non è una "buona idea", tanto più che le preoccupazioni espresse dal primo ministro Bart De Wever sono "valide". E usare il Mes come garanzia non risolverebbe il problema delle responsabilità, che rimarrebbero in capo agli Stati membri. Lo dice all'Adnkronos l'eurodeputato della Csu bavarese Markus Ferber, coordinatore del Ppe nella potente commissione Econ e vicepresidente della sottocommissione Fisco, mentre il cancelliere tedesco Friedrich Merz, leader della Cdu-Csu, è atteso a Bruxelles dove, insieme a von der Leyen, questa sera dovrebbe tentare di convincere il primo ministro belga Bart De Wever a dare via libera al controverso progetto della Commissione. La Germania, tuttavia, non è un monolite e non tutti i tedeschi la pensano allo stesso modo. Ferber è scettico: "Dubito - afferma - che la strada proposta dalla Commissione Europea sia effettivamente quella ottimale. Sebbene incanalare le riserve russe congelate da Euroclear verso l'Ue e poi rigirarle all'Ucraina possa apparire una buona idea, potrebbe diventare un boomerang". Per l'eurodeputato bavarese, "esiste un rischio di responsabilità per gli Stati membri, c'è un rischio legale e anche un rischio per la stabilità finanziaria, come ha sottolineato la presidente della Bce Christine Lagarde all'inizio di questa settimana". La Bce ha espresso ripetutamente grande cautela e scetticismo sul progetto presentato dalla Commissione, evidenziando i rischi per il ruolo dell'euro come valuta di riserva. Secondo Ferber, esistono vie meno rischiose di quella proposta dalla Commissione per utilizzare i beni congelati alla Banca centrale della Federazione Russa dopo l'invasione dell'Ucraina: "Una banca o una società veicolo che utilizzi i beni congelati come garanzia - siuggerisce - sarebbe una soluzione più sicura e sostenibile. In questo modo potremmo mobilitare fondi per l'Ucraina, senza esporre i bilanci nazionali a rischi enormi". A Bruxelles, come ha confermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, vicepresidente del Ppe, c'è chi pensa di ricorrere al Mes, per le necessarie garanzie. "Il sostegno al prestito da parte del Mes - rileva Ferber - affronta solo il rischio immediato per la stabilità finanziaria, ma non il rischio legale e di responsabilità per gli Stati membri". Anche se l'uso del Mes, per l'eurodeputato tedesco, sarebbe "un passo avanti, la responsabilità ricadrebbe comunque sugli Stati membri". Inoltre, il Mes "è uno strumento dell'Eurozona, ma ciò di cui abbiamo bisogno è una soluzione a livello europeo". In questo, osserva, "c'è una discrepanza" tra fini e mezzi. Per Ferber, infine, costringere il governo belga a capitolare non sarebbe affatto saggio: "Dobbiamo trovare una soluzione per continuare a sostenere l'Ucraina - conclude - ma costringere il Belgio alla sottomissione non è una buona idea, soprattutto perché le preoccupazioni sollevate dal primo ministro belga Bart De Wever sono in linea di principio valide". Questa sera il cancelliere Merz incontrerà a Bruxelles von der Leyen e poi i due, insieme, vedranno il premier belga Bart De Wever. Il premier belga già in occasione del Consiglio Europeo di ottobre aveva spiegato nel dettaglio tutti i problemi e i rischi che il prestito basato sugli asset russi progettato dalla Commissione comporterebbe per il suo Paese. (di Tommaso Gallavotti)
(Adnkronos) - L’Italia delle filiere vale 2.600 miliardi di euro, quasi 500 miliardi di export e oltre 17 milioni di occupati. Ma il nuovo rapporto dell’Osservatorio 4.Manager, 'Le filiere produttive nell’era della conoscenza aumentata', mostra che la competitività non si misura più solo in produzione: oggi si misura nella capacità di generare, trasferire e proteggere conoscenza lungo le catene del valore. “Il nostro sistema produttivo - afferma Stefano Cuzzilla, presidente di 4.Manager - ha gli asset per abitare il futuro: creatività, tecnologia, filiere che generano valore. Ma nella quinta rivoluzione industriale la competitività cresce solo se questi asset si parlano. Quando saperi e competenze circolano, il sistema diventa generativo, non estrattivo: entra uno e può uscire mille. È la logica dell’impresa 5.0: dobbiamo rafforzare le leve che la alimentano, dalle politiche di filiera alla cultura d’impresa, dalle piattaforme condivise a una leadership capace di integrare persone e tecnologie. In questo modo l’Ai diventa un vero moltiplicatore di crescita e posiziona il nostro Paese tra i protagonisti della competizione globale nella nuova economia della conoscenza”. Il Rapporto lo dice chiaramente: la cultura di filiera non è un lascito del passato, è la strategia d’adattamento al futuro in cui le imprese capofila sono gli hub strategici del sistema: definiscono la direzione, diffondono standard, accelerano l’innovazione e innalzano la qualità dell’intera catena del valore. Questi sistemi produttivi non sono più catene lineari, ma ecosistemi cognitivi. A questa lettura qualitativa si affianca un’analisi economica che ne misura la portata reale. Le filiere ad elevata rilevanza sistemica individuate da Istat - dall’Agroalimentare all’Energia, dalla Farmaceutica all’Abbigliamento, dalla Meccanica all’Ict - generano oltre il 56% del valore aggiunto nazionale e il 67% dell’export, mostrando come la forza dell’Italia risieda nella capacità di integrare produzione, mercati internazionali e conoscenza. Nei comparti a maggiore intensità cognitiva la produttività per addetto varia dai 269.000 euro della Chimica, ai 137.000 euro della Metallurgica. Questi ambiti rappresentano oggi una componente essenziale dell’economia nazionale, contribuendo in modo determinante alla capacità di crescita del sistema produttivo. Per sostenere questo modello di sviluppo, il Rapporto individua i fronti strategici su cui l’Italia è chiamata a progredire, mostrano margini di miglioramento rilevanti- -Digitale. Il processo di trasformazione digitale è in corso, ma presenta livelli di adozione ancora contenuti. L’8,2% delle imprese utilizza l’Ai integrata nei propri processi produttivi (Ue 13,5%) e il 45,8% della popolazione possiede competenze digitali di base (Ue 55,6%). I servizi pubblici digitali per le imprese si collocano su valori prossimi alla media europea (80,9% contro 86,2%). -Etica, Governance dell’AI e Cybersicurezza. Resta cruciale anche il tema della governance dell’Ai, strettamente legato alla cybersicurezza come componente essenziale dei sistemi produttivi avanzati. Quasi un’impresa su quattro segnala che gli aspetti etici rappresentano un ostacolo all’adozione dell’Ai, in particolare per la necessità di definire standard su protezione dei dati, trasparenza algoritmica e responsabilità nelle decisioni automatizzate. A questo si aggiunge la crescente attenzione alla sicurezza informatica: filiere più digitalizzate richiedono infrastrutture resilienti e capacità di prevenire attacchi che possono compromettere flussi informativi strategici. -Capitale manageriale e competenze: i manager del futuro come orchestratori della conoscenza. Il tema delle competenze e del capitale manageriale rappresenta uno snodo decisivo per la competitività dei sistemi produttivi. Il disallineamento tra domanda e offerta di profili qualificati è evidente soprattutto nelle posizioni ad alta complessità: nel 2024 quasi il 10% delle nuove assunzioni dirigenziali riguarda i Supply Chain Manager - profili che combinano competenze manageriali e specializzazioni in Ict, dati e sostenibilità – ma oltre il 50% delle imprese segnala difficoltà nel reperirli. A questo si aggiungono squilibri strutturali: oltre il 40% dei dirigenti ha più di 55 anni e solo il 22% è donna, fattori che limitano l’ingresso di nuove professionalità nei ruoli apicali. La fotografia del tasso di managerialità - che misura la presenza e l’intensità dell’azione dei dirigenti nelle filiere - conferma quanto il capitale manageriale sia un moltiplicatore competitivo. Le filiere ad alta intensità cognitiva, come Chimica (274), Ict (238) e Farmaceutica (231), registrano i valori più elevati, mentre Turismo (24), Logistica e Costruzioni (57) evidenziano una capacità più limitata di attivare innovazione e crescita. In questo scenario emerge con chiarezza il profilo del manager del futuro, destinato a diventare un vero orchestratore della conoscenza: non un semplice specialista verticale, ma una figura capace di leggere i cambiamenti, connettere competenze eterogenee e trasformare dati, tecnologie e saperi in direzione strategica. Per Stefano Cuzzilla, “sostenere l’evoluzione del Made in Italy significa affrontare una nuova fase competitiva che richiede una vera cultura di filiera, politiche industriali innovative di Sistema e un dialogo istituzionale più solido". "Una direzione pienamente coerente con la mission di 4.Manager, che punta a diffondere cultura d’impresa e a rafforzare le competenze necessarie a far crescere le filiere come ecosistemi integrati”, sottolinea. Su questa visione si articolano le tre direzioni operative fondamentali per i prossimi anni. Primo asse, infrastrutture della conoscenza: servono piattaforme di dati condivisi, standard comuni, un Osservatorio permanente sulle filiere del Made in Italy e strumenti di skills intelligence per aiutare le imprese a identificare rapidamente le competenze manageriali di cui hanno bisogno. Secondo asse, trasformazione digitale delle imprese: è necessario accelerare la digitalizzazione delle pmi, integrarle nelle reti delle grandi imprese capofila e sostenerle nell’adozione dell’intelligenza artificiale lungo tutti i passaggi delle filiere produttive. Terzo asse, capitale manageriale: il Paese deve investire sui manager del futuro attraverso Academy, percorsi di upskilling e reskilling, esperienze in filiere diverse e programmi di mentorship che favoriscano ricambio generazionale e diffusione delle competenze chiave. "Parlare oggi di filiere nell’era della Conoscenza Aumentata - dichiara Giuseppe Torre, responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager - significa riconoscere che questi sofisticati ecosistemi produttivi non sono più semplicemente 'trasformatori di materia', ma ecosistemi cognitivi che trasformano i saperi in 'saper fare' e il 'saper fare' in prodotti e servizi di elevatissimo valore. Se osserviamo le filiere da questa prospettiva, allora la politica industriale deve spostare il baricentro: non solo incentivi agli investimenti materiali, ma costruzione di data space di filiera, rafforzamento delle competenze dei leader e valorizzazione dei settori ad alta intensità di conoscenza".
(Adnkronos) - “La mostra ‘Oltreplastica’ racconta sia il passato glorioso della relazione tra il disegno e la produzione industriale e la plastica sia le possibilità future aperte dalle bioplastiche, nel contesto della transizione ambientale, al servizio della produzione di largo consumo”. È quanto affermato da Antonio Funiciello, responsabile Identity Management di Eni, all’inaugurazione della mostra Oltreplastica, curata da Frida Doveil e realizzata da ADI Design Museum con il supporto di Eni, main partner del museo, con la presenza in mostra di Versalis con Novamont e Finproject. “Come Eni siamo al secondo anno di nostra collaborazione con Adi Design Museum. L’anno scorso siamo stati presenti con una mostra dedicata al nostro brand, alla sua evoluzione e a come è cambiato e si è attualizzato. Quest'anno siamo qui con la mostra 'Oltreplastica' - conclude - che ha lo scopo di raccontare non soltanto il grande viaggio del rapporto tra la plastica, il design e il disegno industriale, ma anche le soluzioni che Eni, soprattutto attraverso la sua società Versalis, propone con la bioplastica, al servizio ancora una volta del disegno industriale”.