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Dermatologa Magnoni: "Chirurgia e farmaci biologici in idrosadenite suppurativa"

(Adnkronos) - "La terapia medica e la terapia chirurgica sono alleate in una gestione integrata dell’idrosadenite suppurativa (Hs), che richiede una elevatissima personalizzazione della cura". Infatti "riusciamo ad affrontare questa malattia con successo grazie a ...

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Movi, certificazione di parità per impegno verso ambiente lavoro inclusivo

(Adnkronos) - Movi ha ottenuto la certificazione Uni/PdR 125:2022 per la parità di genere, un traguardo che sancisce in modo oggettivo l’impegno dell’azienda verso un ambiente di lavoro sempre più inclusivo, equo e attento alle persone. Un percorso nato dal basso, ...

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Clima, soffre di 'ecoansia' il 67% dei giovani nel mondo

(Adnkronos) - Il 67% dei giovani a livello globale è preoccupato per l'impatto del cambiamento climatico. Nonostante questa ansia, il 72% dei giovani intervistati ritiene che ci sia ancora tempo per affrontare i problemi causati dal cambiamento climatico. Sei su 10 a livello globale credono ...

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Dermatologa Magnoni: "Chirurgia e farmaci biologici in idrosadenite suppurativa"

(Adnkronos) - "La terapia medica e la terapia chirurgica sono alleate in una gestione integrata dell’idrosadenite suppurativa (Hs), che richiede una elevatissima personalizzazione della cura". Infatti "riusciamo ad affrontare questa malattia con successo grazie a terapie mediche, farmaci biologici e terapie chirurgiche, che possono essere somministrate singolarmente o in combinazione". Così Cristina Magnoni, professore di Dermatologia all’università di Modena e Reggio Emilia e responsabile dell'Unità dipartimentale di Chirurgia dermatologica, commenta la rimborsabilità, da parte del Servizio sanitario nazionale, di secukinumab, un anticorpo monoclonale ricombinante interamente umano selettivo per l'interleuchina-17A, nel trattamento dell’idrosadenite suppurativa (acne inversa) attiva di grado da moderato a severo in adulti con una risposta inadeguata alla terapia sistemica convenzionale per l’Hs, patologia complessa e dal forte impatto psicologico. "Non dobbiamo più pensare che la terapia farmacologica e la terapia chirurgica siano in contrapposizione - chiarisce Magnoni - al contrario, si parla sempre più spesso di un'integrazione strategica tra farmaci biologici e chirurgia, aspetto sottolineato anche nelle nostre nuove Linee guida che suggeriscono di non interrompere i farmaci biologici in previsione della chirurgia, perché la terapia col farmaco biologico può contenere l'infiammazione, evitare delle riacutizzazioni prima dell'intervento e può prevenire le recidive delle lesioni, che possono rimanere dopo l'intervento chirurgico". L’idrosadenite suppurativa è infatti "una malattia infiammatoria cronica dermatologica - spiega l'esperta - che colpisce le ghiandole apocrine e quindi tutte le regioni corporee dove sono presenti: ascellare, inguinale, perineale, mammaria e glutea. Ci sono vari gradi di gravità della malattia, che si manifesta con lesioni infiammatorie, ascessi, fistole drenanti e cicatrici invalidanti. Nelle forme lievi - precisa - le lesioni sono poche, nelle forme a media gravità le lesioni infiammatorie, come fistole e cicatrici, sono maggiori, ma colpiscono zone separate della cute e, poi, nelle forme più gravi, queste lesioni tendono a confluire in grandi aree infiammatorie molto debilitanti per la vita del paziente". "Le nuove linee guida europee - continua Magnoni - ci indicano che la chirurgia gioca un ruolo molto importante all'interno delle terapie disponibili per l’idrosadenite suppurativa, un aspetto che la distingue da altre patologie infiammatorie croniche della cute, come la psoriasi o la dermatite atopica. In questa malattia il chirurgo dermatologo è fondamentale soprattutto nei casi avanzati, quando abbiamo bisogno di ampliare le sezioni chirurgiche per togliere i tessuti malati e nella successiva ricostruzione tissutale, che ridà funzione e una buona qualità di vita al paziente". Sono diverse le tipologie di intervento "che si possono praticare per questa malattia: dalle procedure mini invasive - illustra la specialista - come ad esempio l'incisione, il drenaggio di un ascesso o il deroofing, fino a procedure chirurgiche maggiori come la wide local excision, che prevede l'ampia resezione delle aree interessate dalla malattia, che poi richiede una ricostruzione con innesti di cute autologa o con cute bioingegnerizzata o lembi". Si tratta di "un approccio graduale", come il farmacologico, che "si intensifica con l'aumentare della gravità della malattia e, ovviamente, della presenza di danni irreversibili come le fistole drenanti e multiple o le cicatrici". L’idrosadenite suppurativa "è una malattia cronica con una importante base infiammatoria e che dunque richiede un approccio integrato - rimarca Magnoni - Il chirurgo dermatologo deve lavorare in un team multidisciplinare con internista, infettivologo, chirurgo proctologo, ginecologo, urologo e con lo psicologo per costruire un percorso personalizzato per il paziente. Questo percorso, infatti, prevede la somministrazione di terapie target biologiche, di terapie chirurgiche, ma anche il supporto nutrizionale e, quando necessario, un supporto per smettere di fumare. Solo così - conclude - possiamo offrire una presa in carico efficace al nostro paziente".

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Movi, certificazione di parità per impegno verso ambiente lavoro inclusivo

(Adnkronos) - Movi ha ottenuto la certificazione Uni/PdR 125:2022 per la parità di genere, un traguardo che sancisce in modo oggettivo l’impegno dell’azienda verso un ambiente di lavoro sempre più inclusivo, equo e attento alle persone. Un percorso nato dal basso, maturato nel tempo e culminato in un risultato tanto simbolico quanto concreto. In un contesto in cui meno dell’1% delle aziende italiane ha ottenuto la certificazione Uni/PdR 125:2022, il traguardo raggiunto da Movi assume un significato ancora più rilevante. Secondo il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum, l’Italia si colloca all’87° posto su 146 Paesi, segnando un peggioramento rispetto all’anno precedente. Restano ampi divari soprattutto nella partecipazione economica e nella presenza femminile ai vertici. Anche il tasso di occupazione femminile – fermo al 56,5% – continua a essere tra i più bassi in Europa. In questo scenario, il percorso avviato da Movi assume un valore ancora più significativo: non solo un riconoscimento formale, ma un segnale concreto di impegno verso l’equità, la valorizzazione delle differenze e il benessere organizzativo. Movi è una azienda italiana che da oltre 110 anni rappresenta una solida realtà nel panorama dei dispositivi medici distribuendo sul mercato soluzioni per anestesia e area critica, diabetologia, endoscopia e diagnostica, ausili per disabilità e non solo. Come racconta Alessandro Bolognini, direttore delle risorse umane, “la riflessione su diversity, equity e inclusion è iniziata già da tempo. È nata da un’attenzione autentica, condivisa a tutti i livelli, dai vertici aziendali fino alle persone più operative. La volontà di migliorare il modo in cui viviamo e collaboriamo in azienda ha spinto molti colleghi a mettersi in gioco”. L’avvio del progetto è stato segnato da una survey interna a cui ha aderito oltre il 70% delle persone, raccogliendo opinioni, sensibilità e proposte. Da quel momento è nata una vera e propria task force volontaria, composta da una ventina di colleghi, che ha lavorato per tutto il 2024 su temi chiave legati all’inclusione. Il gruppo ha promosso laboratori, workshop e momenti di confronto su comunicazione inclusiva, diversità, rispetto e accoglienza, dando vita a iniziative come la revisione dei valori aziendali, un nuovo Welcome Kit simbolico per i nuovi assunti e una comunicazione interna più trasparente e partecipata. Nel tempo, il lavoro della task force si è trasformato in un vero e proprio motore culturale, che ha portato in modo naturale alla decisione di formalizzare e misurare i progressi raggiunti attraverso un percorso di certificazione. Così, a partire da ottobre 2024, è iniziato l’iter per ottenere la Uni/PdR 125:2022, coinvolgendo l’intera azienda. “Ci siamo confrontati con parametri oggettivi per capire se la sensibilità che percepivamo fosse davvero radicata nei numeri e nelle pratiche – spiega ancora Bolognini – e il risultato ci ha confermato che siamo sulla strada giusta, pur senza considerarci arrivati.” Il percorso ha previsto la redazione della politica aziendale per la parità di genere – oggi pubblicata sul sito di Movi – l’analisi dei rischi, la definizione di un piano strategico triennale con obiettivi chiari e numerose attività formative, in particolare sul linguaggio inclusivo e la prevenzione dei bias inconsci. Tutti i people manager sono stati coinvolti in sessioni dedicate, anche per affinare i processi di selezione del personale. La certificazione è stata rilasciata a seguito di un doppio audit – documentale a marzo 2025 e operativo ad aprile – con un punteggio di 80/100, ottenuto senza alcuna non conformità, ma con alcune indicazioni di miglioramento su cui Movi è già al lavoro, a partire dalla formazione continua. I dati presentati in sede di audit fotografano una realtà equilibrata: 191 dipendenti, di cui 101 donne e 90 uomini, con una significativa rappresentanza femminile anche nei ruoli manageriali di sede. Tutto il personale commerciale, composto da 83 persone, beneficia di una parte variabile della retribuzione indipendentemente dal genere con un valore medio uguale per uomini e donne. Un welfare aziendale esteso a tutti è stato recentemente potenziato con un contributo aggiuntivo dedicato ai genitori di bambini tra 0 e 3 anni, in linea con le indicazioni della norma. “Questa certificazione - afferma Chiara Gatti, Jr. hr manager dell’azienda - è la conferma di un’attenzione che Movi ha sempre avuto verso le persone, ma anche una spinta a tenere alta la guardia, a non fermarsi. È un punto di partenza per un’evoluzione continua”. E mentre l’azienda continua a crescere in un mercato competitivo, l’attenzione alle persone resta al centro. “Un ambiente più consapevole genera migliori relazioni e, di riflesso, anche migliori risultati”, conclude Bolognini. “Questa certificazione non è un fiore all’occhiello, ma un segnale chiaro: stiamo andando nella direzione giusta, e intendiamo continuare su questa rotta”.

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Clima, soffre di 'ecoansia' il 67% dei giovani nel mondo

(Adnkronos) - Il 67% dei giovani a livello globale è preoccupato per l'impatto del cambiamento climatico. Nonostante questa ansia, il 72% dei giovani intervistati ritiene che ci sia ancora tempo per affrontare i problemi causati dal cambiamento climatico. Sei su 10 a livello globale credono che acquisire competenze verdi offra nuove opportunità professionali e oltre la metà (53%) è desiderosa di svolgere lavori verdi. Ma solo il 44% dei giovani si sente dotato delle competenze necessarie (sebbene la percentuale salga al 54% nel Nord del mondo). Sono i dati del nuovo report pubblicato dal Capgemini Research Institute e da Generation Unlimited dell’Unicef, 'Youth perspectives on climate: Preparing for a sustainable future', che esplora le opinioni dei giovani sulla crisi climatica. Il report analizza la loro visione sull’importanza delle 'competenze green', il passaggio verso lavori più sostenibili e le modalità con cui aziende e governi possono collaborare con i giovani per promuovere l’impegno climatico. Secondo la ricerca, la maggior parte dei giovani è preoccupata per il cambiamento climatico: oltre i due terzi affermano di temere per il proprio futuro a causa della crisi climatica. Si tratta di un aumento rispetto al 2023, quando un sondaggio di Unicef Usa rilevava che il 57% dei giovani nel mondo soffriva di 'ecoansia'. L’ansia climatica è più diffusa tra i giovani del Nord globale (76%) rispetto a quelli del Sud globale (65%). È inoltre evidente il divario tra aree rurali e urbane: il 72% dei giovani che vivono in aree urbane e suburbane esprime preoccupazione per l'impatto dei cambiamenti climatici sul proprio futuro, contro il 58% delle aree rurali. Nonostante l’ansia climatica, i giovani ritengono che le competenze green siano fondamentali per costruire un futuro migliore: il 61% crede infatti che svilupparle possa offrire nuove opportunità di carriera. C’è un forte interesse nell’allineare un impiego retribuito ai propri valori legati alla sostenibilità ambientale: poco più della metà dei giovani (53%) a livello globale - e quasi due terzi (64%) nel Nord globale - si dichiarano infatti interessati a svolgere un lavoro green. “I giovani sono pienamente consapevoli delle sfide urgenti poste dal cambiamento climatico, ma è evidente che vogliono anche essere parte attiva della soluzione - ha dichiarato Alessandra Miata, Csr Director di Capgemini in Italia - Dobbiamo aiutarli a trasformare la loro passione in azioni concrete, investendo nelle competenze green. Questo report evidenzia quanto sia cruciale che imprese, governi e istituzioni educative collaborino per colmare il divario di competenze, valorizzare le voci giovanili e creare percorsi verso carriere green e di successo”. “I giovani stanno progettando soluzioni per il clima: stanno ideando e implementando risposte innovative ai problemi climatici che affliggono le loro comunità - ha affermato Kevin Frey, Ceo di Generation Unlimited presso Unicef - Green Rising, con la sua rete di partner pubblici e privati, supporta i giovani fornendo loro le competenze e le opportunità necessarie per agire in questo senso, creare imprese ecologiche, accedere a lavori sostenibili e sviluppare soluzioni green”. I giovani rappresentano una risorsa fondamentale per affrontare la crisi climatica, ma la transizione green necessita di professionisti adeguatamente formati. Tuttavia, meno della metà dei giovani a livello globale (44%) ritiene di possedere le competenze green necessarie per avere successo nell’attuale mondo del lavoro. Il divario è particolarmente marcato nelle aree rurali, dove i giovani sono ancora meno preparati rispetto ai coetanei dei centri urbani e suburbani. Le differenze sono significative anche a livello regionale: nel Sud globale, circa sei giovani brasiliani su dieci dichiarano di possedere competenze green, ma in Etiopia solo il 5% si sente preparato. Rispetto alla precedente ricerca del Capgemini Research Institute del 2023, i giovani di diversi paesi del Nord del mondo sono peggiorati nella propria conoscenza delle competenze green. Tra i giovani della fascia 16-18 anni in Australia, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, il riciclo e la riduzione dei rifiuti restano le competenze più diffuse. Tuttavia, la familiarità con il design sostenibile, l’energia sostenibile e i trasporti sostenibili è significativamente diminuita dal 2023. Nel Sud del mondo i giovani dimostrano maggiore conoscenza in ambiti come risparmio energetico e idrico, ma hanno meno familiarità con tecnologie climatiche, analisi dei dati e design sostenibile. La maggioranza degli intervistati (71%) concorda sul fatto che i giovani dovrebbero avere un ruolo importante nell’influenzare le politiche e le leggi ambientali. Tuttavia, molti ritengono che i leader politici e aziendali non stiano facendo abbastanza per contrastare il cambiamento climatico. Quasi due terzi dei giovani sentono il desiderio di parlare con i leader locali di azione climatica, ma meno della metà crede che le proprie opinioni vengano realmente ascoltate. Il report invita i decisori politici a sostenere i giovani nello sviluppo di soluzioni climatiche e di competenze green. Le raccomandazioni includono l’integrazione dell’educazione ambientale nei curricula, l’ampliamento dell’accesso a corsi di formazione, l’allineamento tra obiettivi climatici e strategie occupazionali giovanili. Le aziende, invece, potrebbero contribuire creando percorsi per lavori green, investendo in iniziative guidate dai giovani e includendo le loro voci nelle strategie Csr, Esg e climatiche per favorire la fiducia e l’innovazione sostenibile.

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