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(Adnkronos) - "Il Piano Mattei non è solo un’iniziativa italiana ma è ormai una strategia di respiro europeo e internazionale, che guarda lontano e sta riscuotendo sempre maggiore condivisione". Così la presidente Giorgia Meloni in un passaggio del suo videomessaggio al Parlamento europeo sul Piano Mattei per l’Africa e Global Gateway. Il Piano Mattei "non è più un’idea, ma è una realtà operativa che sta producendo risultati concreti. Voglio ricordare tre numeri su tutti: il coinvolgimento diretto di ormai 14 Nazioni africane, oltre un miliardo di euro di risorse già impegnate dall’Italia per progetti nel Continente africano, la sinergia con il Global Gateway che vale più di un miliardo e duecento milioni di euro". L'Italia "continuerà a essere un ponte tra Europa e Africa, mettendo a disposizione la competenza delle proprie imprese, la forza delle sue istituzioni, la sua grande tradizione di dialogo", ha detto ancora Meloni aggiungendo che il Piano Mattei è "un tema che sta particolarmente a cuore alla sottoscritta e al governo italiano". E ricordando che coinvolge "14 nazioni africane" e può contare su "oltre un miliardo di euro di risorse già impegnate dall'Italia per progetti nel continente africano". C'è inoltre una rilevante "sinergia con il Global Gateway, che vale più di un miliardo e 200 milioni di euro". Cooperazione che oggi, ricorda la presidente del Consiglio, si concentra su "quattro grandi iniziative strategiche", vale a dire "la realizzazione del corridoio infrastrutturale di Lobito, per collegare l'Africa Occidentale a quella Orientale, unendo Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia", per migliorare il collegamento con i porti sull'Atlantico dei giacimenti minerari del Katanga e di Lusaka. Altro ambito di cooperazione, "lo sviluppo delle filiere produttive del caffè in diverse nazioni africane", nonché "l'estensione verso l'Africa Orientale del cavo Blue Raman, la dorsale marittima che collegherà l'India all'economia europee passando per il Medio Oriente". Infine, "il Mediterranean Ia Hub for Sustainable Development di Roma, che coinvolgerà centinaia di startup africane, per applicare l'intelligenza artificiale ai diversi settori del piano. Stiamo portando avanti questo lavoro - aggiunge Meloni - perché siamo convinti che investire nel futuro dell'Africa significhi investire nel futuro dell'Europa stessa". Meloni ricorda poi "la presentazione di poche settimane fa a Bruxelles del Global Gateway Hub, la piattaforma permanente che coordinerà i progetti e gli investimenti europei nel continente africano. Lo spirito che guida la nostra azione - ribadisce infine - è quello che si ispira a Enrico Mattei, un grande italiano, un visionario che, con il suo patriottismo pragmatico, ha servito l'interesse nazionale, costruendo ponti e cooperazione con gli altri popoli".
(Adnkronos) - "La prima cosa" che chiediamo ai candidati in campo per la presidenza della Regione Campania "è l'interessamento, la spinta al completamento in tempi rapidi delle infrastrutture che interessano la nostra regione, che rappresentano il volano di sviluppo per il futuro". Così, con Adnkronos/Labitalia, Emilio De Vizia, presidente di Confindustria Campania, sulle richieste degli industriali campani, ai due candidati alla presidenza della Regione Campania, che l'associazione incontrerà, in vista delle elezioni previste per il 23-24 novembre, rispettivamente il 13 novembre alle 16 (Roberto Fico) e il 17 novembre alle 17 (Edmondo Cirielli). E De Vizia sottolinea che in particolare l'attenzione della sua associazione è incentrata verso l'Av "Napoli-Bari, che di fatto non sarà solo un'Alta velocità che collega due grandi città, e già questo è abbastanza importante per Napoli, ma soprattutto è un tratto di ferrovia che attraversa delle aree interne della nostra regione". "Su questa tratta è prevista anche la realizzazione di una stazione intermedia in provincia di Avellino, con la previsione della realizzazione di una piattaforma logistica in adiacenza alla stazione. Se quest'opera, con tutte le opere complementari di collegamenti stradali che sono necessarie e già individuate, alcune già progettate, altre parti in progettazione, può rappresentare, secondo me, un po' quello che ha rappresentato l'autostrada Napoli-Bari negli anni '60", sottolinea De Vizia. Per il leader degli industriali campani, che è anche presidente di Confindustria Avellino, "a questo punto noi avremmo una regione che ha dei grossi centri urbani, ma anche delle aree interne collegate con servizi e con infrastrutture a queste aree". "Le aree interne in questo modo possono diventare, secondo me, un'occasione per 'liberare' i grossi centri dell'area metropolitana di Napoli da una serie di problematiche importanti", sottolinea. "E poi -aggiunge- non dimentichiamoci che l'Alta velocità collega due porti fondamentali, che sono diventati il centro dello sviluppo dei territori", sottolinea. Secondo De Vizia "i numeri della Campania dimostrano che la regione cresce molto più di altri territori, anche del Nord Italia. Ma si può fare ancora tanto e per farlo bisogna rendere ancora più attrattiva la nostra regione. Bisogna agire, ad esempio, sulla gestione delle aree industriali che sta diventando un problema molto forte, come nell'Aversano, ma anche nell'Avellinese. Non è possibile che spesso manchino i servizi, in alcuni casi la depurazione delle fognature a regime. O altri casi in cui le aziende hanno dovuto sospendere le attività produttive a causa della mancanza dell'acqua", sottolinea ancora l'industriale. I possibili effetti dei dazi Usa "Al momento i dati che abbiamo sono ancora frammentati, ma è assolutamente necessario capire quali sono le difficoltà che alcune imprese e alcuni settori produttivi stanno avendo rispetto ai dazi Usa, a livello di calo dell'export verso quella regione. E una volta ben chiaro il quadro, sarà necessario trovare un sistema tale che queste aziende possano ricollocare le loro merci su altri territori, assistendole con finanziamenti e altri strumenti, con un'attenzione particolare alle pmi", sottolinea De Vizia. Secondo De Vizia, con i dazi Usa oltre agli effetti diretti sull'export delle imprese "campane dell'agroalimentare, rischiamo che ci sia anche un altro fenomeno: i prodotti di altri Paesi che avranno anch'essi dei problemi sul mercato americano inizieranno ad arrivare in Europa e in Italia e ci sono rischi concreti di ripercussioni sul nostro tessile ma anche sul settore della ceramica ad esempio", spiega. Il giudizio sulla manovra del governo "Nella manovra economica del governo per le imprese io vedo poco, non la vedo come una manovra tesa allo sviluppo. C'è il super ammortamento, ma poco altro, anche se attendiamo i decreti attuativi", spiega il leader degli industriali campani. Le preoccupazioni sulla Zes "Questa riorganizzazione della Zes unica, con una struttura meno agile, ci preoccupa. La forza della Zes era infatti l'autorizzazione unica in 30 giorni, questa era la media delle autorizzazioni, che di fatto ha sbloccato un sistema e soprattutto ha toccato una serie di poteri di interventi di interdizione che avevano a serie di enti comunali, sovracomunali o regionali che spesso mettevano l'ostacolo più che risolvere un problema. Stiamo parlando di circa 900 autorizzazioni rilasciate nel 2024 tra cui una buona parte, quasi il 40%, riguardano la regione Campania e questa è la prova che è la Regione a guidare la locomotiva del Sud", spiega De Vizia. La crisi dell'automotive "La Campania ha un legame ancora forte con l'automotive, e siamo quindi penalizzati dalla crisi di questo settore a livello nazionale ed europeo. La nostra regione ha ancora stabilimenti importanti in provincia di Avellino e a Pomigliano, con un indotto enorme le cui aziende vivono un dramma nel dramma, nel senso che erano quelle più legate al mondo Stellantis mentre in altre regioni le aziende si erano legate anche ad altre case automobilistiche. Quindi speriamo che il 2026 sia l'anno di ripresa dell'automotive", conclude De Vizia.
(Adnkronos) - Le foreste europee coprono poco più del 30% del territorio continentale e sono considerate alleate fondamentali nella lotta al cambiamento climatico ma non sempre più alberi significano un clima più fresco. Uno studio pubblicato su Nature Communications, guidato dall’Eth di Zurigo e al quale ha partecipato, per l’Italia, l’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia (Cnr-Isafom) all’interno del progetto Europeo Horizon Europe 'ForestNavigator', mostra che l’effetto delle foreste dipende anche dal tipo di specie e dalle caratteristiche locali. La gestione e la composizione delle foreste emergono così come fattori chiave per migliorare resilienza, biodiversità e capacità di mitigare il riscaldamento climatico. Il lavoro integra aspetti biogeochimici (assorbimento di carbonio) con quelli biofisici (riflettività, evaporazione e scambi di calore) in modo da disegnare strategie più efficaci per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, ed evidenzia come in molte regioni europee, l’espansione forestale possa talvolta contribuire al riscaldamento locale invece che al raffreddamento - spiega il Cnr in una nota - È il caso, ad esempio, delle foreste di conifere che, avendo una chioma più scura, assorbono una quantità di energia solare maggiore rispetto a pascoli o campi coltivati. Questo minor riflesso della radiazione solare riduce l’effetto rinfrescante legato all’evaporazione. “Siamo abituati a pensare alle foreste come soli serbatoi di carbonio - spiega Alessio Collalti responsabile del Laboratorio modellistica forestale del Cnr-Isafom di Perugia, coautore dello studio e responsabile scientifico del Cnr all’interno del progetto - Ma il loro effetto sul clima è più complesso: oltre a catturare CO2 atmosferica, le foreste influenzano la temperatura dell’aria e la sua umidità così come la riflettività della superficie terrestre”. Per indagare queste dinamiche, il team di ricerca ha utilizzato il modello climatico regionale Cosmo-Clm2, simulando il clima europeo tra il 2015 e il 2059 in diversi scenari di gestione forestale. Confrontando l’afforestazione, cioè il processo con cui vengono piantati alberi in aree dove non era originariamente presente alcuna forma di foresta, e la riforestazione tradizionale con scenari di conversione delle conifere in latifoglie, il team di ricercatori ha scoperto che la scelta delle specie può modificare in modo significativo la risposta climatica del territorio. “I risultati sono chiari: sostituire le conifere, come pini e abeti, con latifoglie, come faggio o quercia, può ridurre la temperatura media massima giornaliera di luglio fino a 0,6 °C su larga scala - spiega Collalti - quando la conversione è combinata con nuove piantagioni, il riscaldamento previsto di +0,3 °C può trasformarsi in un raffreddamento di -0,7 °C. Una differenza di pochi decimi di grado può sembrare minima, ma durante le ondate di calore può fare la differenza in termini di salute pubblica, stress agricolo e domanda energetica”. Questi risultati - evidenzia il Cnr - hanno implicazioni dirette per le politiche climatiche europee ed evidenziano che strategie di forestazione (sia afforestazione che riforestazione), come l’iniziativa europea che prevede di piantare 3 miliardi di alberi in più nell'Ue entro il 2030, dovrebbero superare la logica puramente quantitativa e considerare quali specie piantare e dove, poiché non tutte le foreste apportano gli stessi benefici climatici. “Riconsiderare la composizione delle foreste europee non è semplice -prosegue il ricercatore - richiede pianificazione a lungo termine, nuovi approcci gestionali e un coordinamento tra politiche europee e nazionali. Ma i benefici potenziali, maggiore resilienza, biodiversità e capacità di raffreddamento, rendono questo cambiamento una priorità”. In un’Europa che si riscalda sempre di più, lo studio dimostra che la scelta delle specie giuste è fondamentale per una buona gestione. “Le foreste sono attori attivi del sistema climatico, capaci di amplificare o mitigare il riscaldamento a seconda di come vengono gestite”, conclude Collalti.