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(Adnkronos) - Una presenza militare più forte degli Stati Uniti nell'emisfero occidentale per combattere l'immigrazione, la droga e l'ascesa di potenze avversarie nella regione. Questo prevede la 'Strategia per la sicurezza nazionale' elaborata dal presidente americano Donald Trump, come si legge nel documento di 33 pagine reso noto dalla Casa Bianca e che spiega la visione trumpiana della politica estera Usa, basato sul principio di ''America first''. Un documento che contiene parole brutali nei confronti dell'Europa, vista come una civiltà in declino, e dedica relativamente poca attenzione al Medio Oriente e all'Africa. Il focus è invece sull'emisfero occidentale, con l'obiettivo primario individuato nella protezione del territorio nazionale degli Stati Uniti. "La sicurezza dei confini è l'elemento primario della sicurezza nazionale", si legge nel documento, "gli Stati Uniti devono avere un ruolo preminente nell'emisfero occidentale come condizione per la nostra sicurezza e prosperità, una condizione che ci consenta di affermarci con sicurezza dove e quando necessario nella regione". Rispetto ai partner, il testo diffuso dalla Casa Bianca afferma che "i termini delle nostre alleanze e le condizioni in base alle quali forniamo qualsiasi tipo di aiuto devono essere subordinati alla riduzione dell'influenza esterna avversaria, al controllo di installazioni militari, porti e infrastrutture chiave e all'acquisto di asset strategici in senso lato". Tra le priorità della politica estera statunitense sotto la seconda amministrazione di Donald Trump spicca "porre fine alla percezione, e prevenire la realtà, della Nato come alleanza in perpetua espansione". Secondo Trump "a lungo termine è più che plausibile che, nel giro di pochi decenni al massimo, alcuni membri della Nato diventino a maggioranza non europea" a causa del declino del continente e delle politiche europee. "Di conseguenza, resta aperta la questione se questi Paesi vedranno il loro ruolo nel mondo, o la loro alleanza con gli Stati Uniti, nello stesso modo di coloro che firmarono la Carta della Nato". "L’amministrazione Trump si trova in disaccordo con funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche sul conflitto" in Ucraina, "radicate in governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi democratici di base sopprimendo l’opposizione", si legge ancora. "Una grande maggioranza europea desidera la pace, ma tale desiderio non si traduce in politiche, in larga parte a causa della sovversione dei processi democratici da parte di quei governi", prosegue il testo, che sottolinea come questo sia "strategicamente importante per gli Stati Uniti proprio perché gli Stati europei non possono riformarsi se restano intrappolati in crisi politiche". La strategia, che pone l'enfasi sul rischio di declino della civiltà europea ed esorta le singole nazioni a resistere all'influenza dell'Ue, delinea come "interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una cessazione delle ostilità rapida in Ucraina, per stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderate del conflitto, ristabilire la stabilità strategica con la Russia e consentire la ricostruzione postbellica dell’Ucraina, affinché sopravviva come Stato vitale". Sul versante europeo, la Casa Bianca spiega che le nazioni hanno perso fiducia a causa del declino, pur godendo di un "notevole vantaggio di potenza rispetto alla Russia in quasi tutte le misure, tranne che per le armi nucleari. A seguito della guerra della Russia in Ucraina, le relazioni europee con la Russia sono oggi fortemente deteriorate e molti europei considerano la Russia una minaccia esistenziale. Gestire i rapporti europei con la Russia richiederà un significativo impegno diplomatico statunitense, sia per ristabilire condizioni di stabilità strategica attraverso la massa continentale eurasiatica, sia per mitigare il rischio di conflitto tra la Russia e gli Stati europei". La strategia spiega anche che la guerra in Ucraina ha avuto "l’effetto perverso di aumentare la dipendenza esterna dell’Europa, in particolare della Germania. Oggi le aziende chimiche tedesche costruiscono alcuni dei più grandi impianti di lavorazione al mondo in Cina, utilizzando gas russo che non possono ottenere in patria. Eppure, l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti", continua il documento, sottolineando che il commercio transatlantico "è ancora uno dei pilastri dell’economia globale e della prosperità americana". "Coltivare la resistenza alla traiettoria attuale dell’Europa all’interno delle singole nazioni europee": questo uno degli obiettivi fondamentali delineati dalla nuova Strategia di sicurezza nazionale Usa. Secondo il testo, le "questioni più gravi che l’Europa deve affrontare includono le attività dell’Unione europea e di altri organismi transnazionali che minano la libertà politica e la sovranità, le politiche migratorie che stanno trasformando il continente e generando conflitti, la censura della libertà di parola e la soppressione dell’opposizione politica, il crollo dei tassi di natalità e la perdita di identità e fiducia nazionali". Nel testo, Washington avverte che "se le tendenze attuali continueranno, il continente sarà irriconoscibile in vent’anni o meno", e "non è dunque affatto certo che alcuni Paesi europei manterranno economie e forze armate abbastanza solide da restare alleati affidabili". Molte di questi Stati-nazioni, che rimangono "l'unità politica fondamentale del mondo", al momento stanno intensificando gli sforzi che contraddistinguono il loro percorso attuale, rileva la strategia: "Vogliamo che l’Europa rimanga europea, che ritrovi la fiducia nella propria civiltà e abbandoni l’attenzione fallimentare alla soffocante regolamentazione", si legge nel documento. Il documento evidenzia anche come i funzionari Usa siano "abituati a considerare i problemi europei in termini di carenze di spesa militare e stagnazione economica. In parte è vero, ma i problemi reali dell’Europa sono ancora più profondi. L’Europa continentale ha visto la propria quota del Pil globale diminuire, dal 25% nel 1990 al 14% di oggi, in parte a causa di regolamentazioni nazionali e transnazionali che minano la creatività e l’operosità. Ma questo declino economico è oscurato dalla prospettiva, ancora più seria, di una cancellazione della civiltà". Altrove, nella sezione che riguarda l'Ucraina, il documento parla anche di "sovversione dei processi democratici" da parte dei governi europei. "Eppure, l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti", continua il documento, sottolineando che il commercio transatlantico "è ancora uno dei pilastri dell’economia globale e della prosperità americana", i settori industriali europei "restano tra i più solidi al mondo" e il continente ospiti "ricerche scientifiche d’avanguardia e istituzioni culturali di livello mondiale. Non possiamo permetterci di abbandonare l’Europa: farlo sarebbe controproducente per gli obiettivi di questa strategia". La diplomazia americana deve quindi "continuare a difendere la vera democrazia, la libertà di espressione e la celebrazione senza complessi del carattere e della storia delle singole nazioni europee. L’America incoraggia i propri alleati politici in Europa a promuovere questa rinascita dello spirito, e la crescente influenza dei partiti patriottici europei è motivo di grande ottimismo". "Il nostro obiettivo è aiutare l’Europa a correggere la propria traiettoria attuale. Avremo bisogno di un’Europa forte per competere con successo e collaborare con noi nel prevenire che qualsiasi avversario domini il continente europeo", continua il testo, specificando che gli Stati Uniti rimangono "comprensibilmente legati sentimentalmente al continente europeo, e naturalmente alla Gran Bretagna e all’Irlanda. Il carattere di questi Paesi è anche strategicamente importante, perché contiamo su alleati creativi, capaci, fiduciosi e democratici per creare condizioni di stabilità e sicurezza. Vogliamo collaborare con Paesi allineati che desiderano ristabilire la loro antica grandezza". Gli Stati Uniti ridefiniscono la loro strategia per l’Asia con l'obiettivo di "vincere il futuro economico e prevenire il confronto militare partendo da una posizione di forza". È quanto si legge nella nuova Strategia sulla sicurezza nazionale diffuso dalla Casa Bianca, che delinea la visione del presidente Donald Trump per la Cina e l'area dell’Indo-Pacifico, che Washington considera "uno dei principali campi di battaglia economici e geopolitici del prossimo secolo". Riconoscendo che il baricentro mondiale della crescita economica si sia spostato verso est, gli States devono "competere lì" per "prosperare in patria". Trump, si legge nel testo, "ha invertito da solo più di tre decenni di erronee supposizioni americane sulla Cina", ossia che l'apertura dei mercati Usa, incoraggiare le imprese americane a investire in Cina e delocalizzarvi la produzione avrebbe favorito l’ingresso di Pechino "nel cosiddetto 'ordine internazionale basato su regole'. Questo non è accaduto. La Cina è diventata ricca e potente, e ha usato la sua ricchezza e il suo potere a proprio vantaggio", con "le élite americane, attraverso quattro amministrazioni successive di entrambi i partiti politici, o complici volontarie della strategia cinese o in stato di negazione". L'approccio trumpiano parte dunque dal riequilibrio del rapporto economico con la Cina "dando priorità alla reciprocità e all’equità per ripristinare l’indipendenza economica americana" e concentrandolo su "fattori non sensibili". Il testo menziona la crescita cinese e l'adattamento di Pechino alle politiche tariffarie Usa con l'aumento del controllo sulle catene di approvvigionamento, "soprattutto nei Paesi a reddito medio e basso", tra "i più grandi campi di battaglia economici dei prossimi decenni" e verso cui le esportazioni cinesi sono aumentate fino a quattro volte quelle Usa. Al riassetto economico si deve accompagnare "un impegno costante e deciso sulla deterrenza per prevenire la guerra nell’Indo-Pacifico", dato che l'approccio combinato "può diventare un circolo virtuoso: una forte deterrenza americana apre lo spazio a un’azione economica più disciplinata, mentre un’azione economica più disciplinata porta a maggiori risorse per mantenere la deterrenza nel lungo periodo". Per farlo spiega la strategia, serve difendere l'economia Usa da "qualsiasi danno" come sussidi statali, politiche industriali deleterie, pratiche commerciali sleali, deindustrializzazione, furto di proprietà intellettuale e spionaggio industriale, minacce alle supply chain "che rischiano di compromettere l’accesso statunitense a risorse critiche, incluse quelle minerarie e le terre rare", ma anche export dei precursori di fentanyl e "propaganda, operazioni di influenza e altre forme di sovversione culturale". Secondo, gli Usa devono collaborare con alleati e partner al fine di contrastare tali pratiche predatorie e usare il potere economico combinato "per salvaguardare la nostra posizione di primo piano e impedire che le economie alleate diventino subordinate a potenze concorrenti". In quest'ottica, la Casa Bianca intende trasformare il "Quad", formato da Usa, India, Giappone e Australia, in un pilastro di sicurezza collettiva e cooperazione economica. "L’Indo-Pacifico libero e aperto non è solo uno slogan", chiarisce il documento, richiamando la formula con cui gli Stati democratici indicano il contenimento dell'assertività cinese. La strategia pone grande enfasi sull’economia come strumento di potere. La Casa Bianca promette di mobilitare l’industria americana per mantenere la leadership tecnologica in settori chiave quali intelligenza artificiale, sistemi autonomi e calcolo quantistico. Allo stesso tempo, prevede l’uso combinato di incentivi e deterrenza: tra le misure operative figurano la deregolamentazione di alcune filiere industriali, la tutela delle catene di approvvigionamento critiche e una maggiore cooperazione tra governo e settore privato per contrastare minacce nell'ambito cyber e spionaggio tecnologico. Sul fronte della sicurezza, il documento ribadisce che "dissuadere un conflitto su Taiwan, idealmente mantenendo una superiorità militare schiacciante, è una priorità", e che Washington manterrà la sua tradizionale politica sull'isola, secondo cui gli Usa "non sostengono alcuna modifica unilaterale dello status quo nello Stretto di Taiwan". Obiettivo è costruire un apparato militare in grado di negare aggressioni e spingere gli alleati regionali a spendere e agire di più per la difesa collettiva, in maniera non dissimile da quanto fatto con gli alleati Nato. Una sfida di sicurezza correlata è anche il controllo del Mar Cinese Meridionale, su cui Pechino avanza pretese, da parte di una "potenza rivale", poiché da esso transita circa un terzo del commercio marittimo mondiale: "questo potrebbe consentire a una potenza potenzialmente ostile di imporre un sistema di pedaggi su una delle rotte commerciali più vitali del mondo o, peggio, di chiuderla e riaprirla a proprio piacimento. Entrambi gli scenari sarebbero dannosi per l’economia e gli interessi più ampi degli Stati Uniti", per cui devono "essere sviluppate misure forti, insieme alla deterrenza necessaria per mantenere quelle rotte aperte, libere da 'pedaggi' e non soggette a chiusure arbitrarie da parte di un solo Paese". "Rafforzeremo e induriremo anche la nostra presenza militare nel Pacifico occidentale e, nelle nostre relazioni con Taiwan e Australia, manterremo una retorica decisa sull’aumento della spesa per la difesa", conclude il testo chiudendo il capitolo sull'Asia, ribadendo che prevenire i conflitti "richiede una postura vigile nell’Indo-Pacifico, il rinnovo della base industriale della difesa, maggiori investimenti militari da parte nostra e degli alleati, e la vittoria nella competizione economica e tecnologica nel lungo periodo".
(Adnkronos) - “Leggeremo il rapporto annuale dell’Osservatorio 4.Manager nel dettaglio perché è un documento complesso, con molte risultanze, molte analisi di causalità statistica, molte mappature del nostro sistema industriale, come sapete costituito soprattutto da piccole e medie imprese. E' prezioso perché rappresenta un'ottima base di conoscenza, soprattutto delle interrelazioni complesse all'interno delle filiere. Vengono analizzate le interrelazioni nell'ambito della filiera per implementare politiche pubbliche e, soprattutto, politiche industriali”. Lo ha dichiarato Renato Loiero, consigliere per le politiche di bilancio del Presidente del Consiglio dei ministri, oggi a Roma in occasione della presentazione del nuovo rapporto dell’Osservatorio 4.Manager intitolato 'Le filiere produttive nell’era della conoscenza aumentata'. “Si tratta - prosegue Loiero - di traguardare uno dei requisiti che dovrebbero caratterizzare le politiche pubbliche nel settore dell'industria, cioè la selettività: cercare di compendiare il rigore dei conti pubblici e lo sviluppo, indirizzando le risorse pubbliche, che sono per natura limitate, verso quegli ambiti produttivi che hanno una maggiore dinamica del valore aggiunto quelle che sarebbero più meritevoli di ricevere contributo o sostegno istituzionale”. Loiero ha concluso ricordando l’importanza del rapporto anche per le altre amministrazioni coinvolte nel disegno delle politiche industriali: “Serve alle varie altre istituzioni, al netto di quelle che hanno contribuito alla sua realizzazione, in particolare l’Istat, anche a fare valutazione delle politiche pubbliche ex ante ed ex post”.
(Adnkronos) - Il 46% degli italiani (quasi uno su due) è pessimista sul futuro del Paese e solo il 22% immagina un’Italia migliore nei prossimi dieci anni. Un giudizio severo che si affianca a un paradosso evidente: il 79% degli italiani, soprattutto i più giovani, dichiara di pensare al domani, ma il 63% continua a sentirsi 'ancorato' al presente. Questa è la fotografia che emerge dal 'Barometro del Futuro', l’indagine demoscopica presentata oggi dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e realizzata dall’Istituto Piepoli, nel corso dell’evento 'Un patto sul futuro, anche nell’interesse delle future generazioni', svoltosi all’Auditorium del Museo dell’Ara Pacis, in occasione della Giornata Mondiale dei Futuri dell’Unesco. L’incontro è stato l’occasione per presentare e discutere i primi risultati del progetto 'Ecosistema Futuro' (www.ecosistemafuturo.it), la partnership lanciata dall’ASviS un anno fa per mettere il futuro, o meglio 'i futuri', al centro della riflessione culturale, politica, economica e sociale del nostro Paese e che riunisce oltre 40 organizzazioni del mondo dell’istruzione, della cultura, dell’economia e dell’innovazione (tra cui i partner strategici Entopan, Intesa Sanpaolo, Iren, Randstad Research e Toyota Material Handling). “Come mostrato dall’indagine, gli italiani chiedono futuro, ma la gran parte di loro ritiene che nessuno se ne stia occupando seriamente, tanto meno i politici - ha commentato Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS - tant’è vero che solo il 25% degli intervistati pensa che i governi agiscono anche nell’interesse delle future generazioni e il 65% ritiene che in Italia non si parli abbastanza di futuro. Ecosistema Futuro intende invertire questa tendenza, in linea con il ‘Patto sul Futuro’ approvato dall’Onu un anno fa, portando l’educazione ai futuri nelle scuole e nei musei, promuovendo riforme politiche come la Valutazione d’Impatto Generazionale delle nuove leggi, valorizzando la ricerca orientata al futuro e dando maggiore spazio alle giovani generazioni nelle scelte politiche”. Il 'Barometro del futuro', presentato da Livio Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli, evidenzia un divario profondo tra percezione personale e collettiva: il 37% degli italiani è ottimista riguardo al proprio futuro, ma il 34% percepisce un vuoto di visione sul futuro del Paese. La politica è considerata orientata al futuro solo dal 4% dei rispondenti, la scuola dal 7%, con un pessimismo più marcato nel Centro e nelle Isole, e più attenuato nel Nord Ovest. Tra le preoccupazioni principali emergono l’aumento del costo della vita e delle diseguaglianze (44%), l’intelligenza artificiale (36%), i rischi globali per la sicurezza e la pace (32%) e la crisi climatica (30%). La fiducia degli italiani si concentra nella scienza (80%), mentre scende drasticamente per istituzioni (29%), media tradizionali (24%) e social media (21%). Il Barometro evidenzia inoltre una chiara domanda di giustizia intergenerazionale: sette italiani su dieci chiedono una Legge sul Clima e quasi due su tre sostengono un’imposta sulle grandi ricchezze per finanziare i giovani. Nel corso dell’incontro, organizzato in collaborazione con Icom Italia, Officine Italia, Save the Children e la Fondazione Italiana per gli Studi sul Futuro nell’ambito delle celebrazioni giubilari, sono state presentate le principali linee di azione di Ecosistema Futuro. Il Barometro del Futuro mostra una richiesta chiara: per il 75% degli italiani è urgente introdurre un’educazione al futuro nel sistema scolastico: da qui la prima linea di azione che riguarda l’introduzione della Futures Literacy proposta dall’Unesco nelle scuole e nei percorsi universitari, lungo le linee contenute nel Future Paper presentato oggi nel corso dell’evento. La seconda concerne le politiche pubbliche, attraverso l’applicazione della nuova normativa che impone la Valutazione d’Impatto Generazionale (Vig) delle nuove leggi, così da orientare le decisioni in una prospettiva di lungo periodo. La terza riguarda la partecipazione civica, con l’avvio del percorso verso la prima Assemblea Nazionale sul Futuro nel 2027. Nel corso dell’evento è stata annunciata anche la creazione del 'Network dei Musei dei Futuri', realizzato nell’ambito di Ecosistema Futuro da Icom Italia, rappresentata da Michela Rota (architetta esperta di sostenibilità), un’iniziativa che coinvolge già oggi oltre 40 istituzioni culturali apripista, che nel 2026 realizzeranno attività dedicate ai futuri possibili, con l’obiettivo di trasformare musei e istituzioni culturali in spazi di immaginazione civica e alfabetizzazione ai futuri. L’obiettivo è anche quello di realizzare un 'Museo dei Futuri' italiano, fisico e digitale, sulla falsariga delle esperienze internazionali esistenti. "Attuare il Patto sul Futuro in Italia vuol dire trasformare il modo in cui il sistema Paese prende le decisioni - ha commentato Luca Miggiano, responsabile del progetto Ecosistema Futuro - Per realizzare tale obiettivo è necessario confrontarsi sull’Italia che vogliamo nel futuro, migliorare i processi politici e creare una cultura orientata al futuro per navigare la complessità del presente. Ecosistema Futuro è nato per contribuire a creare un Paese per giovani, dando voce a chi già oggi lavora concretamente sul futuro e alle giovani generazioni, schiacciate tra debito climatico, precarietà e incertezze economiche".