(Adnkronos) - Si chiama adenomiosi ed è una malattia 'sorella' dell'endometriosi. Mestruazioni abbondanti, dolori pelvici e difficoltà nel concepire un bimbo sono tra i segni di questa condizione ginecologica benigna, che però complica la vita alle aspiranti mamme anche quando si rivolgono ai centri di fecondazione assistita. C'è infatti l'adenomiosi tra le cause principali di fallimento dell'impianto embrionale e di aborto spontaneo dopo una procedura di Pma. Una patologia tutt'altro che rara: colpisce milioni di donne, fino a 1 su 5 in età fertile. Ma "non è una condanna". Un nuovo protocollo ormonale targato Ivi, tra i principali gruppi internazionali nel campo della riproduzione medicalmente assistita, promette di spegnere l''incendio' che alimenta l'adenomiosi e, "per la prima volta", di raddoppiare le chance di gravidanza rispetto ai trattamenti standard. L'approccio è fra le novità del 41esimo Congresso annuale della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre 2025 - Parigi, 29 giugno-2 luglio). Le pazienti con adenomiosi presentano tessuto endometriale, quello che normalmente riveste internamente l'utero, dentro al miometrio, lo strato muscolare uterino. Così la parete dell'utero si ispessisce e si sviluppano i sintomi. "Adenomiosi ed endometriosi sono malattie sorelle, condividono una base genetica e infiammatoria comune: tutto parte da una mutazione dell'oncogene K-ras, che altera l'endometrio rendendolo resistente al progesterone", descrive Mauro Cozzolino, specialista in medicina della riproduzione e direttore del Centro Ivi di Bologna, che ha guidato lo studio illustrato al meeting. "L'adenomiosi è caratterizzata da un eccesso di estrogeni e da uno stato infiammatorio cronico che compromettono la recettività dell'endometrio". Con il nuovo protocollo, sottolinea l'esperto, "riusciamo a spegnere il fuoco ormonale che alimenta la malattia e a migliorare significativamente gli esiti nei trattamenti di fecondazione assistita". La strategia si basa sul mix tra un GnRH agonista e un inibitore dell'aromatasi, somministrati prima del transfer embrionario. "Questa combinazione funziona perché agisce sulle radici biologiche della malattia", spiega Cozzolino. Lo studio è stato condotto presso Ivi Roma su donne tra i 30 e i 49 anni con una forma di adenomiosi chiamata adenomioma, analizzando trasferimenti di embrioni congelati. Le pazienti che hanno seguito lo specifico trattamento ormonale - 2 mesi di un farmaco che blocca la produzione degli estrogeni da parte delle ovaie, seguiti da 3 settimane di un altro farmaco che riduce l'effetto degli estrogeni presenti nei tessuti dell'utero - hanno ottenuto quasi il doppio delle gravidanze rispetto a chi ha ricevuto il trattamento standard: 47% contro 26%, riferisce Ivi. Doppio anche il numero di gravidanze confermate ecograficamente: 66% nel gruppo trattato, rispetto al 33% nel gruppo di controllo. "Sono risultati molto significativi - commenta il Cozzolino - e segnano un importante passo avanti nel trattamento di una condizione spesso sottovalutata". Il protocollo Ivi "abbassa l'infiammazione, riduce le contrazioni dell'utero e migliora le condizioni per accogliere l'embrione. Ci sono anche indizi che suggeriscono un altro beneficio importante", rimarca il gruppo: "Questo trattamento sembra aumentare la presenza di alcune molecole, chiamate integrine, che aiutano l'embrione ad 'attaccarsi' meglio all'endometrio". Contribuendo dunque al successo dell'impianto e della gravidanza. "Anche tenendo conto di fattori come l'età della paziente, il peso, la qualità degli embrioni e lo stato dell'endometrio - precisa Ivi - il trattamento ha continuato a dimostrare la sua efficacia". "Il nostro approccio permette di ridurre il rischio di aborti e aumentare il numero di bambini nati - afferma Cozzolino - Per noi questo protocollo è già lo standard nei casi di adenomiosi: non eseguiamo transfer senza questo pretrattamento. Ora il prossimo passo è uno studio multicentrico e randomizzato che stiamo costruendo insieme ad altri gruppi europei", prospetta lo specialista lanciando un messaggio di speranza alle pazienti: "L'adenomiosi non è una condanna. Con i giusti trattamenti è possibile ottenere una gravidanza, anche se potrebbe servire più di un tentativo o il trasferimento di più embrioni. Il punto è non arrendersi". Cruciale, a monte, riconoscere la malattia per tempo. "La diagnosi di adenomiosi è sempre stata difficile - osserva Cozzolino - perché si basava solo su conferme istologiche dopo isterectomia. Oggi, grazie all'ecografia esperta, possiamo diagnosticare in modo non invasivo, ma servono competenze specifiche: una donna con dolori mestruali persistenti o sanguinamenti anomali deve essere valutata da un ginecologo esperto in ecografia, perché molti casi vengono ancora ignorati o sottovalutati". Da qui la raccomandazione ai colleghi: "Una donna con dolori mestruali ricorrenti non va liquidata con un antidolorifico. Serve un'ecografia fatta bene, da un professionista che sa riconoscere questa condizione. La diagnosi precoce può cambiare tutto".
(Adnkronos) - Si informano scegliendo gli strumenti digitali che hanno a portata di mano (social media e motori di ricerca) ma in realtà si fidano di più di giornali e telegiornali. Considerano importante l’informazione (68,4%) ma poi la maggioranza dedica meno di mezz’ora al giorno (63,5%) a scoprire cosa succede in Italia e nel mondo. Ammettono però, 8 su 10, di avere difficoltà a capire se una notizia è vera o falsa. Questo il quadro che emerge dalla ricerca demoscopica "Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos" condotta a maggio 2025 da AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione italiana (1.023 interviste su un campione 18-70enni residenti in Italia). Dall'indagine, promossa dall'Istituto nazionale per la comunicazione (Inc), emerge che la maggior parte degli intervistati (63,5%) dedica meno di 30 minuti al giorno all'informazione, con un 30,5% che si limita a 20 minuti o meno. Solo il 13,4% degli italiani si informa per un'ora o più. La Tv si conferma il mezzo più utilizzato regolarmente dagli italiani (70,8%), seguita da familiari, amici e conoscenti (61,6%), dai social network (60,0%) e dagli strumenti di messaggistica con canali dedicati (57,1% - un ‘salto’ in avanti enorme).Gli aggregatori di notizie (46,5%) e i siti/portali internet (42,6%) sono ampiamente utilizzati, superando in diffusione i quotidiani (40,4%) e i periodici/riviste (29,7%), sia cartacei sia online. I podcast e i video, sebbene in crescita (38,1%), non raggiungono ancora la radio (43,7%) e sono sempre più percepiti come intrattenimento a discapito dell’informazione. Quando si tratta di affidabilità, emerge un quadro più complesso. La Tv (42,3%) e i quotidiani (40,8%) sono considerati i più attendibili, quasi a pari merito. I familiari, amici e conoscenti, pur essendo una fonte ampiamente utilizzata, sono ritenuti affidabili solo dal 29% degli intervistati, allineandosi a siti e portali Internet (29,4%) e aggregatori di notizie (29,4%). La percezione di affidabilità di una notizia è fortemente legata a chi la diffonde e a come viene presentata. La maggioranza degli intervistati (45,7%) ritiene più affidabile una notizia data da un divulgatore non giornalista (scienziati, ricercatori, docenti), superando di poco i giornalisti (41,7%) segno di una crescente ricerca di competenze (vere o presunte) e autorevolezza specifiche. In netta minoranza si trovano influencer, youtuber, tiktoker (8,2%) e personaggi pubblici (17,6%). In mezzo alla classifica i rappresentanti delle Istituzioni e i politici (25.6%). La preoccupazione per le fake news è piuttosto diffusa: alla maggioranza degli intervistati capita di leggere una notizia e pensare che possa essere falsa (59,5% a volte, 24,2% spesso). La difficoltà nel capire se una notizia è falsa è percepita come media (così così per il 41,7%, abbastanza 34,2%, solo il 6,9% lo considera molto difficile). In sintesi, solo 4 su 10 ritengono che sia molto o abbastanza difficile. Un'alta percentuale di italiani (83,8%) ammette di aver creduto a notizie false in passato (10,3% più volte e 73,5% qualche volta). Un dato significativo è che il 42% ha condiviso notizie poi rivelatesi false. Di fronte a una notizia che smentisce le proprie convinzioni, la maggioranza tende ad approfondire e verificare con altre fonti, sia che la notizia provenga da giornalisti (64,9%) che da influencer (66,2%). Tuttavia, c'è una netta differenza nella reazione iniziale: se la notizia viene da un giornalista, solo il 7,1% tende a pensare che sia falsa, mentre questa percentuale sale al 24,5% se la fonte è un influencer. Sull'influenza e il controllo dell'informazione, la percezione è che i poteri economici (60,9%) e politici italiani (60,5%) siano i principali responsabili della diffusione di notizie "di parte" o fake news, seguiti dagli interessi delle piattaforme social (55,9%) e dai poteri politici esteri (55,8%). Come emerge dall'indagine, c'è una chiara richiesta di maggiore regolamentazione per tutti i comunicatori online: il 62,3% ritiene che le regole deontologiche dei giornalisti dovrebbero essere applicate a chiunque comunichi sui mezzi di informazione. Tuttavia, quasi la metà (50,1%) crede che anche molti giornalisti non rispettino tali regole. Il controllo delle fake news da parte delle piattaforme è un tema caldo. Il 65,0% degli intervistati ritiene che il gruppo di persone che controlla le notizie dovrebbe essere scelto senza preconcetti, e il 60,8% vede un rischio nel controllo basato solo sugli utenti. Interessante è la percezione di chi determina il flusso delle informazioni online: i giornalisti e i media tradizionali (45,1%) sono ancora visti come i principali attori, seguiti a ruota dalle piattaforme con i loro algoritmi (43,8%). Meno influenti in questo senso i cittadini che condividono contenuti sui social networks (28,0%), istituzioni e governi (27,1%) e – ancor meno - influencer e creator (16,5%). La maggior parte degli utenti (70,0%) è consapevole che siti e portali online mostrano notizie personalizzate in base alle loro abitudini. Questo è percepito come un rischio - sia perché tende a confermare le opinioni preesistenti degli utenti (59,9%) sia perché limita l'ampliamento degli interessi (61,8%) - più che un aiuto nel trovare le notizie rilevanti per loro senza fatica (40,7%). Infine, anche l'introduzione dell'Intelligenza Artificiale nella sintesi delle notizie è vista più come un rischio che come un aiuto: prevalgono i timori di informazioni non corrette (58,4%) e di una minore sollecitazione alla verifica delle fonti (57,0%), rispetto all’aiuto dato agli utenti (37,9%). “La ricerca offre spunti di riflessione cruciali - afferma Pasquale De Palma, presidente e amministratore delegato di Inc - anche per le strategie di comunicazione di brand e organizzazioni. Perché in un mondo dove tante persone trovano difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, il rischio che una fake news, alimentata da algoritmi, intelligenze artificiali e condivisioni inconsapevoli, possa danneggiare la reputazione di un’azienda o di una Ngo, è reale e tangibile. Ed è un rischio che va gestito con attenzione e professionalità”. “Bisogna anche avere il coraggio di dire che la disintermediazione oggi è un rischio per le democrazie, fortemente voluta da poteri politici ed economici e dagli interessi delle piattaforme social, che la guidano e la alimentano, sempre perseguendo un interesse personale che non coincide con la verità” commenta Paolo Mattei, vice presidente di Inc, che ha coordinato il gruppo di lavoro sulla ricerca.
(Adnkronos) - Arera-Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ha certificato l’eccellenza del Gruppo Cap, che si è classificato primo in Lombardia e terzo a livello nazionale nella classifica annuale sulla 'Qualità tecnica del servizio idrico integrato', ricevendo un premio economico complessivo di quasi 7 milioni di euro. Lo rende noto Gruppo Cap, sottolineando il risultato straordinario, che conferma la società tra i gestori più virtuosi d’Italia. L'azienda, unica in Italia insieme a un altro gestore, è stata premiata in tutti gli indicatori previsti da Arera, senza alcuna penalità, a testimonianza dell’eccellenza tecnica e della capacità di miglioramento continuo. Un successo che l'azienda ha voluto condividere con i suoi principali stakeholder decidendo di distribuire parte del premio alle sue persone e ai comuni della Città metropolitana di Milano. Con la delibera 917/2017/R/Idr, Arera ha introdotto un sistema per valutare la qualità tecnica del servizio idrico integrato, con l’obiettivo di migliorare concretamente il servizio per gli utenti, tenendo conto delle diverse condizioni presenti sul territorio nazionale e assicurando allo stesso tempo equità tra gli operatori, trasparenza nei controlli e gradualità nell’applicazione delle nuove regole. Il sistema si basa su una serie di indicatori che misurano la qualità del servizio. Alcuni di questi sono prerequisiti fondamentali per accedere al meccanismo di premi e penalità; altri definiscono standard specifici da rispettare nei confronti dei singoli utenti, con eventuali indennizzi in caso di disservizi; infine, ci sono gli standard generali, che valutano le condizioni tecniche complessive del servizio e determinano l’assegnazione di premi o penalità economiche (indicatori M1–M6: interruzioni del servizio, qualità dell’acqua erogata, adeguatezza del sistema fognario, perdite idriche, qualità dell’acqua depurata, smaltimento fanghi in discarica). Gruppo Cap ha ottenuto risultati eccellenti su tutti i livelli previsti; nello specifico, sono stati riconosciuti 2.287.554 euro per le performance sui 6 macro-indicatori M1–M6 (interruzioni del servizio, qualità dell’acqua erogata, adeguatezza del sistema fognario, perdite idriche, qualità dell’acqua depurata, smaltimento fanghi in discarica) mentre 4.578.722 euro rappresentano il premio 'Best in Class', che certifica l’assoluta eccellenza di Cap a livello nazionale. "Questo riconoscimento -commenta il direttore generale di Gruppo Cap, Michele Falcone- rappresenta una conferma autorevole della solidità del nostro modello industriale e della capacità di Gruppo Cap di generare valore attraverso l’eccellenza operativa. Il risultato ottenuto è frutto di una strategia orientata all’innovazione, alla sostenibilità e alla qualità del servizio, resa possibile grazie all’impegno e alla professionalità delle nostre persone. Per questo l’azienda ha deciso di distribuire circa un milione di euro a lavoratrici e lavoratori di Gruppo Cap quale riconoscimento per l'impegno costante, la dedizione e la passione che ogni giorno mettono nel loro lavoro". "Il riconoscimento di Arera -aggiunge il presidente di Gruppo Cap, Yuri Santagostino- è per noi motivo di grande orgoglio, ma soprattutto un’opportunità per rafforzare il nostro legame con chi ogni giorno contribuisce al successo di Gruppo Cap. Per questo abbiamo scelto di destinare una parte importante del premio all’innovazione e a favore delle nostre persone e dei territori, secondo modalità che stiamo individuando, valorizzando il ruolo delle comunità locali che è centrale nella costruzione di un servizio idrico sempre più efficiente, sostenibile. È un gesto concreto che testimonia la nostra visione di impresa pubblica, orientata al miglioramento continuo e alla restituzione di valore alla comunità".