(Adnkronos) - Puntare sulla ricerca come volano strategico di competitività per l'Italia e per l'Europa, assicurare l'attrazione di capitali economici e investimenti, strutturando una strategia volta a supportare chi fa ricerca, garantire la capacità di formare, trattenere e attrarre i talenti della comunità scientifica del futuro. Sono questi i temi al centro della seconda edizione del Forum Incyte sulla ricerca, svoltosi oggi a Roma e promosso dall'azienda biofarmaceutica Incyte Italia, in collaborazione con Formiche e Healthcare Policy. Anche quest'anno l'evento è stato l'occasione per riunire le diverse componenti del sistema Paese e promuovere un confronto sulla ricerca clinica in Italia, sulle opportunità da cogliere e sulle principali sfide da affrontare, in un momento cruciale per l'Italia e per l'Europa. Il gap di innovazione che separa l'Ue dagli Stati Uniti e dalla Cina si sta infatti ampliando e la ricerca in settori ad alta innovazione, come il biotech, è una delle leve principali a disposizione per recuperare terreno. Al centro della discussione anche l'importanza di valorizzare il capitale umano, mediante percorsi di formazione adeguati e soprattutto strumenti che aiutino i ricercatori a trasferire i frutti della ricerca sul mercato, generando valore per la società. I ricercatori italiani sono i secondi più premiati in Ue (61 Starting Grant ottenuti nel 2024), ma l'Italia scivola al quinto posto se si considerano i grant ricevuti come Paese (41). "La ricerca scientifica è motore di innovazione e i protagonisti di questa attività sono proprio i giovani", ha dichiarato Chiara Ambrogio, professore ordinario e Group leader presso il Centro di biotecnologie molecolari (Mbc) dell'Università di Torino, vincitrice del Career Development Award nel 2018 e membro del Comitato di selezione Summer School della Armenise Harvard Foundation, che ha aperto oggi la tavola rotonda 'Creare percorsi di formazione innovativi e infrastrutture di ricerca capaci di attrarre e trattenere i ricercatori è prioritario per garantire la competitività della nostra comunità scientifica'. "Un obiettivo strategico fondamentale dell'Università Campus Bio-Medico di Roma - ha aggiunto Andrea Rossi, amministratore delegato e direttore generale dell'Ucbm - è garantire una formazione globale eccellente, sia etica che tecnica, all'altezza dei tempi e delle attese del mercato. La strategia vincente è integrare i percorsi formativi con partnership di imprese d'avanguardia, nazionali ed internazionali, e il protocollo d'intesa siglato con Incyte Italia per valorizzare il talento dei laureati in materie Stem è un tassello importante in questo percorso". Tra i settori chiave in materia di innovazione e ricerca, le scienze della vita, con il biotech in testa, giocano un ruolo da protagonista, restando il primo comparto al mondo per investimenti in R&S, in valore assoluto e in percentuale sul fatturato. Si stima - è emerso dall'incontro - che tra il 2025 e il 2030 le aziende farmaceutiche investiranno su questo fronte 2.000 miliardi di euro, per l'80% destinati a network di ricerca. Il comparto Life Sciences ricopre un ruolo strategico anche in Italia dove, nel solo 2023 il settore farmaceutico e biotech ha investito 2 miliardi di euro, in crescita del 21% considerando gli ultimi 5 anni. "Oggi la pipeline farmaceutica è al massimo storico - ha commentato Fabrizio Greco, presidente Assobiotec - e dei circa 20mila farmaci in sviluppo nel mondo, circa il 45% è di origine biotech. Le biotecnologie svolgono un ruolo chiave nell'affrontare le sfide geopolitiche attuali e future, anche in termini di salute pubblica. Ad oggi, però, l'Unione europea sta perdendo competitività, soprattutto nella Ricerca & Sviluppo, dove nel 2023 gli Usa hanno investito il 52% del totale globale, mentre l'Europa solo il 16%. Se guardiamo poi all'Italia, la fotografia è di un Paese leader nella produzione farmaceutica, con il 18% del totale europeo, ma con solo il 6% degli investimenti continentali in R&S. Per rimanere competitivi in questo settore, il nostro Paese deve quindi diventare più attrattivo per gli investimenti esteri, combinando incentivi per la R&S a semplificazione, stabilità e certezza delle regole". Secondo Carlo Riccini, vicedirettore generale di Farmindustria: "L'innovazione nelle Life Sciences è fondamentale per salute, sicurezza, crescita, occupazione di qualità. L'industria farmaceutica è leader a livello globale per R&S e prima in Italia per investimenti in Open Innovation, +75% in 10 anni, grazie a partnership con università e centri pubblici. E i brevetti crescono più che negli altri grandi Paesi europei. Investire in ricerca significa credere nel futuro e, come spesso ricordato dal presidente di Farmindustria, l'Ue deve fare di più, con politiche per l'attrattività e regole competitive sulla proprietà intellettuale, per invertire una tendenza che la vede perdere quote degli investimenti mondiali".
(Adnkronos) - “In una Sicilia che è all’ultimo posto per laureati in Italia, e con ogni probabilità in Europa, l’Università di Palermo ha l’intenzione di diventare un interlocutore serio e affidabile tra la politica e il territorio” per evitare la desertificazione giovanile del meridione italiano. Così all'Adnkronos il Rettore dell'Università di Palermo Massimo Midiri punta a un Sud giovane, fatto di giovani che scelgono liberamente di tornare in queste terre. “Se non facciamo qualcosa che convinca i ragazzi a non lasciare il territorio, a restare al Sud e di scegliere di andare fuori, anziché dover andare fuori, e magari tornando portando il know how imparato al nord Italia o in Europa, perderemo una occasione straordinaria”. (Video) Una sfida complessa, che passa per la “capacità della nostra realtà di intercettare l’offerta lavorativa. Ogni nostro corso di laurea - spiega il Rettore - ha tutta una serie di player imprenditoriali che non solo sono degli stakeholder naturali, ma diventano interlocutori anche nel cambiamento dell’offerta formativa. I nostri corsi di studio vogliono mirare a dire soprattutto che non è soltanto imparare a sapere ma è importante imparare a saper fare, per cui il ragazzo appena esce dal corso di laurea è nella condizione di essere spendibile in un mondo del lavoro che non chiede soltanto un basso profilo professionale ma un’alta specializzazione”. Il Rettore Midiri parla con la consapevolezza di essere alla guida di un Ateneo enorme: “Siamo al 4° posto della classifica Censis dei mega-atenei dopo nomi blasonati come quelli di Padova, Bologna e della Sapienza di Roma. Siamo il più grosso ateneo del centrosud, con circa 1.600 docenti, in 16 dipartimenti, con sedi a Trapani, Caltanissetta ed Agrigento”. 45mila gli studenti dell'Università di Palermo, con due terzi del totale che “rientrano nella cosiddetta ‘no-tax area’, non pagano un euro di tasse. Infine, sulla crescente attenzione verso gli Atenei telematici, Midiri ribadisce l'importanza delle Università in presenza: sulla differenza fra le lezioni online e in facoltà "si basa il futuro della Nazione, perché è chiaro che un titolo di studio acquisito in casa, pur con tutti i mezzi e la professionalità, che non metto in dubbio e che saranno elevatissimi, fa perdere al ragazzo quello che io chiamo ‘la consapevolezza di diventare un cittadino responsabile’. L’età fra i 18 e 25 anni, che è quella di chi frequenta i corsi di laurea, intercetta una fase della vita in cui si deve creare quel senso di responsabilità che fa mettere in connessione un ragazzo con il resto della propria comunità. Questo una università telematica non riesce a farlo. Vivere una dimensione di studente dietro a un computer non fa altro che incrementare, accelerare e peggiorare quello stato di isolamento che il nostro Paese ha vissuto con il Covid. Che ha lasciato, e purtroppo lascia, strascichi nella formazione e nella mentalità dei nostri ragazzi. Ragazzi che devono comprendere che vivere l’università non è solo seguire una lezione e fare un esame, ma significa - conclude il Rettore - mettersi in contatto, testarsi, provare, anche sentimenti di rabbia o frustrazione ma anche di collegamento con chi vive con te le stesse emozioni”.
(Adnkronos) - Una nuova bioplastica può ridurre l’inquinamento dei mari. È quanto sostiene un gruppo di ricerca della Woods Hole Oceanographic Institution, negli Stati Uniti, in un articolo recentemente comparso sulle colonne della rivista di settore “Sustainable Chemistry & Engineering”. Protagonista di questa piccola rivoluzione sarebbe il diacetato di cellulosa, un polimero ricavato dalla reazione tra cellulosa e anidride acetica. I tempi di scioglimento in mare di questo materiale sarebbero particolarmente rapidi, con una perdita del 70% della sua massa dopo sole 36 settimane.