(Adnkronos) - La Russia accusa l'Ucraina di cercare di "sabotare" i colloqui sul piano Usa. Mosca sostiene che il piano, presentato dagli ucraini questa settimana, è "radicalmente diverso" da quello che Mosca ha negoziato con Washington. "La nostra capacità di dare la spinta finale per raggiungere un accordo dipenderà dal nostro proprio lavoro e dalla volontà politica dell'altra parte - ha detto in un'intervista televisiva il vice ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov - specialmente nel contesto in cui Kiev e i suoi sponsor, in particolare quelli all'interno della Ue che non sono favorevoli a un accordo, hanno aumentato gli sforzi per sabotarlo". "Sappiamo che questo piano, se questo può essere chiamato piano, differisce radicalmente con quello di 27 punti a cui stiamo lavorando con la parte americana nelle ultime settimane, dall'inizio di dicembre", ha detto Ryabkov in un'intervista alla televisione statale russa. "Senza una soluzione adeguata ai problemi che sono la fonte principale di questa crisi non sarà possibile arrivare ad un accordo finale", ha detto ancora il vice ministro russo. Kiev conferma, intanto, che Volodymyr Zelensky incontrerà Donald Trump domenica in Florida per discutere del piano per mettere fine alla guerra in Ucraina invasa dalla Russia. "E' previsto che l'incontro avvenga domenica", ha detto un consigliere della presidenza ucraina dopo l'anticipazione di Axios. "Tra le questioni delicate, discuteremo il Donbass e della centrale di Zaporizhzhia, e sicuramente affronteremo altre questioni. Il piano in 20 punti al quale stiamo lavorando è pronto al 90%, il nostro compito è garantire che tutto sia pronto al 100%, questo non è facile, nessuno dice che sarà al 100% immediatamente, ma senza dubbio ogni incontro di questo tipo, ogni colloquio ci devono avvicinare al risultato desiderato", ha affermato Zelensky parlando con i giornalisti a Kiev del suo prossimo incontro con Trump in Florida, secondo quanto riferito da Ukrinform. "Discuteremo le garanzie di sicurezza, ci sono diversi documenti del pacchetto e si desidera trovare l'opportunità di discuterli tutti", ha aggiunto Zelensky confermando ai giornalisti il suo incontro con il presidente americano e sottolineando che la cosa successiva sull'agenda dei colloqui è "l'accordo economico, dove ora siamo solo alle bozze basilari". Il presidente ucraino ha poi dichiarato che intende discutere con Trump tutte le questioni "su cui abbiamo disaccordi", secondo quanto riporta Ukrainska Pravda. Zelensky ha dichiarato ad Axios che spera di concordare con il presidente Usa un quadro d'intesa per porre fine alla guerra durante l'incontro di domenica. Zelensky ha anche rivelato di essere disposto a sottoporre tale piano a un referendum se la Russia accetterà un cessate il fuoco di almeno 60 giorni. Zelensky ha annunciato che gli Stati Uniti hanno offerto all'Ucraina garanzie di sicurezza per 15 anni, con possibilità di proroga. "Lui non ha nulla fino a quando l'approvo io" ha detto Donald Trump, parlando con Politico gelando Zelensky che ha detto che in Florida porterà il suo piano di pace in 20 punti. "Vedremo quello che ha", ha aggiunto il presidente americano, esprimendo comunque che la "andrà bene con lui". "Credo che andrà bene con Putin", ha subito aggiunto, affermando che si aspetta di parlare con il leader russo "presto". Parlando della Russia, Trump ha notato come l'economia di Mosca sia in difficoltà: "La loro economia è in brutte condizioni, veramente in brutte condizioni". C'è stata una telefonata di Zelensky con il segretario della Nato Mark Rutte. "Abbiamo coordinato le nostre posizioni in vista degli incontri in Florida e dobbiamo lavorare con il massimo della produttività nei prossimi giorni, come sempre" ha scritto su X, definendola "positiva". "Abbiamo discusso gli sforzi congiunti per garantire sicurezza e sviluppare posizioni europee coordinate che sostengano non solo l'Ucraina ma tutti noi in Europa", ha concluso Zelensky, spiegando di aver condiviso con Rutte "dettagli delle recenti conversazioni con gli inviati del presidente Trump". C'è stato, poi, un colloquio telefonico con il cancelliere tedesco Merz. "Abbiamo parlato con Friedrich dei preparativi per l'incontro con il presidente Trump" ha detto Zelensky. "Stiamo coordinando le nostre posizioni e tutti in Europa devono essere sulla stessa linea per difendere il nostro stile di vita europeo, l'indipendenza dei nostri Stati e la pace in Europa, ci deve essere la pace", ha scritto ancora nel post. Il presidente ucraino ha, poi, spiegato di avere informato il cancelliere tedesco "del nostro lavoro con gli inviati Usa, noi tutti ricordiamo il format dell'incontro di Berlino e la produttività che abbiamo raggiunto. Questo è esattamente come continuiamo a lavorare, abbiamo deciso di continuare ad agire insieme ad europei". Zelensky infine ha ringraziato ancora la Germania per il suo sostegno: "Grazie a quello che stiamo facendo insieme alla Germania, migliaia e migliaia di vite in Ucraina sono state salvate dai raid russi e manteniamo le nostre posizioni difensive per assicurarci la forza delle posizioni diplomatiche". Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che "c'è stato un contatto telefonico" tra russi e americani. Peskov non ha però voluto fornire alcun dettaglio perché, ha affermato, "la divulgazione di queste informazioni potrebbe avere un impatto negativo sul processo negoziale". "Si è concordato di proseguire il dialogo", ha aggiunto ai giornalisti durante un briefing. Mentre l'Eliseo oggi ha annunciato che non ci sono stati recenti contatti tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin, e al momento non sono previsti colloqui tra i due. Parigi e Mosca avevano recentemente espresso il loro interesse per un contatto diretto al vertice. "Non ci sono stati scambi" tra i presidenti francese e russo, "non sono attualmente previste telefonate" tra i due e "non è previsto che Emmanuel Macron si rechi a Mosca", ha dichiarato l'Eliseo. La scorsa settimana, il Cremlino ha indicato che Putin era pronto a parlare con Macron, rispondendo alle dichiarazioni in tal senso del presidente francese. L'Eliseo ha ritenuto questa iniziativa "gradita" e ha affermato che il suo staff avrebbe deciso "nei prossimi giorni il modo migliore per procedere", sottolineando che ciò deve avvenire "in totale trasparenza" con Kiev e i partner europei. Sul fronte il governo russo ha intanto annunciato una nuova avanzata sul terreno in Ucraina, con la conquista di un'altra località nella provincia di Zaporizhzhia. "Le unità del gruppo delle forze orientali continuano ad avanzare in profondità nelle linee di difesa nemiche e, a seguito di azioni decisive, hanno liberato la località di Kosovtsevo, a Zaporizhzhia", ha dichiarato il ministero della Difesa russo in un breve comunicato pubblicato sul proprio account Telegram. Droni russi hanno inoltre colpito due impianti di alimentazione elettrica nella regione di Odessa. A darne notizia è stato lo stesso gestore Dtek su Telegram, specificando che non si sono registrati feriti.
(Adnkronos) - Un 2025 che per illycaffè si chiude "con 690 milioni di fatturato, con un +10% rispetto al 2024, nonostante l'aumento del 50% del costo della materia prima". E' quanto annuncia in un'ampia intervista ad Adnkronos/Labitalia Cristina Scocchia, ad dello storico marchio del caffè made in Italy, sottolineando che il 2026 che si prospetta "ancora più difficile per i costi elevati della materia prima, ma guardiamo con ottimismo per aumentare ancora i fatturati". E nel 2026 si va anche verso l'inizio della produzione negli Usa di una parte del prodotto destinato a quel mercato, e la soluzione, annuncia la manager, "potrebbe essere quella di firmare un accordo di partnership negli Usa con un produttore locale perché questo riduce i tempi". Cristina Scocchia, siamo arrivati al termine di questo 2025, un anno complesso per il mondo da diversi punti di vista. Per le tensioni geopolitiche e le guerre, per le difficoltà che l'hanno attraversato. Ma per illycaffè che anno è stato il 2025 e quali i numeri che avete raggiunto? E' stato un anno molto complesso a livello macroeconomico e geopolitico. E in particolare lo è stato per il mercato del caffè, perché il costo della materia prima, il cosiddetto caffè verde, soprattutto per l’arabica che è la qualità che noi scegliamo, è aumentato a livello mondiale del 50%. Quindi è ovvio che quando hai, da una parte il contesto macroeconomico e geopolitico che comunque riduce il potere d'acquisto delle famiglie, dall'altra come settore specifico e come industria ti trovi a lottare con una materia prima in aumento del 50%, ovviamente la montagna da scalare è abbastanza alta. Nonostante tutto questo però noi siamo estremamente soddisfatti di questo 2025 perché chiuderemo a circa 690 milioni di fatturato, quindi siamo vicini a quella che è la milestone di 700 milioni di euro e questo rappresenta una crescita del 10% rispetto al 2024. La cosa importante è che questa crescita a doppia cifra è una crescita che abbiamo raggiunto in maniera strategica, ovvero diffusa in tutti i mercati e in tutti i Paesi. L'Italia, che è il nostro Paese più importante e rappresenta il 30% dell'azienda, è cresciuta dell'11% circa, se non succede nulla di male in queste ultime giornate dell'anno, e gli Stati Uniti, che per noi sono il secondo mercato più rilevante, sono cresciuti tra il 19 e il 20%, a secondo di come andrà il Natale. L'Europa, che avevo dichiarato ad inizio anno essere per noi una nuova priorità sta crescendo di oltre 22%. Numeri importanti quindi che alzano anche le aspettative per il 2026. Con questi numeri realizzati nel 2025 cosa vi aspettate dal 2026, quali sono i progetti per il prossimo anno? Purtroppo noi ci aspettiamo che il 2026 sia ancora più difficile dal punto di vista del costo della materia prima. E questo perché nonostante il presidente Trump abbia rimosso lo scorso novembre i dazi del 15% sul caffè, la bolla inflazionistica non si è ridotta. E Trump ha fatto anche un'altra cosa: ha cancellato i dazi del 50% che gravavano sulle importazioni negli Stati Uniti di alcuni prodotti brasiliani, tra cui il caffè verde. Il Brasile è il più grande produttore al mondo di caffè, gli Stati Uniti sono il più grande consumatore al mondo di caffè e quindi il fatto che il caffè verde venisse importato negli Stati Uniti con questo dazio del 50% aveva creato una bolla inflazionistica importante che aveva spinto e mantenuto per mesi il costo del caffè verde a circa 400 centesimi per libbra. Quando tutti questi dazi sono stati rimossi ci siamo augurati che ci fosse una rapida discesa del costo della materia prima, ma purtroppo questo non è avvenuto. C'è stata sì la discesa, siamo contenti di vedere che dopo tante, troppe settimane, a oltre 400, ora siamo intorno ai 350-360 centesimi per libbra, ma stiamo comunque parlando di quasi tre volte il costo storico, che tra il 2015 e il 2021 era tra i 100 e i 130 centesimi per libra. Ovviamente un tale aggravio di costi sarà impattante anche sul 2026, perché noi stiamo già comprando adesso quelle che sono le scorte dell'anno prossimo. Il processo di produzione dalla tostatura all’immissione sul mercato dura infatti dai 6 ai 9 mesi. Quindi molti dei costi che avremo nel 2026 sono determinati dagli acquisti di caffè verde che stiamo facendo in questo momento. Di conseguenza ci aspettiamo un 2026 comunque con dei costi elevati, ma la crescita che abbiamo realizzato quest'anno, che è una crescita organica data dalla conquista di nuovi clienti e nuovi consumatori, ci fa guardare con ottimismo all'anno che verrà. Pensiamo che nonostante il prezzo del caffè verde rimarrà presumibilmente alto, comunque riusciremo a continuare a crescere a livello di fatturati e ritornare a crescere anche a livello di profitto. Questo aumento dei costi secondo lei, almeno per quanto riguarda voi, si riverserà anche sul costo per il consumatore finale o continuerete, come avete fatto, a cercare di ridurre al minimo questi impatti? Noi continueremo a cercare di ridurre al minimo l'impatto sui consumatori finali, però è purtroppo necessario adeguare il listino. Perché? Perché il costo della materia prima è veramente troppo alto, perché le aziende possano, non solo illycaffè, assorbire in toto questi aumenti di costi di produzione. C'è un limite a quanto puoi comprimere la marginalità dell'azienda, oltre a questo limite l'azienda perde competitività perché non ha più risorse da investire in innovazione, in persone, in crescita a livello internazionale. Quindi così come abbiamo fatto l'anno scorso, anche nel 2026, rivedremo e ritoccheremo verso l'alto il listino ma lo faremo in maniera contenuta, accettando di trattenere sulle nostre spalle una parte dell'incremento della materia prima e riversando a valle sul consumatore finale una porzione contenuta, quanto necessario per avere dei margini che siano sani. Quindi ci potranno essere degli aumenti del costo della tazzina di caffè anche al bar? Quelli non dipendono da noi. Noi ritocchiamo i listini verso la grande distribuzione organizzata piuttosto che verso i nostri clienti, degli hotel, dei bar e dei ristoranti. L’aumento che il barista e il ristoratore decidono di fare sul consumatore finale è una decisione loro, indipendente. Però è logico pensare che se vedono aumentare i propri costi anche i baristi e i ristoratori debbano a loro volta aumentare il prezzo che richiedono ai clienti finali, perché anche loro devono avere una marginalità che sia sana. Sono anche loro degli imprenditori che danno lavoro e che hanno necessità di generare comunque un business sano. Prima dello stop del 13 novembre come hanno impattato i dazi Usa sul vostro business? State ancora riflettendo sull'apertura di uno stabilimento di produzione in Usa? I dazi al 15% hanno avuto un impatto significativo per noi tra aprile e la fine dell'anno, perché comunque anche quando sono stati aboliti a metà novembre gli stock da vendere sul mercato americano avevano già attraversato la dogana e pagato il dazio al 15%. Quindi sul 2025 non abbiamo avuto benefici dalla loro rimozione. Ci aspettiamo però, se le cose resteranno così, un impatto positivo e significativo sul 2026. Per quanto riguarda la nostra volontà di andare comunque a produrre una parte di quello che vendiamo sul mercato americano direttamente in Usa questa rimane. Perché come ho dichiarato anche in passato la nostra volontà di avere un presidio produttivo locale era ed è indipendente dalla presenza dei dazi, anche se ovviamente questi hanno accelerato i tempi. E' una decisione strategica che va al di là della contingenza perché gli Stati Uniti rappresentano il 20%, quindi un quinto dell'azienda ed è importante avere lì un presidio produttivo. Abbiamo valutato molte opzioni e alla fine abbiamo deciso che la soluzione migliore per noi potrebbe essere quella di firmare un accordo di partnership con un produttore locale perché questo riduce i tempi. Invece comprare il terreno, costruire la fabbrica, metterci dentro le linee di montaggio, fare training agli operai per essere a regime dopo due anni, due anni e mezzo, sarebbe stata una soluzione di troppo lungo termine. L'accordo di partnership con un partner locale, bravo e di qualità, ci permetterebbe all'inizio dell'anno prossimo di iniziare a produrre tra il 15 e il 20% dei prodotti dedicati al mercato americano direttamente in loco, riducendo i costi di logistica e l'impatto ambientale e poi ci permetterebbe anche di essere più vicini ai gusti dei consumatori americani perché producendo in loco hai una presa più diretta con quello che è il consumatore locale. Voi avete sempre sottolineato che il cuore dell'azienda rimane in Italia, con gli investimenti che state realizzando a Trieste. A che punto sono? Gli investimenti a Trieste non solo sono stati confermati ma sono stati incrementati. Spenderemo infatti oltre 130 milioni e siamo già ad un buon tasso di realizzazione. Quest'estate durante la pausa estiva, proprio in agosto, abbiamo installato una nuova linea di montaggio per produrre il nostro prodotto più iconico che è il barattolino da 250 grammi e stiamo lavorando a spron battuto per completare i lavori della nuova e tosteria che inaugureremo nei prossimi mesi. Raddoppieremo la capacità di tostatura perché grazie alle crescite molto sostenute negli ultimi tre anni eravamo arrivati a saturazione degli impianti. E grazie alla crescita dello stabilimento abbiamo avuto la possibilità anche di ampliare l'organico assumendo direttamente nel 2025 circa 100 persone su Trieste. Questo credo che sia il segno più concreto di quanto siamo made in Italy, di quanto noi continuiamo ad investire e a generare lavoro nel nostro Paese. Per quanto riguarda la quotazione in Borsa, che novità ci sono alla luce di tutte queste cose che abbiamo messo in campo, la difficoltà, ma anche la volontà di continuare a investire sia in Italia che all'estero? Noi continuiamo a credere che la quotazione in Borsa sia una possibilità concreta per illycaffè. Detto questo è chiaro che ci vogliono due condizioni. Da una parte l'azienda deve avere un track record di risultati importanti e questi negli ultimi quattro anni non sono mancati quindi dal punto di vista interno nostro saremmo pronti, però ci vuole anche un mercato che sia pronto. Ci vogliono le condizioni endogene, ma anche quelle esogene. A livello di condizioni esogene, proprio il contesto macroeconomico, geopolitico e soprattutto il prezzo del caffè verde ancora così alto, ci fanno pensare che il 2026 non sia l'anno giusto per la quotazione. Quindi il progetto c'è e rimane, però la conferma del se e quando, verrà presa nel momento in cui finalmente il caffè verde scenderà. Cosa che noi auspichiamo succeda entro la fine del 2026, entro quella data speriamo di poter confermare se e quando si realizzerà questa IPO di cui appunto abbiamo parlato. Dal suo punto di vista come giudica la manovra economica e il comportamento del governo in vista di questo 2026, con quello che si sta mettendo in piedi anche come sostegno alle imprese? Io credo che la gestione prudente e oculata del bilancio pubblico a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni abbia dato dei risultati concreti. Lo spread è sceso ai minimi, che è un segno di fiducia nei confronti del nostro Paese e quindi è un indicatore importante per quanto riguarda l'attrazione di investimenti esteri in Italia. Vediamo che i rating continuano a premiare il nostro Paese, anche questa è un'iniezione di fiducia e quindi io credo che questa gestione oculata e prudente stia dando i propri frutti. Poi ovviamente tutto ciò che può essere fatto a sostentgo della competitività e degli investimenti è benvenuto. Il problema delle aziende è che gli investimenti richiedono delle uscite di cassa oggi per ricavi e profitti futuri. E quindi è ovvio che tutto ciò che può essere messo in campo per aiutare le aziende ad investire di più ne aumenterà competitività e di conseguenza la capacità di generare lavoro. E come giudica invece l'atteggiamento dell'Unione Europea verso le imprese? Noi ci chiediamo, giustamente, cosa può fare l'Italia per le imprese italiane ma a me piacerebbe che anche l’Europa facesse la sua parte. Noi nel mercato europeo ci crediamo, ci investiamo, però a me personalmente piacerebbe vedere un'Europa che diventa molto più concreta e parla molto di più di industrial deal. Mi piacerebbe vedere un'Europa che mette ingenti risorse in comune e le investe su alcune priorità chiave, come ad esempio il recupero del gap tecnologico che abbiamo a livello di digitale e in particolare di intelligenza artificiale. Mi piacerebbe un'Europa molto attiva sulla riduzione del costo dell'energia, perché questo è un fattore competitivo importantissimo. Se noi aziende europee, e ovviamente anche le italiane, continuiamo a pagare l'energia due, tre volte quello che fanno i nostri competitors in altri Paesi del mondo, non saremo mai in una condizione di giocarcela alla pari. Da ultimo vorrei vedere un’Europa che si impegna sul fronte della semplificazione. La burocrazia, le norme che sono diverse in ogni Paese e spesso in contrasto, rappresentano dei 'dazi' per le aziende molto più grandi di quelli che ci aveva imposto Trump. Certe volte è più difficile esportare nei paesi europei che non dall'altra parte del mondo. Su questi tre fronti, secondo me, l'Europa deve fare la differenza e la deve fare ora che il contesto macroeconomico è così complesso, ora che è tornato il protezionismo. Serve una wake up call. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - "Dall'inizio di quest'anno c'è l'obbligo di introduzione del 25% di riciclato nelle bottiglie, quindi andiamo a toccare con mano e abbiamo toccato con mano dal vivo in questo 2025 che cosa vuol dire obbligare qualcuno a mettere del riciclato". Queste le parole di Corrado Dentis presidente Coripet, il consorzio autonomo, volontario che opera nella raccolta e nell'avvio a riciclo dei contenitori per liquidi in Pet, intervenendo alla Conferenza Nazionale Industria del Riciclo 2025, promossa dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile con Conai e Pianeta2030, con il patrocinio di Mase e Commissione Europea. "Abbiamo dato il 25% di riciclato, quello che è obbligatorio per legge, a tutti i consorziati produttori – prosegue Dentis – quindi rispettano gli obblighi normativi. Questo l'abbiamo fatto grazie ad una catena di custodia che parte dalla raccolta e segue tutta la filiera fino alla consegna ai soci di un Pet riciclato di altissima qualità, qualitativamente elevato. Abbiamo condotto in questi anni assieme all'Università Federico II di Napoli uno studio completo su più di mille campionature effettuate su tutta la filiera. La capacità di produzione del polimero in estremo oriente è 12 volte superiore a quella di tutta l'Europa. Quindi abbiamo dimensioni e dinamiche non comparabili. Siamo riusciti, ciononostante, attraverso questo nuovo modello, a garantire i presupposti per ottemperare alla legge, dando ai nostri soci un polimero, peraltro, a condizioni economiche estremamente stabili, che è tracciato made in Italy (dalla raccolta alla produzione) e rispetta perciò anche le norme che prevedono l’obbligo di utilizzo di E-Pet europeo”. “Il nostro modello riguarda più del 40% dell’immesso a consumo e auspichiamo che anche tutti gli altri produttori sposino il modello Coripet. Ma al momento la restante quota di mercato, approfittando di un vuoto normativo privo di sanzioni, non rispetta gli obblighi, continuando ad usare il Pet vergine di importazione, favorito da un prezzo più basso. Questo è un qualcosa che va colmato a stretto giro, anche perché la concorrenza, quella che arriva dalla Cina, riguarda sia il polimero vergine che sui polimeri riciclati”.