(Adnkronos) - A scuola con l'outfit giusto. L'abbigliamento da indossare in classe è l'argomento di una serie di circolari, diramate dai presidi negli istituti sul territorio, con indicazioni sul dress code. Nel mirino dei regolamenti scolastici finiscono top e canottiere considerate troppo 'minimal', magliette che lasciano scoperte spalle e addome, scollature generose, gonne e pantaloni corti, jeans strappati. Le circolari, emanate dai dirigenti scolastici, includono anche il divieto di indossare cappelli o cappucci durante le lezioni. Numerosi istituti utilizzano formule generiche che bandiscono capi d'abbigliamento definiti 'sgarbati' o potenzialmente 'distraenti' per gli altri studenti. Come riporta 'Orizzonte Scuola', le circolari definiscono nuovi divieti agli alunni, invitandoli ad 'adottare un abbigliamento sobrio, decoroso, pulito e ordinato'. Niente 'abiti scollati o eccessivamente sbracciati, pantaloni a vita bassa, minigonne, abiti attillati o trasparenti, short, pantaloncini', si legge in una circolare di un istituto di Villa San Giovanni (Reggio Calabria) e in una scuola di Pisa. Regolamenti e divieti che si estendono anche agli accessori: ci sono scuole che vietano unghie finte per motivi di 'sicurezza', trucchi appariscenti, capelli dai colori vivaci, accessori vistosi e piercing eccessivi. Per i ragazzi, l'attenzione si concentra principalmente su barbe lunghe o incolte. E proprio da un sondaggio di Skuola.net condotto su quasi tremila studenti emerge che circa tre ragazzi su dieci devono prestare attenzione quotidiana al proprio abbigliamento proprio per evitare richiami o sanzioni disciplinari. Solo uno su 5 può vestirsi come vuole senza restrizioni. Mentre a un ulteriore 55% di studenti è 'solo' raccomandato di presentarsi in classe con un look 'adeguato'. (di Giselda Curzi)
(Adnkronos) - Dopo il via libera da parte del Cipess al progetto esecutivo del Ponte sullo Stretto di Messina si è entrati nella fase cruciale dell'opera. Ed è particolarmente interessante analizzare il potenziale impatto occupazionale dell’opera: un’infrastruttura di tale portata non rappresenta soltanto un ingente investimento economico, ma anche un banco di prova per osservare come il mercato del lavoro risponderà a una richiesta straordinaria di competenze tecniche e specialistiche. Secondo i dati ufficiali della società Stretto di Messina Spa si stima che in cantiere saranno occupati mediamente 4.300 addetti all'anno che raggiungeranno un picco di 7.000 addetti nel periodo di maggiore produzione. "Su un orizzonte di sette anni - spiega Andrea Benigni, amministratore delegato Eca Italia, società punto di riferimento delle direzioni risorse umane per la gestione della mobilità internazionale- ciò equivale a circa 30 mila unità lavorative per anno (ula) dirette, a cui si sommano 90 mila ula tra indotto e filiera, per un totale complessivo di 120 mila ula. Il punto centrale per comprendere la reale portata occupazionale dell’opera è la distinzione tra unità lavorative per anno (ula) e posti di lavoro. Un’ula equivale a una persona occupata a tempo pieno per un anno. In altri termini, se un saldatore lavora sulla stessa commessa per dieci anni, genera dieci ula, ma resta pur sempre un solo lavoratore. Volendo tradurre queste considerazioni in un numero, il Ponte sullo Stretto potrebbe generare, tra diretti e indotto, 15.000–20.000 posti di lavoro complessivi nell’arco dei 7–8 anni di esecuzione”, sottolinea. Ma per Benigni la vera sfida occupazionale del Ponte sullo Stretto riguarda la disponibilità della manodopera necessaria alla costruzione dell'infrastruttura. “Dove reperiremo le figure necessarie, molte delle quali con competenze tecniche già oggi difficili da trovare?", domanda Benigni. "Il settore delle costruzioni in Italia -ricorda l'esperto- affronta un mismatch strutturale tra domanda e offerta: mancano carpentieri, tecnici di cantiere, saldatori, ingegneri strutturali, operatori di macchinari complessi. Un divario che rischia di amplificarsi di fronte a un’opera di queste dimensioni”. La questione centrale non è soltanto quanti lavoratori saranno impiegati, ma soprattutto quali competenze saranno necessarie e come sarà possibile, se necessario, attrarle. In altre parole, non si tratta semplicemente di gestire numeri: occorre pianificare e valorizzare capitale umano reale. Per le aziende direttamente coinvolte e per l’intero ecosistema delle costruzioni, il cantiere rappresenterà un vero e proprio stress test operativo. E secondo Benigni "a questo punto entra in gioco il tema dell’immigrazione qualificata. L’Unione Europea dispone già di strumenti per attrarre competenze dall’estero, primo fra tutti la blue card", che rilasciata ai lavoratori extra Ue altamente qualificati. Si tratta di un canale di ingresso che consente l’assunzione dall’estero e al di fuori delle quote fissate con il decreto flussi. "Tuttavia, i dati raccontano un’Italia in ritardo: secondo Eurostat, nel 2023 la Germania ha rilasciato oltre 69.000 blue card, mentre l’italia ne ha concesse meno di 1.000. È probabile che i dati 2024 non mostreranno variazioni significative rispetto a questo divario. La differenza non è casuale. La Germania ha costruito attorno alla blue card un ecosistema favorevole: procedure snelle, digitalizzazione, riduzione dei vincoli burocratici e percorsi di integrazione rapidi", sottolinea. "L’Italia, al contrario, procede -spiega ancora- con maggiore lentezza, tra iter complessi e un approccio culturale che continua a interpretare l’immigrazione prevalentemente in chiave emergenziale o come manodopera a bassa qualificazione. Eppure, per colmare il divario tra domanda e offerta, l’apertura verso specialisti e talenti internazionali diventa imprescindibile”. Le aziende italiane che hanno già introdotto personale qualificato attraverso la Blue Card riportano non solo vantaggi immediati in termini di competenze, ma anche un arricchimento culturale e una maggiore capacità di innovazione. “Il ponte sarà costruito con acciaio e cemento, ma la sua riuscita dipenderà soprattutto dal capitale umano che sapremo mobilitare. Se non riusciremo a colmare il mismatch di competenze, il rischio è duplice: ritardi nei lavori e ulteriore perdita di competitività. Al contrario, se sapremo trasformare questa sfida in opportunità, il cantiere potrà diventare un acceleratore di innovazione nelle politiche del lavoro”, chiosa Benigni.
(Adnkronos) - ''Campania Mater nasce come spazio vivo di confronto, creatività e visione. Non è un appuntamento isolato, ma un percorso collettivo che vuole mettere al centro persone, competenze e passioni per costruire il modello agricolo del futuro''. Così l’assessore regionale all’Agricoltura, Nicola Caputo, ha presentato al Palazzo Reale di Napoli la due giorni dedicata al comparto agroalimentare campano, che ha registrato una partecipazione straordinaria con un’affluenza massiccia di pubblico, operatori e stakeholder provenienti da tutta la regione. Caputo ha spiegato che l’obiettivo di Campania Mater è duplice: da un lato riflettere sulle grandi sfide del settore, dall’altro trasformare ricerca e idee in proposte concrete, innovative e sostenibili. «C’è tanto da raccontare di questa straordinaria Campania, con la sua biodiversità e l’instancabile attivismo dei suoi imprenditori agricoli. Vogliamo dare dignità a un settore che oggi vive un momento di grande complessità, ma che ha tutte le carte in regola per essere protagonista». L’assessore ha ricordato che il forum è il frutto di mesi di lavoro di un’équipe multidisciplinare e si articola in tre aree tematiche: ''È un’occasione straordinaria per guardare avanti, coinvolgendo non solo gli operatori agricoli, ma anche stakeholder, esperti e imprenditori. La straordinaria partecipazione di queste giornate conferma che la Campania agricola è viva, coesa e pronta a dettare l’agenda per il futuro del settore. Abbiamo alzato la voce di fronte a sfide cruciali – dal cambiamento climatico alle crisi determinate dalle guerre, fino alla volatilità dei prezzi – grazie anche alle quattro associazioni di categoria che hanno accompagnato questo percorso di crescita. Oggi la Campania può diventare un modello replicabile: dalla gestione sostenibile delle risorse alla capacità di raccontare e valorizzare le proprie eccellenze nel mondo''. Caputo ha poi rivolto un messaggio diretto al settore: ''Agli agricoltori vogliamo dire che c’è grande attenzione a livello europeo per voltare pagina, con la necessità di assicurare il reddito di chi lavora la terra. Occorre mettere in campo politiche, come avviene in altre parti del mondo, che garantiscano certezze e incentivino a proseguire questo mestiere''. Tra i pilastri della manifestazione, l’assessore ha presentato la pubblicazione del volume “Campania Mater. Il Modello Campania per il cibo che verrà”, realizzato con Teresa Del Giudice e Alex Giordano: ''Abbiamo racchiuso i risultati dei gruppi di lavoro multidisciplinari in un volume di 400 pagine, in italiano e in inglese, che contiene dati, analisi di Nomisma e strategie per affrontare il cambiamento climatico, ridurre gli sprechi, tutelare la biodiversità e rafforzare la DOP Economy. È il manifesto con cui vogliamo proporre la Campania come laboratorio di eccellenza a livello nazionale ed europeo''.