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(Adnkronos) - A scuola con l'outfit giusto. L'abbigliamento da indossare in classe è l'argomento di una serie di circolari, diramate dai presidi negli istituti sul territorio, con indicazioni sul dress code. Nel mirino dei regolamenti scolastici finiscono top e canottiere considerate troppo 'minimal', magliette che lasciano scoperte spalle e addome, scollature generose, gonne e pantaloni corti, jeans strappati. Le circolari, emanate dai dirigenti scolastici, includono anche il divieto di indossare cappelli o cappucci durante le lezioni. Numerosi istituti utilizzano formule generiche che bandiscono capi d'abbigliamento definiti 'sgarbati' o potenzialmente 'distraenti' per gli altri studenti. Come riporta 'Orizzonte Scuola', le circolari definiscono nuovi divieti agli alunni, invitandoli ad 'adottare un abbigliamento sobrio, decoroso, pulito e ordinato'. Niente 'abiti scollati o eccessivamente sbracciati, pantaloni a vita bassa, minigonne, abiti attillati o trasparenti, short, pantaloncini', si legge in una circolare di un istituto di Villa San Giovanni (Reggio Calabria) e in una scuola di Pisa. Regolamenti e divieti che si estendono anche agli accessori: ci sono scuole che vietano unghie finte per motivi di 'sicurezza', trucchi appariscenti, capelli dai colori vivaci, accessori vistosi e piercing eccessivi. Per i ragazzi, l'attenzione si concentra principalmente su barbe lunghe o incolte. E proprio da un sondaggio di Skuola.net condotto su quasi tremila studenti emerge che circa tre ragazzi su dieci devono prestare attenzione quotidiana al proprio abbigliamento proprio per evitare richiami o sanzioni disciplinari. Solo uno su 5 può vestirsi come vuole senza restrizioni. Mentre a un ulteriore 55% di studenti è 'solo' raccomandato di presentarsi in classe con un look 'adeguato'. (di Giselda Curzi)
(Adnkronos) - In un contesto macroeconomico segnato da profonde incertezze, c’è la preoccupazione dei lavoratori per possibili licenziamenti: il 53% a livello globale - e il 37% degli italiani – teme, infatti, di essere coinvolto in esuberi entro un anno. La quasi totalità non si sente pronta ad affrontare l’eventuale ricerca di un nuovo impiego, sia dal punto di vista del network professionale, sia da quello delle competenze e delle capacità necessarie per candidarsi in una nuova posizione; 1 persona su 6 ritiene, inoltre, che questa ricerca potrebbe richiedere molto tempo (per il 24% degli italiani più di un anno). E le aziende non sembrano essere sufficientemente preparate: il 58% degli hr (65% in Italia) ammette che la propria azienda non fornisce un adeguato sostegno in caso di riduzione del personale, anche se due terzi di loro (il 64% in Italia) dichiarano che la propria realtà si impegna a essere corretta nel processo di licenziamento. Condividendo solo in parte questa percezione, il 60% dei dipendenti a livello globale e 1 su 2 in Italia ritiene che i propri dirigenti manchino di empatia durante i licenziamenti. Vulnerabilità latenti che, se non affrontate con gli strumenti adeguati, rischiano di creare ulteriori tensioni e difficoltà in caso di crisi. Sono queste tra le principali evidenze che emergono dalla ricerca internazionale 'Culture in the balance: leading through layoffs without losing trust' (La cultura in equilibrio: gestire i licenziamenti senza perdere la fiducia) condotta da Intoo, società di Gi Group Holding leader nel settore dell’employability, sviluppo e transizione di carriera, con l’obiettivo di capire le sfide che dipendenti ed hr devono affrontare durante i licenziamenti, l’impatto dei medesimi e come le aziende possano mitigarli per preservare chi resta, la loro cultura e l'integrità del brand. La survey, realizzata in collaborazione con la società di ricerca Workplace Intelligence, ha coinvolto - oltre all’Italia - anche Argentina, Brasile, Regno Unito e Stati Uniti, intervistando 1.100 responsabili hr e 1.100 dipendenti a tempo pieno. “Anche quando approcciate con le migliori intenzioni - commenta Cetti Galante, ceo di Intoo (Gi Group Holding) - le riduzioni del personale, le uscite volontarie, gli esuberi e i licenziamenti rappresentano momenti complessi e delicati nella vita di un'organizzazione. Bisogna considerare come la gestione dell’uscita rifletta inevitabilmente la cultura e l’immagine aziendale . A prescindere dalle difficoltà operative emerse dalla ricerca, è oggi sempre più rilevante una gestione ponderata di queste situazioni, che ne consideri tutte le conseguenze a livello interno ed esterno. E' comunicando chiaramente le ragioni di queste scelte e offrendo sostegni concreti, caratterizzati da approcci umani e in linea con i valori aziendali, che si può operare per preservare nel lungo periodo la responsabilità sociale dell’azienda, l’occupabilità delle persone dentro e fuori la propria realtà, il coinvolgimento di chi resta e l’attrattività verso l’esterno, necessaria per la sostenibilità e la resilienza del business”. Gestire male un processo di licenziamento può avere infatti un effetto negativo sulla forza lavoro rimanente, in termini di benessere e motivazione: l’80% dei dipendenti su scala globale (78% in Italia) ritiene che le imprese tendano a sottovalutare questo impatto. Dopo aver assistito a un licenziamento, il 71% dei lavoratori (68% in Italia) inizierebbe subito a cercare un nuovo impiego, mentre il 62% (56% in Italia) ha perso fiducia nel proprio datore di lavoro. Ma non solo: 1 intervistato su 6 (12% in Italia) ha smesso di impegnarsi a fondo, il 44% (31% in Italia) riferisce che la propria produttività sia stata compromessa e che sia aumentato lo stress (oltre 60% in Italia, 71% a livello globale). Un quadro che stride con la percezione degli HR, 1 su 2 dei quali (42% per in Italia) pensa che il personale restante lavorerebbe invece più duramente, a dimostrazione di un evidente disallineamento. I licenziamenti possono avere conseguenze significative anche a livello reputazionale e incidere sulla capacità delle aziende di attrarre nuovo personale in futuro. Quasi la metà delle imprese a livello globale (46% in Italia) ha subìto ripercussioni online e circa 1 lavoratore su 5 sarebbe pronto a lamentarsi pubblicamente - % che si alza a 1 su 4 se si considera solo il campione dei lavoratori Gen Z. Cosa può fare, allora, un’impresa per gestire correttamente il processo di riduzione del personale supportando chi esce e tutelando al contempo la motivazione e la fiducia di chi resta, oltre alla propria attrattività verso l’esterno? Considerando che il 54% dei dipendenti (49% in Italia) non ha fiducia nella capacità dei dirigenti di gestire i licenziamenti in modo etico e segnala una mancanza di empatia, formare il management su una migliore gestione di eventuali esuberi diventa cruciale per ricostruire il clima in azienda. In termini poi di supporti concreti, la maggioranza dei responsabili hr e dei dipendenti intervistati - anche in Italia -, con valori superiori all’80%, ritiene che alle persone licenziate dovrebbero essere offerti servizi di outplacement e ricollocamento. Chi lo fa dimostra di preoccuparsi maggiormente delle proprie persone. In un contesto in cui la diffusione di tali servizi varia notevolmente da Paese a Paese – si passa dal 48% del Brasile al 17% dell’Italia - vi è spesso una scarsa consapevolezza: solo il 18% dei dipendenti (21% in Italia) è a conoscenza dei programmi di outplacement offerti dal proprio datore di lavoro, evidenziando una chiara opportunità di migliorarne la comunicazione dei benefici alle persone. “La maggior parte delle persone - continua Galante - fatica ad affrontare da sola il mercato del lavoro, per questo è necessario riflettere sempre di più sulla long term employability protection, attività che spetta tanto alle aziende quanto alle persone perché questa è la sfida più attuale. Da un lato le imprese devono riuscire ad affrontare i cambiamenti repentini, gestendone i rischi operativi e reputazionali, mantenendo al tempo stesso engagement, attrattività e fornendo supporti e risorse di qualità alla propria popolazione aziendale nelle diverse fasi lavorative. Dall’altro, ciascuno di noi ha la responsabilità di mantenersi employable e aggiornato, in termini di competenze e network, per trovarsi pronto a possibili trasformazioni e transizioni di carriera, anche volontarie, sempre più frequenti e connaturate ai cambiamenti del mercato del lavoro stesso”. La ricerca evidenzia infatti come molti dipendenti non siano pronti ad affrontare il mercato del lavoro in caso di uscita: in Italia il 26% dichiara di non avere le competenze necessarie, mentre il 40% non si sente preparato a presentare una candidatura, aggiornare il curriculum o affrontare un colloquio. Più della metà (56%) non ritiene di disporre di una rete professionale solida e il 54% ammette di non poter contare sul proprio network per trovare una nuova occupazione.
(Adnkronos) - "Sono uno dei pochi che sa com’è fatta la faccia di un agricoltore, di un bracciante, di un contadino. Sono orgoglioso di essermi formato in mezzo a voi. Mi auguro che negli anni futuri ci sia sempre qualcuno che conosca davvero il mondo agricolo e che ricordi che i nostri produttori sono portatori di valori profondi". Così il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, intervenendo a Campania Mater, la due giorni al Palazzo Reale di Napoli dedicata al futuro del settore primario. De Luca ha ripercorso il lavoro svolto con l’assessore all’Agricoltura Nicola Caputo per affrontare le emergenze degli ultimi anni. «Abbiamo dovuto gestire crisi sanitarie che hanno colpito alcuni prodotti e un problema drammatico per il comparto bufalino. Nonostante battaglie, scontri ed equivoci, siamo riusciti quasi a risolvere la questione della brucellosi, adottando anche scelte serie di governo e linee di sburocratizzazione per i pagamenti agli allevatori. Abbiamo tenuto ferma la strategia di valorizzazione della qualità dei prodotti, difendendo un settore che rappresenta un’eccellenza assoluta e una grande ricchezza per l’economia campana». Il governatore ha ricordato anche gli interventi in materia di consorzi di bonifica, «alcuni in condizioni di dissesto e senza risorse per il personale», e l’impegno sul fronte della programmazione idrica. «Siamo l’unica regione d’Italia ad aver approvato un piano per l’autonomia idrica, del valore complessivo di miliardi di euro tra fondi europei e risorse di bilancio. Abbiamo previsto 20 invasi collinari e i lavori per la diga di Campolattaro, cofinanziata con il ministero delle Infrastrutture, che permetteranno di irrigare 40mila ettari di terreni, in particolare quelli destinati a produzioni vitivinicole. Vogliamo garantire autonomia idrica per l’agricoltura, l’uso potabile e la produzione di energia idroelettrica». De Luca ha sottolineato la necessità di «non abbassare la guardia di fronte ai cambiamenti climatici. Se finora la siccità ha colpito più la Pianura Padana che la Campania, non possiamo rilassarci: servono infrastrutture, dighe e invasi collinari per garantire sicurezza anche negli anni più difficili». Tra le altre iniziative, il presidente ha citato il progetto per «un grande mercato florovivaistico nell’area di Torre Annunziata, all’avanguardia in Italia e in Europa», e le misure a tutela dell’export campano, «oggi minacciato da possibili ricadute dei dazi. Dobbiamo prepararci a sostenere i settori più colpiti e non lasciare più sole le aziende». Sul piano della promozione, De Luca ha rivendicato i progressi compiuti: «Siamo presenti al Vinitaly con uno stand unico che valorizza i nostri territori e rappresenta un punto di forza per i produttori». Ha poi ricordato i bandi per il direttore dell’ente pagatore regionale «in un’ottica di sburocratizzazione» e gli interventi a favore dei lavoratori idraulico-forestali «che da anni vivevano in una condizione di totale precarietà». «Questo lavoro – ha concluso De Luca – deve continuare e non va disperso. Mi auguro che in futuro chi guiderà la Regione sappia cosa significa essere un bracciante, un agricoltore, un allevatore; che conosca la filiera, le istituzioni, le battaglie per la sanità animale e la prevenzione. Abbiamo fiducia nel futuro del settore: negli ultimi anni si è registrato un ritorno all’agricoltura da parte dei giovani e dobbiamo accompagnarli con innovazione, rinnovamento tecnologico e contratti pluriennali di fornitura, che garantiscano programmazione e investimenti. Cercheremo di starvi vicino sempre, senza lasciare nessuno indietro. E, per quanto mi riguarda, conto di campare ancora a lungo».