(Adnkronos) - Dopo settimane di rumors e indiscrezioni, arriva l'ufficialità: Francesca Bellettini è la nuova presidente e amministratrice delegata di Gucci. Una nomina che non sorprende il settore, ma che segna un passaggio cruciale per il futuro della maison fiorentina, alle prese con una fase di calo di appeal e di performance commerciali. La top manager, considerata una delle figure più influenti e di successo del fashion system, riporterà direttamente a Luca de Meo, neo amministratore delegato del gruppo Kering. "In questo momento cruciale, intendo costruire un’organizzazione più snella e chiara, con i migliori talenti alla guida delle nostre maison - ha spiegato de Meo -. A Gucci, in qualità di brand di punta del nostro Gruppo, deve essere riservata la massima attenzione, e Francesca, una delle professioniste più esperte e rispettate del settore, porterà la leadership e l’eccellenza nell’esecuzione necessarie per riportare il marchio al livello che merita". Per Bellettini si tratta di una sfida di altissimo profilo: "Sono veramente onorata di assumere la diretta responsabilità di Gucci, una delle maison di lusso più iconiche al mondo - ha sottolineato -. Sono entusiasta di lavorare sotto la guida di Luca de Meo, la cui visione innovativa e dirompente ci ispira a superare ogni confine. Non vedo l’ora di affrontare questa nuova sfida insieme a tutto il team di Gucci e al fianco di Demna, del quale ho sempre ammirato la creatività”. Classe 1970, nata e cresciuta a Cesena, Bellettini è entrata in Kering nel 2013 come ceo di Saint Laurent, guidando il marchio a una crescita senza precedenti e trasformandolo in una delle realtà più redditizie del gruppo. Nel 2023 è stata nominata deputy ceo di Kering con delega alla supervisione di tutte le maison del gruppo. Con il nuovo incarico, prende il posto di Stefano Cantino, che ha deciso di lasciare l’azienda dopo aver ricoperto il ruolo di ceo di Gucci dal 2024. "Desidero ringraziare Stefano per la sua dedizione a Gucci - ha detto Bellettini -. Nel corso del suo incarico ha dato un contributo significativo al rafforzamento dei valori fondanti del marchio e alla definizione del suo posizionamento". Cantino, dal canto suo, ha espresso gratitudine per l’opportunità e ha sottolineato "l’onore di aver contribuito allo sviluppo dell’azienda in una fase così importante della sua evoluzione". La nomina di Bellettini arriva in un momento delicato per Gucci, che negli ultimi anni ha visto rallentare il ritmo di crescita dopo il boom dell’era Alessandro Michele. Per la griffe della doppia G il primo trimestre 2025 è stato pesante, con ricavi a 3 miliardi di euro, in flessione del 26% (reported), dopo un crollo del 42% della rete wholesale e -24% del canale retail. L'obiettivo di Kering, e di de Meo, arrivato da Renault per tentare di risollevare le sorti del colosso francese del lusso, è invertire la tendenza e restituire alla maison fiorentina il ruolo di locomotiva del gruppo che ha sempre avuto. La scelta di Bellettini sembra voler imprimere un cambio di passo netto: pragmatica e decisa, capace di visione, la manager dovrà lavorare a stretto contatto con Demna, nominato al timone creativo di Gucci nel marzo scorso, per definire una nuova identità creativa e strategica per il brand, capace di riconquistare mercato e rilevanza culturale. Jean-Marc Duplaix continuerà a ricoprire il ruolo di chief operating officer di Kering, supportando de Meo nello sviluppo del Gruppo. Con questa riorganizzazione, le funzioni di deputy ceo di Kering vengono eliminate, segno di una volontà di semplificazione e di concentrazione delle responsabilità. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: per Kering, Gucci è la priorità assoluta. E Francesca Bellettini è la donna giusta per traghettare il marchio fuori dalla sua fase più complicata. (di Federica Mochi)
(Adnkronos) - In un contesto macroeconomico segnato da profonde incertezze, c’è la preoccupazione dei lavoratori per possibili licenziamenti: il 53% a livello globale - e il 37% degli italiani – teme, infatti, di essere coinvolto in esuberi entro un anno. La quasi totalità non si sente pronta ad affrontare l’eventuale ricerca di un nuovo impiego, sia dal punto di vista del network professionale, sia da quello delle competenze e delle capacità necessarie per candidarsi in una nuova posizione; 1 persona su 6 ritiene, inoltre, che questa ricerca potrebbe richiedere molto tempo (per il 24% degli italiani più di un anno). E le aziende non sembrano essere sufficientemente preparate: il 58% degli hr (65% in Italia) ammette che la propria azienda non fornisce un adeguato sostegno in caso di riduzione del personale, anche se due terzi di loro (il 64% in Italia) dichiarano che la propria realtà si impegna a essere corretta nel processo di licenziamento. Condividendo solo in parte questa percezione, il 60% dei dipendenti a livello globale e 1 su 2 in Italia ritiene che i propri dirigenti manchino di empatia durante i licenziamenti. Vulnerabilità latenti che, se non affrontate con gli strumenti adeguati, rischiano di creare ulteriori tensioni e difficoltà in caso di crisi. Sono queste tra le principali evidenze che emergono dalla ricerca internazionale 'Culture in the balance: leading through layoffs without losing trust' (La cultura in equilibrio: gestire i licenziamenti senza perdere la fiducia) condotta da Intoo, società di Gi Group Holding leader nel settore dell’employability, sviluppo e transizione di carriera, con l’obiettivo di capire le sfide che dipendenti ed hr devono affrontare durante i licenziamenti, l’impatto dei medesimi e come le aziende possano mitigarli per preservare chi resta, la loro cultura e l'integrità del brand. La survey, realizzata in collaborazione con la società di ricerca Workplace Intelligence, ha coinvolto - oltre all’Italia - anche Argentina, Brasile, Regno Unito e Stati Uniti, intervistando 1.100 responsabili hr e 1.100 dipendenti a tempo pieno. “Anche quando approcciate con le migliori intenzioni - commenta Cetti Galante, ceo di Intoo (Gi Group Holding) - le riduzioni del personale, le uscite volontarie, gli esuberi e i licenziamenti rappresentano momenti complessi e delicati nella vita di un'organizzazione. Bisogna considerare come la gestione dell’uscita rifletta inevitabilmente la cultura e l’immagine aziendale . A prescindere dalle difficoltà operative emerse dalla ricerca, è oggi sempre più rilevante una gestione ponderata di queste situazioni, che ne consideri tutte le conseguenze a livello interno ed esterno. E' comunicando chiaramente le ragioni di queste scelte e offrendo sostegni concreti, caratterizzati da approcci umani e in linea con i valori aziendali, che si può operare per preservare nel lungo periodo la responsabilità sociale dell’azienda, l’occupabilità delle persone dentro e fuori la propria realtà, il coinvolgimento di chi resta e l’attrattività verso l’esterno, necessaria per la sostenibilità e la resilienza del business”. Gestire male un processo di licenziamento può avere infatti un effetto negativo sulla forza lavoro rimanente, in termini di benessere e motivazione: l’80% dei dipendenti su scala globale (78% in Italia) ritiene che le imprese tendano a sottovalutare questo impatto. Dopo aver assistito a un licenziamento, il 71% dei lavoratori (68% in Italia) inizierebbe subito a cercare un nuovo impiego, mentre il 62% (56% in Italia) ha perso fiducia nel proprio datore di lavoro. Ma non solo: 1 intervistato su 6 (12% in Italia) ha smesso di impegnarsi a fondo, il 44% (31% in Italia) riferisce che la propria produttività sia stata compromessa e che sia aumentato lo stress (oltre 60% in Italia, 71% a livello globale). Un quadro che stride con la percezione degli HR, 1 su 2 dei quali (42% per in Italia) pensa che il personale restante lavorerebbe invece più duramente, a dimostrazione di un evidente disallineamento. I licenziamenti possono avere conseguenze significative anche a livello reputazionale e incidere sulla capacità delle aziende di attrarre nuovo personale in futuro. Quasi la metà delle imprese a livello globale (46% in Italia) ha subìto ripercussioni online e circa 1 lavoratore su 5 sarebbe pronto a lamentarsi pubblicamente - % che si alza a 1 su 4 se si considera solo il campione dei lavoratori Gen Z. Cosa può fare, allora, un’impresa per gestire correttamente il processo di riduzione del personale supportando chi esce e tutelando al contempo la motivazione e la fiducia di chi resta, oltre alla propria attrattività verso l’esterno? Considerando che il 54% dei dipendenti (49% in Italia) non ha fiducia nella capacità dei dirigenti di gestire i licenziamenti in modo etico e segnala una mancanza di empatia, formare il management su una migliore gestione di eventuali esuberi diventa cruciale per ricostruire il clima in azienda. In termini poi di supporti concreti, la maggioranza dei responsabili hr e dei dipendenti intervistati - anche in Italia -, con valori superiori all’80%, ritiene che alle persone licenziate dovrebbero essere offerti servizi di outplacement e ricollocamento. Chi lo fa dimostra di preoccuparsi maggiormente delle proprie persone. In un contesto in cui la diffusione di tali servizi varia notevolmente da Paese a Paese – si passa dal 48% del Brasile al 17% dell’Italia - vi è spesso una scarsa consapevolezza: solo il 18% dei dipendenti (21% in Italia) è a conoscenza dei programmi di outplacement offerti dal proprio datore di lavoro, evidenziando una chiara opportunità di migliorarne la comunicazione dei benefici alle persone. “La maggior parte delle persone - continua Galante - fatica ad affrontare da sola il mercato del lavoro, per questo è necessario riflettere sempre di più sulla long term employability protection, attività che spetta tanto alle aziende quanto alle persone perché questa è la sfida più attuale. Da un lato le imprese devono riuscire ad affrontare i cambiamenti repentini, gestendone i rischi operativi e reputazionali, mantenendo al tempo stesso engagement, attrattività e fornendo supporti e risorse di qualità alla propria popolazione aziendale nelle diverse fasi lavorative. Dall’altro, ciascuno di noi ha la responsabilità di mantenersi employable e aggiornato, in termini di competenze e network, per trovarsi pronto a possibili trasformazioni e transizioni di carriera, anche volontarie, sempre più frequenti e connaturate ai cambiamenti del mercato del lavoro stesso”. La ricerca evidenzia infatti come molti dipendenti non siano pronti ad affrontare il mercato del lavoro in caso di uscita: in Italia il 26% dichiara di non avere le competenze necessarie, mentre il 40% non si sente preparato a presentare una candidatura, aggiornare il curriculum o affrontare un colloquio. Più della metà (56%) non ritiene di disporre di una rete professionale solida e il 54% ammette di non poter contare sul proprio network per trovare una nuova occupazione.
(Adnkronos) - ''Parlare di agricoltura significa parlare di ecosistemi, e per questo fin dall’inizio ci è sembrato fondamentale costruire un percorso che coinvolgesse tutti gli attori della filiera''. Così Alex Giordano e Teresa Del Giudice hanno presentato a Campania Mater, in corso al Palazzo Reale di Napoli, il volume dedicato al “Modello Campania”, frutto di un lavoro di ricerca e di confronto che ha messo insieme Istituzioni, imprese, accademia e territori. L’iniziativa, avviata mesi fa con il sostegno dell’assessore regionale all’Agricoltura Nicola Caputo, ha avuto l’obiettivo di trasformare la Campania in un laboratorio di buone pratiche, capace di valorizzare le eccellenze ma anche di affrontare con realismo le criticità. ''Non volevamo un modello calato dall’alto – hanno spiegato Giordano– ma un lavoro condiviso, fatto con gli agricoltori, con le imprese, con le associazioni e con i territori. Solo così si può creare un ecosistema reale, che tenga insieme produzione, ricerca, innovazione e comunità locali''. Il percorso ha visto la partecipazione attiva di 160 attori diversi: agricoltori, imprenditori, ricercatori, associazioni di categoria, funzionari pubblici e rappresentanti delle istituzioni. ''La cosa più sorprendente – ha dichiarato Teresa Del Giudice – è stata constatare quanto fosse facile costruire un ecosistema se esiste un’istituzione pubblica che svolge il ruolo di attivatore. La Regione Campania ha avuto questa funzione, creando le condizioni per un confronto paritario e aperto''. Dal confronto è emersa una visione dell’agricoltura campana come patrimonio strategico, non solo per l’economia ma anche per l’identità e l’immagine internazionale della regione. ''Le eccellenze agroalimentari – hanno ricordato Del Giudice – sono già bandiere del Made in Italy nel mondo. Il nostro compito è rafforzare questa forza identitaria e, allo stesso tempo, affrontare i nodi ancora irrisolti: dalla frammentazione produttiva alle difficoltà delle aree interne, fino alla necessità di innovare e diversificare i modelli di business''. Il libro presentato a Campania Mater non è dunque soltanto un’analisi, ma anche un manifesto per il futuro: un documento che raccoglie esperienze, proposte e visioni, con l’obiettivo di orientare le scelte politiche e imprenditoriali dei prossimi anni. ''Il cambiamento o è condiviso, o semplicemente non avviene – ha ribadito Del Giudice –. La sfida è costruire un’agricoltura multifunzionale, capace di creare valore aggiunto, attrarre giovani e restituire vitalità anche alle aree più fragili, oggi a rischio spopolamento''. Concludendo il loro intervento, Giordano e Del Giudice hanno sottolineato come Campania Mater sia già un primo risultato concreto: ''Questi due giorni dimostrano che esiste una volontà reale di fare rete e di guardare all’agricoltura non solo come produzione, ma come sistema che tiene insieme ambiente, economia, cultura e comunità. È da qui che può nascere davvero un modello Campania, capace di parlare all’Italia e al mondo''.