ARISK spa Spin-Off PoliTO spaARISK® è una PMI innovativa Deep Tech con sedi a Milano, Torino e Bari. Da novembre 2019 è SpinOff Universitario del Politecnico. L'attività principale è lo sviluppo di algoritmi di analisi predittiva del rischio. |
ARISK spa Spin-Off PoliTO spaARISK® è una PMI innovativa Deep Tech con sedi a Milano, Torino e Bari. Da novembre 2019 è SpinOff Universitario del Politecnico. L'attività principale è lo sviluppo di algoritmi di analisi predittiva del rischio. |
(Adnkronos) - “È difficile pensare di agire sulle violenze di cui sono vittime gli operatori sanitari” puntando “esclusivamente a misure repressive. Questi episodi drammatici sono frutto di una esacerbazione dell'utenza rispetto a una percezione dell'erogazione delle cure, che non è all'altezza delle aspettative. Questo è il vero problema da risolvere. Se prima non si risolve la problematica legata all'efficienza, all'appropriatezza e alla sicurezza delle prestazioni sanitarie che vengono erogate, per esempio, nei nostri ospedali, ma anche nelle strutture territoriali, non si affronterà mai seriamente il problema di un'utenza esasperata”. Così Alessandro Vergallo, presidente nazionale Aaroi-Emac, il Sindacato dei Medici anestesisti rianimatori e dell’emergenza-urgenza, all’Adnkronos, a margine del convegno ‘Il valore sociale del pubblico impiego nel Ssn’, organizzato da Aaroi-Emac, oggi alla Camera dei Deputati, commenta i recenti fatti di violenza contro gli operatori sanitari, l’ultimo, ieri sera, al pronto soccorso di Lamezia Terme. “Alla base dell'invito a questo evento” c’è l’obiettivo di “trovare delle sinergie, delle ‘ricette’ per individuare le soluzioni possibili, ma soprattutto sostenibili, che ci consentano di preservare il valore del nostro Servizio sanitario nazionale universalistico che tutto il mondo ci ha finora invidiato e che, speriamo, continui anche in futuro per l'alta qualità delle prestazioni di diagnosi e cura che eroga alla popolazione del nostro paese nel solco di un ancor più alto valore sociale costituito dalla sua universalità”. “L'evento di oggi sul valore sociale del pubblico impiego - continua - racchiude in sé le tematiche su cui abbiamo pensato di chiedere un momento di riflessione, di incontro fra le istituzioni e le varie rappresentanze del mondo professionale della sanità pubblica, per affrontare insieme e trovare sinergie al fine di individuare le soluzioni alle problematiche che affliggono il nostro servizio sanitario nazionale di cui l'impiego pubblico è la spina dorsale”. Le proposte individuate “sono quelle che danno valore proprio al rapporto di pubblico dipendente all'interno del Servizio sanitario pubblico che ultimamente - sottolinea Vergallo - viene snaturato da tutta una serie di rapporti atipici, tra cui il ricorso alla fornitura di servizi attraverso appalti privati alle cosiddette cooperative che, in realtà, se andiamo a riflettere, nemmeno il sistema privato adotta proprio perché sono estremamente dispendiosi a fronte di un rapporto con la qualità e la sicurezza delle cure che non è all'altezza di ciò che è il nostro servizio sanitario. Questo crea anche un'insoddisfazione dell'utenza che poi si riverbera negli episodi di violenza e nelle aggressioni”.
(Adnkronos) - Un’area ricca di biodiversità funzionale, con spazi verdi per ridurre le isole di calore e aumentare la capacità di catturare gli inquinanti atmosferici, ma anche per attrarre insetti impollinatori grazie a fiori con tempi di fioritura diversificati. Si presenta così la rinnovata Piazza della Scienza, nel cuore dell’Università di Milano-Bicocca, celebrata oggi con un taglio del nastro dalla rettrice Giovanna Iannantuoni, alla presenza di Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia e Giancarlo Tancredi, assessore alla Rigenerazione urbana del Comune di Milano. "Abbiamo restituito agli studenti, alla comunità accademica di Milano-Bicocca, all’intera cittadinanza uno spazio alla cui rigenerazione hanno collaborato professori, ricercatori, assegnisti e dottorandi dell’ateneo. A guidarli, principi di miglioramento ambientale e di implementazione della biodiversità e del benessere della persona", ha spiegato la rettrice Giovanna Iannantuoni. "Sarà anche - ha affermato - un laboratorio a cielo aperto grazie a sensori che monitoreranno l'inquinamento acustico e rileveranno il particolato atmosferico; ci saranno anche sensori biologici per valutare gli effetti di inquinanti aerodispersi e verrà monitorato lo spostamento degli insetti, per favorire il quale è stata studiata una connettività con altre aree verdi nelle vicinanze". E' stato questo il primo atto della giornata dedicata all’inaugurazione dell’Anno Accademico 2024-2025, che è proseguita con la cerimonia ufficiale nell’Aula magna dell’ateneo a cui hanno presenziato anche Alessandro Morelli, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e l’urbanista Carlos Moreno che ha tenuto una lectio magistralis dal titolo 'Proximity and urban regeneration: 15-minute cities for a more inclusive future'. "In poco più di 25 anni - ha detto Giuseppe Sala - l’Università Bicocca è riuscita a ricavarsi un ruolo da protagonista nel mondo accademico, grazie a progetti innovativi e a collaborazioni strategiche, anche di respiro internazionale . Lo studio alla base della rigenerazione di Piazza della Scienza, alla cui inaugurazione abbiamo assistito questa mattina, è emblema dell’approccio serio, competente, lungimirante e coraggioso che la Bicocca mette in tutte le iniziative che promuove: un metodo, basato su accuratezza e sensibilità nei confronti di ciò che accade nel mondo, che sa trasmettere ai suoi studenti e ai giovani ricercatori". "Il progetto di rigenerazione di Piazza della Scienza, finanziato dalla Regione Lombardia insieme al Ministero dell'Università e della Ricerca - ha dichiarato il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana - mira a rinnovare l’area con interventi di sostenibilità ambientale e mitigazione dei cambiamenti climatici. La Regione si è impegnata negli ultimi anni per realizzare infrastrutture innovative, e questa piazza diventa un 'living lab' dell’ateneo, grazie a tecnologie avanzate per la pianificazione urbana sostenibile. Finanziamo le Università con investimenti mirati per incentivare la ricerca e promuovere collaborazioni con il mondo delle imprese. Bicocca è un modello di eccellenza di università moderna, connessa alle Istituzioni e al tessuto economico e produttivo nel quale è inserita, dalla quale prendere esempio". All’università per essere liberi di muoversi in spazi nuovi, dunque, ma anche per essere liberi di imparare, liberi di scoprire, liberi di essere: è questo l’auspicio che la rettrice ha rivolto a tutta la comunità studentesca dell’Università di Milano-Bicocca: "Perché la libertà è il terreno più fertile in cui far germogliare la conoscenza e, d’altra parte, è il sapere a rendere liberi, come ci ricordano ogni giorno le parole di Socrate". Nella sua prolusione, la rettrice ha poi ricordato i passi avanti compiuti dall’Università di Milano-Bicocca, il più giovane ateneo pubblico milanese, che ha raggiunto 40.000 studenti iscritti (+11 per cento nell’ultimo quinquennio), con un aumento delle immatricolazioni anche internazionali. L’offerta formativa di Milano-Bicocca conta oggi 80 corsi di laurea triennale, magistrale e magistrale a ciclo unico, 12 dei quali erogati in lingua inglese. L’innovazione continua dei percorsi di studio e le connessioni dell’ateneo con le imprese, le istituzioni e il territorio si riflettono nel tasso di occupazione dei laureati di Milano-Bicocca che, a un anno dal conseguimento della laurea triennale e magistrale, è rispettivamente dell’80 e dell’82 per cento, 5 punti al di sopra della media nazionale. Sempre più ricca e attrattiva l’offerta post lauream. I corsi di dottorato sono 22 e le scuole di specializzazione (37 in area medica e due in area psicologica) contano oltre 1.400 iscritti. Il settore dell’Alta Formazione eroga 88 corsi (+44 per cento rispetto al 2022) con più di 2.000 immatricolati e oltre 850 docenti coinvolti nella formazione. E con un aumento continuo di studenti-lavoratori che partecipano ai master di primo e di secondo livello. Per quanto riguarda la ricerca, sono 541 i progetti avviati nell’ultimo quinquennio, per un valore di 158 milioni di euro. "La dotazione di 307 grandi attrezzature di ricerca, 200 delle quali usufruibili anche da aziende ed enti esterni, ha permesso all’Ateneo di accrescere sensibilmente la capacità di rispondere alla domanda di ricerca commissionata e di creare sinergie sempre più strette con il territorio", ha spiegato Iannantuoni. Bicocca è anche sempre più aperta al mondo con flussi degli studenti outgoing e incoming in continua crescita. "I nostri studenti di Medicina, di Infermieristica e Ostetricia e i nostri specializzandi avranno inoltre l’opportunità di formarsi presso uno dei maggiori poli sanitari non profit dell’Africa equatoriale grazie al progetto Bridge (Bicocca research and innovation for development and global health) – Uganda e al nuovo avamposto di Milano-Bicocca presso il Lacor Hospital in Uganda che abbiamo inaugurato ufficialmente lo scorso settembre". All’intervento della rettrice ha fatto seguito quello di Andrea Daccò, presidente del Consiglio degli studenti dell’ateneo, e di Carlo Celentano, rappresentante in Senato Accademico del Personale Tecnico e Amministrativo. La cerimonia è stata anche l’occasione per ascoltare le parole di Carlos Moreno, professore di Urbanistica e Teoria dell’innovazione presso l’Università Parigi 1 Panthéon-Sorbona: la lectio magistralis dell’urbanista, noto a livello mondiale e specializzato in sistemi complessi e questioni urbane, si è concentrata sul concetto di 'città in 15 minuti', da lui ideato. Si tratta di un modello di sviluppo urbano basato sul benessere della comunità, dove le persone siano in grado di raggiungere la maggior parte dei servizi essenziali con uno spostamento di soli 15 minuti a piedi o in bicicletta. "Eventi drammatici come la recente alluvione a Valencia sottolineano l'urgente necessità di un cambio di paradigma nella pianificazione delle città. Lo stesso World Urban Forum, convegno mondiale sulle questioni urbane appena conclusosi, ha evidenziato l'importanza della prossimità e della circolarità", ha spiegato Carlos Moreno. "Fornendo servizi essenziali - ha chiarito - come istruzione, sanità, cibo, spazi verdi, in una 'città a breve distanza', policentrica e interconnessa, si ridefiniscono gli spazi urbani in modo da renderli più equi, accessibili e inclusivi, trasformando i quartieri in centri vibranti che favoriscono i legami sociali e la solidarietà. Questa rivoluzione di prossimità non è dunque solo una risposta alle sfide ambientali, ma va a incentivare la rigenerazione urbana e l'inclusione sociale: noi oggi siamo al centro di questo cambiamento e dobbiamo impegnarci a realizzarlo".
(Adnkronos) - Eventi climatici estremi e guerre hanno fatto crescere di oltre il 26% in appena quattro anni il numero di persone che soffrono la fame e i progressi mondiali per la lotta alla malnutrizione stanno rallentando in modo preoccupante, allontanando sempre più l’obiettivo Fame Zero entro il 2030: se si manterrà questo ritmo, il mondo raggiungerà un livello di fame basso solo nel 2160, tra più di 130 anni. È quanto emerge dall’Indice Globale della Fame 2024 (Global Hunger Index - Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015 - di cui anche Cesvi è parte - e, da quest’anno, insieme anche a Ifhv - Institute for International Law of Peace and Armed Conflict. Nel 2023 sono state 733 milioni (oltre 152 milioni in più rispetto al 2019) le persone che hanno sofferto la fame, una persona su 11 nel mondo e una su cinque in Africa. Sono, invece, quasi 3 miliardi quelle che non hanno potuto permettersi una dieta sana a causa dell'aumento dei prezzi alimentari e della crisi del costo della vita. "L’insicurezza alimentare acuta e il rischio di carestia sono in aumento e l'uso della fame come arma di guerra sta dilagando - spiega Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi - e alla base di questi dati allarmanti c'è uno stato di crisi permanente causato da conflitti diffusi, dal crescente impatto dei cambiamenti climatici, da problemi di ordine economico, dalle crisi del debito e dalle disuguaglianze. Intervenire è ancora possibile, anche se diventa sempre più urgente farlo in maniera rapida e strutturata. Alcuni Paesi hanno, infatti, dimostrato che il progresso è un obiettivo realizzabile: in Somalia, Bangladesh, Mozambico, Nepal e Togo, per esempio, si sono registrate notevoli riduzioni dei punteggi di Ghi sulla malnutrizione, anche se la fame resta comunque un problema serio". L’Indice Globale della Fame (Ghi) misura la fame a livello globale, regionale e nazionale basandosi su quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Quest’anno il punteggio Ghi del mondo è di 18.3, ovvero fame a livello moderato. In 6 Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen), nonostante i miglioramenti in alcuni di essi, è stato riscontrato un livello di fame ancora allarmante e in ulteriori 362 un livello di fame grave. "I progressi compiuti nella lotta contro la fame tra il 2000 e il 2016 dimostrano che un miglioramento sostanziale è possibile, anche in tempi ragionevoli – sottolinea Piziali – ma purtroppo dal 2016, quando il punteggio Ghi globale era 18.8, per il mondo nel suo complesso e per molti Paesi, i progressi si sono arenati e in alcuni Paesi si sono registrate addirittura delle inversioni di tendenza". In ben due terzi dei 130 Paesi esaminati nell’edizione 2024 del Ghi, la denutrizione non ha registrato miglioramenti o è addirittura aumentata. In particolare, in 22 Paesi con punteggi di Ghi 2024 moderati, gravi o allarmanti, è stato rilevato un peggioramento rispetto al 2016 e in 5 Paesi (Venezuela, Siria, Libia, Giordania e Figi) addirittura anche rispetto al 2000. In base alle attuali proiezioni del Ghi, al ritmo attuale, sono almeno 64 i Paesi che non raggiungeranno livelli di fame bassi, tanto meno l’obiettivo Fame Zero, entro il 2030. Si stima infatti che, con il ritmo attuale, nel 2030, 582 milioni di persone saranno ancora cronicamente denutrite, la metà delle quali in Africa; un numero paragonabile alla popolazione denutrita nel 2015, anno in cui il mondo si è impegnato a eliminare la fame entro il 2030. Dal Ghi emerge, inoltre, che l'insicurezza alimentare acuta si sta rapidamente aggravando, con condizioni di carestia in crescita, in diversi Stati e territori, tra cui Gaza, Sudan, Haiti, Burkina Faso, Mali e Sud Sudan e che solo in un numero ridotto di Paesi (Bangladesh, Mongolia, Mozambico, Nepal, Somalia e Togo) sono stati registrati miglioramenti significativi, sebbene continuino ad essere presenti livelli di fame troppo elevati. In America Latina e Caraibi il rallentamento della crescita è aumentato anche tra il 2016 e il 2023, con situazioni critiche nei territori di Haiti, Brasile e Argentina. Haiti, in particolare, è tra i paesi con i maggiori aumenti nei punteggi Ghi tra il 2016 e il 2023, principalmente a causa dell'aumento della malnutrizione: i livelli di fame stanno aumentando drasticamente, mentre il Paese affronta una serie di shock concomitanti, tra cui piogge irregolari, inflazione e turbolenze politiche che hanno generato violenze delle bande e sfollamenti interni. Oltre a valutare le tendenze e ad analizzare i livelli della fame, il report Ghi di quest'anno approfondisce l'importanza di affrontare la disuguaglianza di genere per raggiungere la resilienza climatica e l'obiettivo Fame Zero. "La disuguaglianza di genere è una delle minacce più pervasive allo sviluppo sostenibile e alla realizzazione del diritto al cibo – spiega Piziali – le donne sono infatti protagoniste di un vero e proprio paradosso: sono oltre il 60% delle persone che soffrono la fame pur essendo un pilastro della sicurezza alimentare delle loro famiglie. Oltre il 43% della forza lavoro agricola nei Paesi in via di sviluppo è infatti femminile, anche se le donne possiedono una minima percentuale delle terre agricole e hanno accesso limitato a risorse come sementi, fertilizzanti e credito". L'insicurezza alimentare delle donne si ripercuote sui bambini. La malnutrizione infantile è infatti strettamente correlata a quella materna, perpetuando un ciclo intergenerazionale di fame e povertà che colpisce i bambini già nei primi giorni di vita o ancor prima della nascita: oltre 94 milioni di donne e ragazze soffrono di malnutrizione acuta in gravidanza e durante l’allattamento. La situazione peggiora ulteriormente con la crescita: sono oltre 36 mln i bambini sotto i 5 anni malnutriti e tra questi oltre 9 mln soffrono di malnutrizione grave e hanno quindi bisogno di cure urgenti. "Secondo le stime della Fao, colmare i divari di genere nei sistemi agroalimentari potrebbe aumentare il PIL globale di quasi 1.000 miliardi di dollari, riducendo di 45 milioni il numero di persone afflitte dall’insicurezza alimentare.– spiega Piziali – Se ciò non dovesse accadere entro il 2030 quasi un quarto delle donne e delle ragazze di tutto il mondo (23,5%) sarà in condizioni di moderata o grave insicurezza alimentare". Dal Ghi emerge che la giustizia di genere, essenziale per un futuro equo e sostenibile, si basa su riconoscimento (modifica delle norme di genere discriminatorie), ridistribuzione (assegnazione di risorse e opportunità per correggere le disuguaglianze di genere) e rappresentanza (ridurre il divario di genere nella partecipazione delle donne alla politica e nei processi decisionali): per ottenere un cambiamento reale, è cruciale garantire alle donne l’accesso alle risorse e affrontare le disuguaglianze strutturali come le dinamiche di classe e il controllo delle imprese sui sistemi produttivi. Mentre a Baku (Azerbaigian) è in corso la Cop29 (Conferenza Onu sui cambiamenti climatici), il GHI denuncia che la fame nel mondo si sta rapidamente aggravando anche a causa delle crisi climatiche sempre più frequenti ed estreme. Nel solo 2023 si sono verificate 399 catastrofi naturali, più di 1 al giorno. Questi eventi hanno provocato 86.473 morti e colpito 93,1 mln di persone, causando 202,7 mld di perdite economiche. Gli eventi meteorologici estremi, in particolare, nell’ultimo anno hanno peggiorato i livelli di fame in 18 Paesi, facendo precipitare in condizioni di insicurezza alimentare acuta oltre 72 mln di persone, 15 mln in più rispetto al 20229 Nel mondo milioni di persone sopravvivono grazie all’agricoltura e sono quindi particolarmente sensibili alle variazioni climatiche. Se non ci saranno cambiamenti di rotta, i raccolti di grano, riso e mais potrebbero ulteriormente diminuire, colpendo in particolare le comunità rurali, le famiglie a basso reddito e i gruppi già marginalizzati che sono fra i più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Tra le regioni più colpite l'Africa Sub-Sahariana, il Sud-Est Asiatico e l'America Latina. La situazione è particolarmente critica nell’area del Corno d’Africa, alle prese con una crisi climatica estrema, segnata dall’alternarsi di lunghissimi periodi di siccità e devastanti inondazioni. In Somalia, il livello di malnutrizione è ormai gravissimo e stagioni consecutive di scarse precipitazioni, problemi di sicurezza, effetti della guerra in Ucraina e conseguenze dei cambiamenti climatici hanno spinto le comunità più vulnerabili al limite; per questo Cesvi opera da molti anni nel Paese per rispondere ai bisogni nutrizionali dei più vulnerabili, attraverso 3 centri di salute nei quali si occupa di cura e nutrizione per neonati e mamme, attraverso la somministrazione di terapie nutrizionali salvavita oltre che del monitoraggio continuo delle condizioni dei pazienti. Le condizioni sono molto complesse anche in Etiopia a causa di una siccità gravissima. Dal 2021 l’area ha saltato cinque stagioni di piogge consecutive, causando la perdita di bestiame, principale fonte di sostentamento per le comunità, e portando così ad un aumento della malnutrizione. Qui Cesvi sostiene la popolazione attraverso progetti di assistenza in denaro, riabilitazione e restauro di bacini per il raccoglimento dell’acqua, preparazione dei terreni al pascolo e attività di peacebuilding per aiutare le comunità a condividere le risorse in un’ottica di aiuto reciproco. A peggiorare la situazione alimentare mondiale anche le guerre e i conflitti armati, come dimostra il caso emblematico della Striscia di Gaza, che in meno di un anno ha visto il 96% della popolazione (2,15 milioni di persone) precipitare nell’insicurezza alimentare catastrofica o acuta. Le operazioni militari hanno rapidamente devastato le infrastrutture agricole e di pesca del territorio e inferto un duro colpo anche all’allevamento. Quasi il 68% dei terreni agricoli di Gaza è stato danneggiato, riducendo drasticamente la produzione di cibo. Il 52,5% dei pozzi agricoli (1.188) e 44% delle serre sono stati gravemente compromessi, le attività agricole sono quasi totalmente interrotte e molte aree sono contaminate da ordigni inesplosi: si stima che ci potrebbero volerci fino 14 anni per eliminare tutte le minacce esplosive. Le attività di pesca sono state gravemente compromesse a causa del blocco navale e degli attacchi alle imbarcazioni, riducendo notevolmente la disponibilità di pesce, una risorsa alimentare cruciale per Gaza. Gravissima anche la situazione degli allevamenti con il 95% del bestiame andato perduto. La distruzione di infrastrutture vitali come le riserve idriche e le strutture di trattamento dell'acqua ha ulteriormente aggravato la crisi: l'accesso limitato all'acqua potabile ha aumentato il rischio di malattie legate alla malnutrizione e alle condizioni igieniche carenti. Nonostante le enormi difficoltà di accesso degli operatori umanitari, Cesvi sta sostenendo la popolazione da oltre un anno attraverso la distribuzione di acqua e cibo e con interventi, anche strutturali, per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie nei rifugi. Oltre a distribuire acqua potabile a oltre 100mila persone, l’organizzazione umanitaria in questi mesi ha dotato 7 accampamenti di cisterne da 1.500 litri e attivato interventi per ripristinare sistema fognari e latrine; l’obiettivo per i prossimi mesi è sostenere altre 35mila persone, tra cui 16mila bambini. Parallelamente sono state distribuite oltre 18 tonnellate di Plumpy’Nut, cibo terapeutico per la cura della malnutrizione acuta ed è in corso la consegna di pacchi alimentari alle famiglie sfollate nel nord della Striscia di Gaza, dando priorità a bambini, donne incinte, anziani e malati. Nell’ultimo anno i conflitti armati hanno peggiorato i livelli di fame in ben 20 Paesi, trascinando quasi 135 milioni di persone nell’insicurezza alimentare acuta a causa della combinazione di scontri prolungati, blocchi economici e distruzione di terreni agricoli. La situazione è poi particolarmente critica in Sudan, Paese che sta affrontando un’emergenza fame di dimensioni mai viste dai tempi della crisi del Darfur dei primi anni 2000: l'escalation del conflitto, la distruzione deliberata del sistema alimentare del Paese, la perturbazione dei meccanismi di adattamento della popolazione e la difficoltà di accesso degli aiuti umanitari hanno portato il Paese sull'orlo della carestia. Attualmente sono oltre 20,3 milioni le persone che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare acuta, con un aumento di 8,6 milioni in un solo anno. Qui Cesvi sta intervenendo con l'obiettivo di fornire assistenza salvavita alle popolazioni vulnerabili colpite dal conflitto attivo garantendo sicurezza alimentare, nutrizione, acqua e servizi igienico-sanitari, oltre a fornire una programmazione integrata multisettoriale a lungo termine. Il devastante effetto dei conflitti sulla malnutrizione non risparmia l’Europa: anche l’Ucraina a causa della guerra nell’ultimo anno ha visto peggiorare il proprio punteggio Ghi sulla malnutrizione. Sebbene i punteggi Ghi siano migliorati significativamente negli ultimi due decenni, l’Africa a sud del Sahara e l’Asia meridionale restano le regioni con i livelli di fame più alti del mondo, con punteggi GHI rispettivamente di 26,8 e 26,2 (livello grave). L'Africa subsahariana registra le percentuali più elevate di denutrizione e mortalità infantile. Tra il 2016 e il 2023, la denutrizione è aumentata soprattutto in Africa occidentale e centrale, a causa di conflitti e crisi economiche. Nel 2022, il 72% della popolazione non poteva permettersi una dieta sana, il tasso più alto al mondo. Inoltre, in cinque Paesi della regione, oltre 1 bambino su 10 muore prima dei cinque anni, ed è l’area che detiene il più alto tasso di mortalità neonatale globale (40%). A questo si aggiungono le conseguenze dei cambiamenti climatici che hanno ridotto la produttività agricola del 34% dal 1961 nella regione. In Zimbabwe e Zambia una delle peggiori siccità mai registrate ha devastato le colture di sussistenza. Analogamente, molti paesi dell’Africa orientale hanno sperimentato la siccità più grave degli ultimi 40 anni, che ha portato a mancati raccolti, perdite di bestiame, riduzione della disponibilità d'acqua e un aumento dei conflitti. L’alto livello regionale di fame dell’Asia meridionale è determinato in gran parte dall’aumento della denutrizione e sottonutrizione infantile a livelli costantemente alti, provocata alla scarsa qualità della dieta, dalle difficoltà economiche e dal crescente impatto delle calamità naturali. La regione detiene il tasso più alto di deperimento infantile di tutte le regioni del mondo. In Afghanistan, la sicurezza alimentare è peggiorata dal 2016 a causa del conflitto, dell'instabilità economica e dei disastri che hanno colpito l'agricoltura e gli aiuti. Il Paese ha registrato un aumento significativo della denutrizione e uno dei più alti tassi di arresto della crescita infantile, pari solo al Niger. Il Pakistan è colpito da un’alta inflazione, deficit fiscali e calamità naturali. Le inondazioni estreme del 2022, legate ai cambiamenti climatici, hanno ulteriormente aggravato la crisi alimentare. "Dal Ghi emerge con forza che non c’è più tempo – conclude Piziali – è improcrastinabile agire in maniera concreta e incisiva sul problema della fame, mettendo i diritti umani in primo piano nell’attuazione delle politiche sul clima, la nutrizione e i sistemi alimentari. In particolare, come emerge dalle raccomandazioni strategiche contenute del rapporto è fondamentale rafforzare il senso di responsabilità nei confronti del diritto internazionale e l'applicabilità del diritto a un'alimentazione adeguata, promuovere approcci trasformativi di genere ai sistemi alimentari e alle politiche e programmi climatici e fare investimenti che integrino e promuovano la giustizia di genere, climatica e alimentare, ridistribuendo le risorse pubbliche in modo da correggere le disuguaglianze strutturali".