INFORMAZIONIAngelica Addeo |
INFORMAZIONIAngelica Addeo |
(Adnkronos) - Un rinnovo degli "impegni globali per il ripristino di una pace giusta dove c'è guerra, per la diplomazia e per la prevenzione dei conflitti". Lo ha chiesto re Carlo, mentre il Regno Unito celebrava ieri l'80mo anniversario del Giorno della Vittoria in Europa nell'Abbazia di Westminster, fulcro delle commemorazioni nazionali, con una cerimonia che ha unito i toccanti ricordi delle perdite subite in tempo di guerra alle speranze per il futuro che quella giornata storica aveva promesso. Alti membri della famiglia reale, politici e militari si sono uniti a 78 veterani della Seconda Guerra Mondiale mentre il re invitava la nazione a rispettare un silenzio di due minuti all'inizio della cerimonia. Parlando 80 anni dopo il discorso pronunciato dal nonno Giorgio VI, Carlo ha dichiarato che "non potrà mai esser veramente ripagato il debito verso coloro la cui ferma determinazione e forza d'animo hanno contribuito a distruggere il nazismo e a portare le nostre nazioni alleate fino al Giorno della Vittoria in Europa". Il sovrano ha affermato che, mentre la generazione della Seconda Guerra Mondiale "sta tristemente scomparendo", c'è il dovere "di portare avanti la sua storia, per garantire che quelle esperienze non vengano mai dimenticate". Ripetendo le parole di Winston Churchill secondo cui "incontrarsi faccia a faccia è meglio della guerra", ha aggiunto che dovremmo "ridedicarci non solo alla causa della libertà, ma anche a rinnovare gli impegni globali per ripristinare una pace giusta dove c'è guerra, alla diplomazia e alla prevenzione dei conflitti". "Perché - ha spiegato - come disse mio nonno: 'Avremo fallito e il sangue dei nostri cari sarà stato versato invano, se la vittoria per cui sono morti non porterà a una pace duratura, fondata sulla giustizia e stabilita nella buona volontà'. Sta a noi proteggere e continuare la loro preziosa eredità, affinché un giorno le generazioni future possano dire di noi: 'Anche loro ci hanno lasciato in eredità un mondo migliore'".
(Adnkronos) - L'utilizzo dell’Intelligenza Artificiale all'interno degli studi legali è già realtà. "L'Intelligenza artificiale - spiega in un'intervista all'Adnkronos/Labitalia l'avvocato Francesco Antonio La Badessa, partner dello studio Ichino Brugnatelli e Associati - non può replicare il bagaglio esperienziale del professionista, né sostituirlo nel rapporto diretto con il cliente o nella partecipazione a udienze – che siano in presenza o da remoto. La dimensione umana della professione, fatta di giudizio, intuizione e capacità relazionale, resta insostituibile". "Uno dei principali limiti - avverte - risiede nella mancanza di un taglio redazionale personalizzato. L’IA non è in grado di elaborare testi 'su misura', come invece richiede la stesura di atti e pareri di qualità. E' per questo che la supervisione del professionista, insieme alla sua esperienza, rimane essenziale per garantire standard qualitativi elevati. "Credo - sostiene - che ci sarà una trasformazione significativa, a partire dal piano curriculare: i futuri collaboratori dovranno necessariamente essere in grado di utilizzare strumenti di IA per esercitare la professione. Inoltre, la gestione del tempo risparmiato grazie all’uso dell’IA dovrà essere indirizzata verso attività di approfondimento scientifico, funzionali anche all’addestramento dei futuri aggiornamenti software". "Prevedo - sostiene - un cambiamento nella valorizzazione economica delle prestazioni: aumenterà per quelle che richiedono la presenza insostituibile del professionista – come trattative, udienze, relazioni industriali – e diminuirà per quelle automatizzabili, come la predisposizione di semilavorati per atti e pareri". "Nel nostro studio - afferma Francesco Antonio La Badessa - LexroomAI si è rivelato uno strumento particolarmente efficace nel fornire riscontri analitici e rapidi. Il software è in grado di restituire fonti utili che possono essere impiegate nella redazione di atti e pareri giuridici, sia per clienti istituzionali sia per clienti privati". "Si tratta, dunque, di un valido supporto nelle fasi preliminari del lavoro legale. Abbiamo iniziato a utilizzare LexroomAI circa un anno fa. Da allora, ne seguiamo con interesse l’evoluzione e i margini di applicazione nella nostra attività professionale", conclude.
(Adnkronos) - Cresce la desertificazione oceanica a causa del riscaldamento globale. In poco più di vent’anni è quasi raddoppiata l’area delle regioni oceaniche già povere di nutrienti e con scarsa biodiversità, passando dal 2,4 al 4,5% dell’oceano globale. Si tratta di un fenomeno che comporta una grave carenza di nutrienti e che potrebbe avere conseguenze significative sulla salute degli oceani e sul clima globale. È questo uno dei principali risultati emersi da uno studio internazionale condotto dal Laboratorio Enea Modelli e Servizi Climatici, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine Ismar-Cnr e il laboratorio cinese State Key Laboratory of Satellite Ocean Environment Dynamics (Soed), pubblicato sulla rivista scientifica ‘Geophysical Research Letters’. Lo studio si concentra, in particolare, sull’analisi dei cambiamenti del fitoplancton, l’insieme di quei microrganismi che sono alla base della catena alimentare marina (sono il cibo di zooplancton, pesci e altri organismi) e contribuiscono a mitigare i cambiamenti climatici rimuovendo la CO2 atmosferica attraverso la loro attività fotosintetica. “Questo fenomeno risulta molto evidente nell’Oceano Pacifico settentrionale dove la superficie coinvolta cresce a un ritmo di 70mila km2 l’anno. Ma la desertificazione interessa in modo crescente diverse regioni oceaniche, con una particolare vulnerabilità nelle aree tropicali e subtropicali, dove la diminuzione dei nutrienti disponibili può avere importanti impatti sulla produttività e la diversità biologica. Questo accade a causa del riscaldamento globale, che fa sì che l’acqua calda, più leggera, resti in superficie, impedendo il mescolamento con l’acqua più fredda e ricca di nutrienti che si trova in profondità. Meno mescolamento significa quindi meno ‘cibo’ che arriva alla superficie per sostenere la crescita del fitoplancton e, di conseguenza, dell’intera catena alimentare”, spiega Chiara Volta, ricercatrice Enea del Laboratorio Modelli e Servizi Climatici. Dallo studio emerge inoltre che è in diminuzione la quantità di clorofilla, un indicatore chiave della salute e della produttività del fitoplancton. In pratica, una maggiore presenza di clorofilla indica una maggiore abbondanza di fitoplancton. “Tuttavia, secondo lo studio, questo calo potrebbe non indicare una riduzione della popolazione fitoplantonica, ma un adattamento di questi organismi alle nuove condizioni di crescita imposte dal cambiamento climatico, quali ad esempio l’aumento della temperatura e la riduzione della disponibilità di nutrienti”, sottolinea la ricercatrice di Enea. Per realizzare questo studio i ricercatori hanno esaminato le serie temporali di dati satellitari di clorofilla e di fitoplancton tra il 1998 e il 2022 nei cinque principali vortici oceanici della Terra (gyres subtropicali) situati nell’Atlantico settentrionale e meridionale, nel Pacifico settentrionale e meridionale e nell’Oceano Indiano. Si tratta di sistemi di correnti caratterizzati da un movimento anticiclonico dell’acqua che si sviluppano tra l’Equatore e le zone subtropicali di alta pressione, e la cui formazione dipende da una complessa interazione tra venti, rotazione terrestre e distribuzione delle terre emerse. “Negli ultimi due decenni, in concomitanza con il riscaldamento degli oceani, molti studi satellitari hanno documentato un’espansione di questi sistemi oceanici e una conseguente riduzione di clorofilla, destando serie preoccupazioni sulle possibili implicazioni per il clima globale e la salute dei nostri oceani. Tuttavia, i nostri risultati mostrano che, nonostante la diminuzione della clorofilla osservata nella zona più povera di nutrienti dei vortici subtropicali, la biomassa fitoplantonica è rimasta sostanzialmente stabile nel tempo. Tenuto conto che, per loro natura, i dati satellitari si limitano a fornire una descrizione di ciò che avviene sulla superficie oceanica, i prossimi passi da compiere saranno quelli di studiare i cambiamenti della comunità fitoplantonica lungo la colonna d’acqua e quantificare il loro impatto sulla produttività oceanica a scala regionale e globale”, conclude Chiara Volta.