(Adnkronos) - La nutraceutica può essere molto utile nei casi di diabete gestazionale. Può, infatti, contribuire a limitare, e in alcuni casi a evitare, il ricorso alla somministrazione di insulina nelle donne con diabete gestazionale. L’utilizzo del nutraceutico si è dimostrato sicuro e ha contribuito a controllare il livello della glicemia in particolare postprandiale. E’ quanto ha evidenziato una ricerca osservazionale condotta in Italia i cui risultati preliminari sono stati presentati di recente a Milano al '9th Ame Diabetes Update-Fra Linee Guida e Frontiere Terapeutiche'. I dati preliminari di questo studio sono stati al centro di una speciale sessione dell’evento dedicata alla nutraceutica. "Il diabete gestazionale risulta essere in forte crescita nel nostro Paese - spiega Olga Eugenia Disoteo, Sc Endocrinologia, diabetologia, dietetica e nutrizione clinica, Asst Lariana e responsabile scientifico del Congresso dell’Associazione medici endocrinologi -. Il diabete gestazionale riconosce molte cause, dall’obesità, all’insulinoresistenza, all’alimentazione ricca di alimenti ultraprocessati, all’età più avanzata delle donne in gravidanza al ricorso a tecniche di procreazione assistita. Si calcola che oltre il 40% delle donne che sviluppano diabete gestazionale abbia più di 35 anni. Gli elevati livelli di zucchero nel sangue possono aumentare il rischio di complicanze sia per il bambino che per la madre. Più del 20% delle future mamme al momento della diagnosi è in sovrappeso o obeso. Il diabete gestazionale aumenta la morbilità e la mortalità materne e fetali. I neonati sono a rischio di distress respiratorio, ipoglicemia, ipocalcemia, iperbilirubinemia, policitemia e iperviscosità. Le mamme di sviluppare diabete mellito tipo 2 più precocemente e di aumentato rischio cardiovascolare". "Il Gdue, nutraceutico composto dagli estratti di due alghe marine (Ascophyllum nodosum e Fucus vesiculosus) e da Cromo picolinato, possiede un meccanismo di azione efficace, inibisce l’attività degli enzimi che scindono gli zuccheri e gli amidi rallentando l’assorbimento dei carboidrati - prosegue Disoteo -. In vari studi clinici ha dimostrato di ridurre i picchi glicemici post prandiali mantenendoli nel range di normalità. Viene per questo già utilizzato per la prevenzione del diabete e come adiuvante nelle diete volte a ridurre l’eccesso ponderale o in associazione alle terapie specifiche per il diabete per potenziarne l’azione. Anche nelle donne con ovaio policistico Gdue sembra garantire un miglioramento del quadro sindromico. Questo estratto algale non viene assorbito a livello intestinale e questo aspetto è particolarmente importante nella donna in gravidanza a tutela della donna e del nascituro. L’azione di controllo della glicemia si esplica a livello del lume intestinale. Qualora la sua azione non fosse sufficiente a ottimizzare il controllo glicemico, che in gravidanza è stringente e richiede il raggiungimento di obiettivi particolarmente bassi, può essere associato a terapia insulinica. Ridurre dose e la frequenza della somministrazioni di insulina in gravidanza è sicuramente un grande vantaggio per la donna, che vive sempre con ansia la terapia insulinica in questo momento della vita così delicato". Inoltre "la terapia insulinica richiede conoscenze e addestramento che spesso sono difficili da trasmettere in un periodo di tempo breve come quello che intercorre tra il riscontro di diabete gestazionale e la necessità di ottimizzare il compenso glucidico - sottolinea Disoteo -. In conclusione i nutraceutici come Gdue rappresentano un’opzione di utilizzo rilevante e con delle ottime potenzialità che devono essere consolidate e riconosciute con osservazioni cliniche sempre più numerose".
(Adnkronos) - Si informano scegliendo gli strumenti digitali che hanno a portata di mano (social media e motori di ricerca) ma in realtà si fidano di più di giornali e telegiornali. Considerano importante l’informazione (68,4%) ma poi la maggioranza dedica meno di mezz’ora al giorno (63,5%) a scoprire cosa succede in Italia e nel mondo. Ammettono però, 8 su 10, di avere difficoltà a capire se una notizia è vera o falsa. Questo il quadro che emerge dalla ricerca demoscopica "Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos" condotta a maggio 2025 da AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione italiana (1.023 interviste su un campione 18-70enni residenti in Italia). Dall'indagine, promossa dall'Istituto nazionale per la comunicazione (Inc), emerge che la maggior parte degli intervistati (63,5%) dedica meno di 30 minuti al giorno all'informazione, con un 30,5% che si limita a 20 minuti o meno. Solo il 13,4% degli italiani si informa per un'ora o più. La Tv si conferma il mezzo più utilizzato regolarmente dagli italiani (70,8%), seguita da familiari, amici e conoscenti (61,6%), dai social network (60,0%) e dagli strumenti di messaggistica con canali dedicati (57,1% - un ‘salto’ in avanti enorme).Gli aggregatori di notizie (46,5%) e i siti/portali internet (42,6%) sono ampiamente utilizzati, superando in diffusione i quotidiani (40,4%) e i periodici/riviste (29,7%), sia cartacei sia online. I podcast e i video, sebbene in crescita (38,1%), non raggiungono ancora la radio (43,7%) e sono sempre più percepiti come intrattenimento a discapito dell’informazione. Quando si tratta di affidabilità, emerge un quadro più complesso. La Tv (42,3%) e i quotidiani (40,8%) sono considerati i più attendibili, quasi a pari merito. I familiari, amici e conoscenti, pur essendo una fonte ampiamente utilizzata, sono ritenuti affidabili solo dal 29% degli intervistati, allineandosi a siti e portali Internet (29,4%) e aggregatori di notizie (29,4%). La percezione di affidabilità di una notizia è fortemente legata a chi la diffonde e a come viene presentata. La maggioranza degli intervistati (45,7%) ritiene più affidabile una notizia data da un divulgatore non giornalista (scienziati, ricercatori, docenti), superando di poco i giornalisti (41,7%) segno di una crescente ricerca di competenze (vere o presunte) e autorevolezza specifiche. In netta minoranza si trovano influencer, youtuber, tiktoker (8,2%) e personaggi pubblici (17,6%). In mezzo alla classifica i rappresentanti delle Istituzioni e i politici (25.6%). La preoccupazione per le fake news è piuttosto diffusa: alla maggioranza degli intervistati capita di leggere una notizia e pensare che possa essere falsa (59,5% a volte, 24,2% spesso). La difficoltà nel capire se una notizia è falsa è percepita come media (così così per il 41,7%, abbastanza 34,2%, solo il 6,9% lo considera molto difficile). In sintesi, solo 4 su 10 ritengono che sia molto o abbastanza difficile. Un'alta percentuale di italiani (83,8%) ammette di aver creduto a notizie false in passato (10,3% più volte e 73,5% qualche volta). Un dato significativo è che il 42% ha condiviso notizie poi rivelatesi false. Di fronte a una notizia che smentisce le proprie convinzioni, la maggioranza tende ad approfondire e verificare con altre fonti, sia che la notizia provenga da giornalisti (64,9%) che da influencer (66,2%). Tuttavia, c'è una netta differenza nella reazione iniziale: se la notizia viene da un giornalista, solo il 7,1% tende a pensare che sia falsa, mentre questa percentuale sale al 24,5% se la fonte è un influencer. Sull'influenza e il controllo dell'informazione, la percezione è che i poteri economici (60,9%) e politici italiani (60,5%) siano i principali responsabili della diffusione di notizie "di parte" o fake news, seguiti dagli interessi delle piattaforme social (55,9%) e dai poteri politici esteri (55,8%). Come emerge dall'indagine, c'è una chiara richiesta di maggiore regolamentazione per tutti i comunicatori online: il 62,3% ritiene che le regole deontologiche dei giornalisti dovrebbero essere applicate a chiunque comunichi sui mezzi di informazione. Tuttavia, quasi la metà (50,1%) crede che anche molti giornalisti non rispettino tali regole. Il controllo delle fake news da parte delle piattaforme è un tema caldo. Il 65,0% degli intervistati ritiene che il gruppo di persone che controlla le notizie dovrebbe essere scelto senza preconcetti, e il 60,8% vede un rischio nel controllo basato solo sugli utenti. Interessante è la percezione di chi determina il flusso delle informazioni online: i giornalisti e i media tradizionali (45,1%) sono ancora visti come i principali attori, seguiti a ruota dalle piattaforme con i loro algoritmi (43,8%). Meno influenti in questo senso i cittadini che condividono contenuti sui social networks (28,0%), istituzioni e governi (27,1%) e – ancor meno - influencer e creator (16,5%). La maggior parte degli utenti (70,0%) è consapevole che siti e portali online mostrano notizie personalizzate in base alle loro abitudini. Questo è percepito come un rischio - sia perché tende a confermare le opinioni preesistenti degli utenti (59,9%) sia perché limita l'ampliamento degli interessi (61,8%) - più che un aiuto nel trovare le notizie rilevanti per loro senza fatica (40,7%). Infine, anche l'introduzione dell'Intelligenza Artificiale nella sintesi delle notizie è vista più come un rischio che come un aiuto: prevalgono i timori di informazioni non corrette (58,4%) e di una minore sollecitazione alla verifica delle fonti (57,0%), rispetto all’aiuto dato agli utenti (37,9%). “La ricerca offre spunti di riflessione cruciali - afferma Pasquale De Palma, presidente e amministratore delegato di Inc - anche per le strategie di comunicazione di brand e organizzazioni. Perché in un mondo dove tante persone trovano difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, il rischio che una fake news, alimentata da algoritmi, intelligenze artificiali e condivisioni inconsapevoli, possa danneggiare la reputazione di un’azienda o di una Ngo, è reale e tangibile. Ed è un rischio che va gestito con attenzione e professionalità”. “Bisogna anche avere il coraggio di dire che la disintermediazione oggi è un rischio per le democrazie, fortemente voluta da poteri politici ed economici e dagli interessi delle piattaforme social, che la guidano e la alimentano, sempre perseguendo un interesse personale che non coincide con la verità” commenta Paolo Mattei, vice presidente di Inc, che ha coordinato il gruppo di lavoro sulla ricerca.
(Adnkronos) - “Nell’accingermi a partecipare a Ecoforum per raccontare della nostra filiera circolare per “l’industria pulita” ho avuto l’opportunità, grazie all’indagine IPSOS, di raccogliere le percezioni dei cittadini, poco ottimistiche rispetto alle performance dell’Italia circolare. Lo sottolinea Riccardo Piunti, presidente del Conou ricordando come "gli Italiani, ad esempio, ritengono mediamente che circa il 50% dell’olio minerale usato sia destinato a combustione, molti pensano che la raccolta del rifiuto sia un compito del meccanico vicino di casa, che il processo complessivo sia affidato a singole aziende specializzate senza un coordinamento; addirittura, un 6% pensa che l’olio usato finisca in fogna". Piunti aggiunge che "credono tuttavia che, quando si rigenera, l’olio sia mediamente di buona qualità dando credito alla tecnologia e non all’organizzazione. Vorrei, al contrario, che fossero informati e fieri dei risultati del nostro Paese, consci del ruolo del modello consortile che porta a raccogliere l’olio a titolo gratuito e rigenerare tutto". "La coscienza dei buoni risultati - conclude - aiuterà il conseguimento di ulteriori traguardi che potranno essere raggiunti, nelle filiere più diverse, solo con il contributo informato di tutti".