(Adnkronos) - Matteo Berettini si è raccontato in una puntata di “Tintoria”, podcast di Stefano Rapone e Daniele Tinti. Tanti i temi toccati dal tennista azzurro, a cominciare dalla procedura dei test antidoping: "Devi dare uno slot di un’ora in tutto il giorno, in cui tu sai che sarai a casa o all’hotel. Tutte le sere io devo controllare se ho messo l’indirizzo giusto e loro potenzialmente tutte le mattine possono venire e dire ‘Ok, c’è da fare il test’. Quindi sanno tutti i caz... miei. Dove sto, dove dormo. Sanno dove dormirò ed è un peso. È stressante... Oltretutto - rivela- quando arriva l'ispettore bisogna fare pipì davanti a lui, le regole prevedono che ci si tiri giù i pantaloni fino alle caviglie...". Berrettini si è soffermato anche sulle difficoltà del tennis: "La persona che odio di più quando gioco sono io, ma devo imparare a perdonarmi. Gli sport con le racchette sono gli sport delle scuse, ma a me hanno insegnato che gli alibi non esistono nel tennis, devi essere un robot". In chiusura, Berrettini ha parlato anche del padel: "Ho un padre che si è convertito a questo sport e noi siamo in lutto. È campione italiano over 60 e ne va orgoglioso. Il padel è un incrocio tra il tennis e lo squash. Perché l’hanno messo nella Federazione? Visto che è uno sport in grande crescita, aveva bisogno di un aiuto per crescere ancora di più". Nella chiacchierata, c'è spazio per una delle rubriche storice di Tintoria. 'Andare al bagno in discoteca' viene declinata da Berrettini in chiave tennistica, con il ricordo 'complicato' del match vinto contro Nakashima agli Australian Open 2022. L'azzurro, al primo turno, ebbe la meglio sullo statunitense e su un fulminante attacco di mal di pancia: "Ricordo che ho preso prima 2 imodium, poi altri 6. Ad ogni cambio di campo nel quarto set andavo in bagno...".
(Adnkronos) - ll cuore pulsante dell’economia italiana, le piccole e medie imprese sta affrontando una crisi che rischia di compromettere la loro competitività e sopravvivenza: la carenza di personale qualificato e motivato. La difficoltà emerge come un problema cruciale per le piccole e medie imprese, che rappresentano il 98% del tessuto imprenditoriale del Paese. In questo quadro complesso si inserisce l’analisi del centro studi di Future Age, azienda specializzata in change management e digitalizzazione avanzata, che ha approfondito il fenomeno grazie a un’indagine su oltre 2500 imprenditori e aziende che sono stati intervistati tramite un questionario, in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. E sono state così individuate strategie concrete per supportare le imprese in questa difficile transizione. Secondo l'indagine l’83% delle pmi dichiara di avere problemi di gestione del personale, l’89% delle imprese segnala difficoltà nel reperire personale qualificato e il 64% degli imprenditori considera la problematica del personale come il primo motivo per cui valutare la vendita della propria azienda. Questa crisi non riguarda solo la difficoltà di trovare lavoratori competenti, ma riflette un cambiamento culturale profondo: il lavoro, che un tempo era visto come un’opportunità di crescita, oggi è percepito da molti come un peso. Questo atteggiamento mina la competitività delle aziende, che non possono permettersi dipendenti demotivati in un mercato sempre più selettivo. Sempre più spesso, i lavoratori sembrano preferire una mentalità del “diritto a pretendere”, piuttosto che un’attitudine alla crescita e al sacrificio. La società post-pandemica ha visto un aumento dell’atteggiamento passivo nei confronti del lavoro, con un calo della motivazione e dell’etica professionale. Se in passato il lavoro era percepito come un mezzo per costruire il proprio futuro, oggi si assiste a un fenomeno in cui molte persone preferiscono restare senza impiego e vivere di sussidi piuttosto che affrontare le difficoltà del mondo lavorativo. Questo atteggiamento si riflette in numerosi settori strategici per il Paese, dove la mancanza di personale sta mettendo a rischio l’intero sistema produttivo. "Per affrontare la crisi del personale, gli imprenditori devono sviluppare una leadership solida e visionaria, capace di motivare e coinvolgere i collaboratori. Il cambiamento deve partire dall’alto e diffondersi in tutta l’organizzazione. Gestire il personale oggi richiede determinazione, strategia e la capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti. Chi non sarà in grado di farlo, rischia di vedere la propria azienda travolta dalla concorrenza", afferma Paolo Borghetti, ceo di Future Age. Dopo oltre 1.700 pmi analizzate, Future Age ha individuato tre categorie principali di lavoratori all’interno delle aziende: le 'Motrici' (10% del personale): figure leader, trainanti e indispensabili; i 'vagoni' (70% del personale): lavoratori diligenti che necessitano di una guida costante; o 'carichi deragliati' (20% del personale): dipendenti demotivati o poco produttivi, che spesso compromettono la performance aziendale. A questa suddivisione si aggiunge un altro problema strutturale: l’organizzazione inefficiente e la mancata digitalizzazione delle pmi, che risultano poco attrattive per i giovani talenti. Spesso le aziende operano con processi manuali e poco strutturati, privi di strumenti digitali avanzati come erp, mes e sistemi di business intelligence. Questo ostacola la produttività e frena l’innovazione. L’indagine di Future Age ha individuato i comparti industriali che stanno soffrendo più di altri la carenza di personale qualificato: Engineering to Order, aziende che producono su commessa faticano a trovare ingegneri, progettisti e tecnici specializzati; lavorazioni meccaniche di precisione, mancano operatori di macchine Cnc, competenze fondamentali per la produzione industriale avanzata; automazione e robotica, settori in crescita che necessitano di softwaristi e tecnici esperti nella manutenzione di impianti automatizzati; fonderie e acciaierie, l’industria metallurgica richiede operai altamente qualificati, ormai sempre più difficili da reperire anche tra gli immigrati. Per superare questa crisi, Future Age ha sviluppato un modello innovativo di change management: il digital mentor. Questo metodo si basa su tre pilastri fondamentali: psicologia, per migliorare il clima aziendale e la motivazione del personale; ingegneria, per ottimizzare processi, ruoli e kpi aziendali; informatica, per implementare tecnologie avanzate e rendere le pmi più efficienti e attrattive. "Le Pmi italiane devono affrontare una trasformazione profonda, che non può limitarsi a un cambio tecnologico, ma deve partire dalla mentalità e dall’organizzazione aziendale", afferma Paolo Borghetti, founder e ceo di Future Age. "Senza un cambiamento strutturato, molte imprese rischiano di perdere competitività e di scomparire", continua. Nei prossimi 5-10 anni, la capacità delle pmi italiane di adattarsi e innovare sarà cruciale. Servono politiche aziendali più strutturate, una gestione del personale più efficace e un uso strategico della digitalizzazione. Future Age si pone come partner chiave per le imprese che vogliono affrontare questa sfida con un approccio moderno e sostenibile. Nata nel 2015 dall’intuizione imprenditoriale di Paolo Borghetti, imprenditore seriale e business mentor, Future Age è un’organizzazione specializzata nel change management e nell’innovazione ad alto impatto. La sua mission è quella di accompagnare le pmi italiane nel percorso per l’evoluzione digitale sostenibile, nel segno nell’integrazione fra persone, processi e tecnologie.
(Adnkronos) - Unaprol, Consorzio olivicolo italiano, è tra i partner che hanno collaborato allo sviluppo di Novaterra, un progetto ambizioso che si propone di rivoluzionare l'olivicoltura nel bacino del Mediterraneo. L'obiettivo principale è duplice: ridurre l'impatto ambientale e incrementare la redditività per gli agricoltori. Il progetto 'Novaterra' si articola in tre strategie chiave, che sinergicamente mirano a trasformare l'approccio all'olivicoltura: protezione delle colture all'avanguardia ('Novaterra' promuove l'impiego di soluzioni di difesa innovative, privilegiando alternative naturali come bio-pesticidi, bio-controllo e coadiuvanti); smart farming per un'agricoltura di precisione, attraverso una piattaforma di agricoltura intelligente (il progetto mira a ottimizzare l'applicazione dei prodotti di protezione, riducendone l'impiego e aumentando l'efficacia); gestione del suolo e biodiversità ('Novaterra' introduce nuove strategie per la gestione del suolo, la promozione della biodiversità funzionale e l'impiego di robotica per il controllo delle infestanti). Novaterra rappresenta un'importante opportunità per il settore olivicolo mediterraneo. Grazie alla collaborazione di partner esperti e all'implementazione di strategie innovative, il progetto si propone di creare un modello di agricoltura più sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico Lo sviluppo del settore olivicolo è oggi associato a tre parole chiave: differenziazione, innovazione, in collegamento e interazione con il concetto di sostenibilità. L’aspetto della differenziazione, sebbene di grande importanza, non è esente da difficoltà dal punto di vista pratico: gli oli vanno caratterizzati e quindi resi in qualche modo riconoscibili, elemento che in Italia rappresenta un fattore di grande interesse, in considerazione del fatto che nel nostro Paese la battaglia relativa alle produzioni è stata persa da anni e che pertanto la strategia da perseguire in futuro è quella di differenziare l’olio extravergine, per renderlo il più possibile diverso dai prodotti standard ottenuti soprattutto negli altri Paesi del bacino del Mediterraneo. Per quanto riguarda le innovazioni, sono importanti se nel contempo garantiscono la sostenibilità, così come indicato dalle linee guida del Pnrr, laddove gli investimenti in agricoltura devono assicurare il rispetto del principio di sostenibilità ambientale. Tuttavia, per quanto concerne il settore in questione, questa tematica assume una certa complessità, poiché va comunque considerato che le innovazioni in campo oleario non sempre sono in linea col concetto di sostenibilità inteso, ad esempio, come riduzione delle emissioni di carbonio. Esse infatti sono spesso più energivore delle vecchie tecnologie, soprattutto se si vuole produrre stabilmente alta qualità nell’attuale contesto di grande incertezza a causa dei cambiamenti climatici e delle conseguenti problematiche ambientali. Infatti, va considerato che in termini teorici è più sostenibile un olio vergine che non un extravergine poiché si lavorano olive più mature, con un maggiore contenuto in olio e minore in acqua; non c’è bisogno delle basse temperature in frangitura o in gramolatura, ecc., se non fosse per il fatto che gli oli vergini, avendo mediamente un minore contenuto in antiossidanti naturali, sono meno stabili all’ossidazione e quindi avranno una durata di vita, nella classa di appartenenza, breve e una volta passati ad olio lampante diventeranno più energivori a causa dei costi energetici del processo di raffinazione al quale saranno soggetti. Per questo motivo, quindi, il concetto di sostenibilità deve per forza avere come riferimento, almeno in Italia, l'aspetto del mantenimento della qualità, che ha un campo d'azione sempre più ampio e che riguarda anche aspetti immateriali, relativi al racconto che può essere impostato nella comunicazione e che riguarda alcune caratteristiche (di carattere etico, ambientale, ecc.) a cui è particolarmente sensibile un consumatore evoluto. Tuttavia, anche altri Paesi produttori tradizionali di olio nel bacino del Mediterraneo sono ormai in grado di produrre una narrazione accattivante a fini commerciali. E allora la differenziazione non può che basarsi sui valori materiali del prodotto, quelli cioè in grado di fornire una misurazione oggettiva della qualità stessa (legali, salutistici, sensoriali, ecc.). Tra i valori materiali, gli aspetti legati alla sicurezza e quindi al problema della riduzione dei pesticidi sono di grande importanza anche perché in stretta relazione con le contaminazioni e quindi con il concetto di qualità. Poter garantire controlli che assicurino l’assenza di principi contaminanti causati dai residui dei trattamenti fitosanitari è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare e quindi la qualità dell’olio extravergine. Su questo tema esiste una grande sensibilità a livello comunitario, e l’Ue ha istituito da alcuni anni un tavolo di discussione. Tale problematica assume un carattere di grande attualità anche alla luce dell’entrata in vigore del divieto all’utilizzo del dimetoato, un principio attivo utilizzato da oltre 40 anni per il controllo della mosca dell’olivo, senza che nel frattempo il settore industriale sia riuscito a sperimentare e mettere sul mercato nuovi principi attivi meno tossici ed efficaci in sua sostituzione. Pertanto, il vuoto creato dal divieto all’uso del dimetoato apre nuovi spazi per la ricerca, la sperimentazione e la messa in pratica di nuove strategie e metodi alternativi ai fitofarmaci di sintesi e per la loro promozione e diffusione presso gli olivicoltori, così come sta avvenendo attraverso il progetto Novaterra. Per quanto riguarda il tema della contaminazione dell’olio d’oliva, al di là del problema dei pesticidi strettamente legato alla gestione dell’oliveto, l’aspetto di maggiore attualità e preoccupazione riguarda le contaminazioni da oli minerali (Moh) appartenenti alle due tipologie principali: gli idrocarburi saturi di oli minerali (Mosh) e gli idrocarburi aromatici di oli minerali (Moah), questi ultimi presenti in minore concentrazione rispetto ai primi. Anche la contaminazione da oli minerali è di origine agronomica, essendo legata alle pratiche di raccolta ed in particolare ai prodotti utilizzati per la lubrificazione di agevolatori, scuotitori e macchine scavallatrici, che contaminano le olive e si trasferiscono all'interno dell'olio estratto. Per quanto riguarda i limiti di tolleranza, l’Ersa ha stabilito la soglia massima 2 mg/kg di contaminazione, senza che tuttavia sia stata assodata una correlazione tra la concentrazione di olio minerale nell’olio di oliva e l’impatto sulla salute umana. Infatti, in assenza di sperimentazioni in questa direzione, il valore della soglia massima corrisponde al valore minimo rilevabile in laboratorio. In termini pratici, ciò sta a significare che 1 gr di olio minerale (Moh) arriva a contaminare di 1 mg il contenuto di una tonnellata di olio, che corrispondono approssimativamente a 5 tonnellate di olive, cosicché anche contaminazioni minime possono creare problemi in questo senso. Anche su quest’ultimo aspetto, quindi, le filiere olivicole-olearie dovranno mettersi in linea per assicurare il rispetto delle norme vigenti in termini di contaminazione, a dimostrazione di quanto questa tematica sia di grande attualità per garantire la sicurezza alimentare e contribuire al perseguimento della massima qualità del prodotto finale. E' possibile seguire il progetto, unendosi alla community Novaterra sui social media o alla newsletter per gli ultimi aggiornamenti (https://www.novaterraproject.eu/; https://twitter.com/NOVATERRA19; https://www.facebook.com/NovaTerra-102038265045698; https://www.linkedin.com/company/69260667/admin/).